Premetto che non dirò chi ha pronunciato in mia presenza questa frase. È successo qualche giorno fa. Passavo in bici davanti al Foro per recarmi da un amico che abita là dietro, quando svoltato l’angolo c’era un assembramento davanti all’hotel che sfrutta il nome latino di ciò che ha di fronte. Si trattava di un comico regalato alla politica tecno-ottimista che arringava la folla dei giornalisti entrando in un Suv, appena sbucato ho sentito proprio quella frase e siccome sono romanesco e quindi portato da un antichissimo retaggio filosofico a dire ciò che penso il più possibile me ne sono uscito con un: “Lei non è un comico, è un buffone!” che ha mutato ancor più il faccione barbuto dell’interessato in una maschera di schifo, ma non c’era tempo né per replicare né per sguinzagliare i gorillini, quindi se n’è andato.
Però, a dimostrare che un vero libertario è disposto ad imparare pure da chi gli sta molto antipatico, continuando la pedalata mi sono subito chiesto se avesse ragione, e arrivato a casa del mio amico quasi senza salutarlo sono andato a cercare un dizionario etimologico. Da qualche tempo faccio così: provo a farmi suggerire cosa ne penso di una cosa dall’etimologia delle parole, e questo già da prima che scoprissi l’esistenza di Isidoro di Siviglia.
Dunque, il Devoto suggerisce che idea viene dal verbo greco idein, vedere, quindi il suo significato primario è ‘aspetto, forma, apparenza’; mentre per quanto riguarda opinione le cose sono un po’ più complicate, per farla breve siamo al latino e si tratta di ‘un oscuro ampliamento intensivo’ forse connesso con la radice di prendere, scegliere, ‘attestata anche nelle aree umbra, ittita, armena’. L’impressione sul momento è stata che stavolta le radici non mi sarebbero state di grande aiuto, a questo punto la frase di cui sopra si sarebbe potuta tradurre ‘siccome non si vede niente allora si afferra qualcosa a caso’, oppure, e quasi al contrario ‘siccome non si è ingannati dalle apparenze si coglie il dato di fatto’. Sul momento avevamo altro da fare quindi ho lasciato perdere, però la frase è rimasta lì che circolava in capoccia, e a distanza di qualche giorno mi ritrovo a cercar di vedere se è vero che, come sosteneva lo scrittore Luigi Malerba, lo scrivo così vedo che ne penso.
Il fatto è, che da un po’ di tempo a questa parte mi riesce sempre più difficile avere delle opinioni, e ogni volta che ne ho una e la esprimo mi resta in bocca un retrogusto acido, come quando uno s’accorge che ha fatto una cazzata subito dopo averla fatta, forse addirittura mentre la sta facendo. Per esempio io ho un’opinione sul conferimento del Nobel per la Letteratura a Bob Dylan, ma preferisco non dirla, anzi non sapere nemmeno di averla. Che bisogno ha il mondo di conoscerla? Chi se ne frega?, mi dico. Dovrebbe essere il medesimo retrogusto di uno che ha dell’oro in casa, e quando va a venderlo scopre che s’è svalutato all’improvviso di tre quarti del valore e più, senza nemmeno avvertire.
La svalutazione, in questo caso, non viene nemmeno tanto dal fatto che nel tempo in cui sto scrivendo questa riga sono state liberate nell’etere mondiale all’incirca novecento miliardi di opinioni, in una sorta di festa liberatoria dell’aerofagia opinionista. Piuttosto invece dal fatto che tali opinioni non cercano per niente di rivolgersi a qualcuno. Nel fracasso malmostoso della rete soprattutto, sembra evidente che i pareri che vengono emessi non cercano affatto di rivolgersi a qualcuno, non ne hanno minimamente bisogno, bensì vogliono solo essere emessi per provare all’emittente stesso che esiste, con esigenza pressante altrimenti costui ha una crisi di personalità e può anche finire in cura o suicidarsi. Inoltre, non ha bisogno nemmeno sul serio che gli si risponda, se non per incensare l’autore e dargli il like o al contrario per contrastarlo insultandolo in modo da provocare insulto ulteriore: uno scambio vero e foriero di mutamenti o accrescimenti non è contemplato né desiderato. Ma allora, che opinione è? È tuttora legittimo chiamarla opinione? E come se no?
Va da sé che una qualsiasi critica al riguardo conduce i bollenti spiriti degli opinionisti diffusi a rivendicare quel mantra lagnoso del diritto sacrosanto alla libertà di espressione, alla quale ho già dedicato un articolo precedente di questa rubrica riguardare l’affaire Charlie-Hebdo. Se volessi però intingere la penna nella ferita potrei dire che l’opinionista incallito non è più avvezzo, invece, forse non è nemmeno più in grado di mutare opinione (non sto parlando di idee) per l’appunto, per cui gli abitanti dei paesi recentemente terremotati si sono visti recapitare dalla medesima cricca parigina una vignetta, come dire, dal gusto infame e vi ricordate cos’ha risposto una delle redattrici alla contestazione al riguardo? Ma è libertà d’opinione bellezza, nonché libertà d’espressione!
No, non se ne può più di tale democraticizzazione spinta delle opinioni. Almeno prima c’erano gli opinionisti deputati al compito ma non solo, bastava non seguirli ed era fatta, gli opinion-makers che facevano tendenza, i quali per tirare avanti la famiglia dovevano per forza metterci la faccia. Altra caratteristica infatti dell’opinionismo estremo democratico e patologico è che spesso si nasconde, vale a dire tira il sasso e nasconde la mano. Con effetti mettimale, anche gravi. È successo anche a me e lo racconto, in breve. Ho partecipato con un testo a un libro di idee (più che opinioni) sulla letteratura italiana contemporanea, l’editore aveva stampato anni prima un libro dal titolo Fascisti!, così quando arrivo alla rassegna del Bookpride milanese per presentarlo trovo tutto un trambusto perché in rete è stato annunciato l’allarme in quanto i fascisti avrebbero partecipato alla fiera! Confesso di averci messo un bel po’ a capire che i fascisti ero io! Me lo sono fatto spiegare più volte. È tutto vero, non esagero. Io che sono stato tre volte in carcere per antifascismo messo alla gogna, ma soprattutto da chi? Non si può sapere, talmente è importante solo esprimere l’opinione, senza verificarla né valutare cosa provoca, talmente è poco importante la persona a cui si rivolge (ho visto una barzelletta su un giornale americano con un cane in piedi sulla sedia davanti al computer, e a un altro cane che sopraggiunge dice: “Su internet nessuno sa che sei un cane”). E non puoi evitarlo in nessuna maniera, sei preso in mezzo in ogni caso. Comunque lì a Milano è stato molto bello vi assicuro.
La mia idea al riguardo (e badate che non è un’opinione) è che l’attuale e pretesa modernità non sia mai stata così oscurantista, sorpassata e illusoria, vecchia, rimbambita, noiosa e sorpassata come oggi. E che niente è più incongruente, ottuso, non inerte ma dannoso ai fini del miglioramento della vita del continuo aggiornamento tecnologico. Alla pressoché totale vacanza dal pensiero, ai paralitici logici vengono date le stesse opportunità di chi si arrovella per tutta la vita, spesso con dedizione, anzi oggettivamente maggiori. Senza alcun dubbio questa nostra, se mai sarà ricordata, lo sarà come Età della Grande Presunzione.
Quindi è vero: meno ci sono idee, non dico divergenti o delinquenti ma un minimo autonome, indipendenti, più ci sono opinioni, proprio come meno la gente legge e più si fanno saloni del libro. E degli scienziati cognitivi poi stanno studiando il modo di creare una sorta di telepatia mondiale, anzi a loro dire sono a un passo dal riuscirci, vale a dire che le opinioni non passeranno più dai computer ma ce le avrai regalate in testa più o meno alla nascita. Spero solo di morire prima della realizzazione epocale!
È un baraccone che balla ubriaco su una punta di spillo, una mistura letale di illusione e presunzione che crea un mondo di bruti, si riproduce per partenogenesi e diventa più vero ogni giorno. E la leva della barbarie poi è prettamente umanistica: appena si parla di un qualche aspetto di pericolosità della cosa potete star sicuri che c’è sempre uno che si alza ciancicando la formula: beh, dipende da come la si usa…, la cosa, tale è la fiducia scriteriata e anche ignorante, visto che fa finta di non sapere che ogni tecnologia, dalla ruota in poi, ha mutato definitivamente l’essere umano, biologicamente perfino, e non dipendeva mica da come tale ruota si usava! Tale e tanta è l’estasi mistica della modernità che il vero non ha più alcun privilegio sul falso, e poi ci si chiede dove sono finiti i valori.
Quindi alla fine, senza aver scandagliato un bel niente mi trovo ad essere d’accordo in sostanza col comico ormai lontano. Forse era meglio se esaminavo la frase che gli ho rivolto…