Lo stagno di lacrime

Un assaggio di una traduzione inedita di Alice in Wonderland, a cura di Angelo Angera in esclusiva per Zibaldoni.

“Che incredibile!” esclamò Alice (era così sorpresa da aver momentaneamente dimenticato le regole del buon italiano); “cioè, mi sto aprendo come il telescopio più grande del mondo! Addio, piedi!” (perché quando guardò in basso verso i suoi piedi, le sembrarono essere quasi spariti, tanto velocemente si stavano allontanando). “Oh, miei poveri piedini, chissà chi vi metterà le scarpe e i calzini d’ora in poi? Di certo io non potrò! Sarò un bel po’ troppo lontana per prendermi cura di voi: dovrete imparare a cavarvela da soli; – però devo essere gentile con loro,” rifletté Alice, “altrimenti potrebbero rifiutarsi di camminare dove voglio io! Fammi pensare: ad ogni Natale gli regalerò un nuovo paio di stivali.”

E continuò facendo piani su come organizzare la cosa. “Bisognerà spedirli con il corriere,” pensò; “e ci sarà ben da ridere, a mandare regali ai propri piedi! E che strani indirizzi!

 

Al sig.

Pie’ Destro d’Alice

loc. Poggiapiedi (comune di Camino)

con affetto,

Alice.

 

Santo cielo, ma che assurdità dico mai!”

Proprio in quel momento la sua testa andò a picchiare contro il soffitto del salone: infatti ormai era diventata alta più di tre metri, e immediatamente prese la piccola chiave d’oro e si affrettò verso la porta del giardino.

Povera Alice! Il massimo che riuscì a fare, fu di sdraiarsi su un fianco, e guardare dentro il giardino con un occhio solo; ma quanto ad entrarci era ormai del tutto impossibile: di nuovo Alice si rannicchiò in lacrime.

“Dovresti vergognarti,” disse Alice, “una bambina grande come te,” (e lo poteva ben dire) “sempre a piangere così! Vedi di piantarla, sai, e subito!” Ma anche così continuava a piangere, versando litri e litri di lacrime, fino a che intorno a lei si formò una grande pozza, profonda più o meno dieci centimetri, che arrivava fino a metà salone.

Dopo un po’ Alice sentì uno zampettio in lontananza, e si asciugò frettolosamente le lacrime per vedere chi stava arrivando. Era il Coniglio Bianco che tornava, splendidamente abbigliato, in una mano un paio di guanti bianchi in pelle di capretto e nell’altra un grande ventaglio: passò via di gran trotto borbottando tra sé mentre andava “Oh! la Duchessa, la Duchessa! Oh! Se le sarà toccato aspettarmi sarà fuori di sé!” Alice era così disperata che era disposta a chiedere aiuto a chiunque; così, quando il Coniglio le passò vicino, iniziò a dire, sottovoce e timidamente, “Mi scusi, signore-” Il Coniglio scartò bruscamente, lasciando cadere i guantini bianchi e il ventaglio, e in men che non si dica filò via nella tenebra.

Alice raccolse il ventaglio e i guanti, e, dato che nel salone faceva un gran caldo, usò il ventaglio per farsi aria mentre parlava: “Accidenti! Oggi è tutto così strano! E fino a ieri le cose andavano come al solito. Non sarò mica stata scambiata durante la notte? Fammi pensare: ero ancora la stessa quando mi sono alzata stamattina? Mi pare quasi di riuscire a ricordare di essermi sentita un pochino diversa. Ma se non sono più la stessa, a questo punto il problema è, Chi sono mai? Ah, questo sì che è un rompicapo!” E Alice si mise a passare in rassegna tutte le bambine sue coetanee che conosceva, per capire se poteva essere stata scambiata con una di loro.

“Di sicuro non sono Ada,” disse, “perché i suoi capelli scendono in lunghi boccoli, mentre i miei di boccoli non ne hanno proprio; e di sicuro non posso essere Mabel, perché io so un sacco di cose, e lei, oh! lei ne sa davvero pochine! Senza contare che lei è lei, e io sono io, e- uffa, com’è complicato! Proviamo a vedere se mi ricordo tutto quello che ho imparato. Dunque: quattro per cinque dodici, quattro per sei tredici, quattro per sette- oh, cavoli! Di questo passo non arriverò mai a venti! Fa lo stesso, le Tabelline non contano: proviamo con Geografia. Roma è la capitale di Parigi, Parigi è la capitale di Londra, Londra- no, è di certo tutto sbagliato! Vuoi vedere che sono stata scambiata con Mabel! Proviamo a recitare L’infinito,” e intrecciò le mani in grembo come durante un’interrogazione, e iniziò a recitare i versi, ma la sua voce aveva un suono roco e strano, e le parole non erano le stesse di sempre:

 

Sempre caro mi fu quel coccodrillo,

e la sua coda che inghirlanda il Nilo

con placide e lucenti ondulazioni.

Ma passando e bagnando le dorate

scale, quel drago in sovrannaturale

self-control e in profondissima quiete

spalanca la sua bocca, ove per poco

giocò la pavoncella. E con gli artigli

invita, e par che rida, i pesci in quella

immensità affilata anzichenò:

e sprofondarsi è dolce in quelle fauci.

 

“Queste non sono per niente le parole giuste,” disse la povera Alice, e di nuovo gli occhi le si riempirono di lacrime mentre proseguiva, “Eh già, devo proprio essere Mabel, e mi toccherà andare a vivere in quella casetta minuscola, praticamente senza neanche un giocattolo, e oh! con tantissime lezioni da imparare! No, su questo ho preso una decisione; se sono Mabel, me ne resterò quaggiù! Avranno un bell’infilare la testa e dire “Torna su, da brava!” Io non farò altro che guardare in su e dire “Però io chi sono? Per prima cosa dovete dirmi questo, e se poi mi andrà di essere quella persona, risalirò: altrimenti, resterò quaggiù fino a che non sarò qualcun altro” – ma, oh!” esclamò Alice, scoppiando improvvisamente in lacrime, “Quanto vorrei che si decidessero a infilare la testa quaggiù! Sono così tanto stanca di stare qui da sola!”.

 

[Traduzione di Angelo Angera, dal capitolo II di Alice in Wonderland di Lewis Carroll.

Le illustrazioni sono di Salvador Dalì]

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