a Mauro Calenda: untuk calMa
Riassunto delle puntate precedenti: Iniziano, lenta- e brusca- mente, a profilarsi volti e gesti di personaggi, come onde di frequenza all’interno di un rumore bianco o di un rumore rosa, il suono rosa della carne elettronica, volti apparenti che un tempo credevamo di vedere nella statica biancastra dei vecchi televisori catodici.
(…segue)
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Ma veniamo finalmente alla descrizione dell’architetto, che il nostro lettore attende da troppo tempo.
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Nell’estate del 196…, in un paese sulla riva del lago di Garda, un uomo che aveva superato da poco i sessant’anni era seduto al tavolino di un bar che si chiamava Capitan Visiera e che oggi non esiste più. L’uomo si era appena messo una mano dietro la testa e aveva iniziato a considerare la superficie del lago e a respirare il vento tirandosi disperatamente i capelli quasi a volerseli strappare dalla nuca, quando un matto carico di sporte di plastica stracolme di stracci e cianfrusaglie gli si parò davanti, distraendolo dalla tenebra. Il matto, balbettando e toccandosi di continuo la testa appiccicaticcia, disse di chiamarsi “Gianni detto Gianni”, e senza attendere la risposta dell’uomo rovesciò malamente le proprie cose tra le seggiole e i tavolini, poi cavò dall’ascella un involto di vecchie pagine di giornale, e da quelle cartacce estrasse una piccola scacchiera magnetica, di quelle che usano i viaggiatori o i bagnanti, e apertala sul tavolino accanto al boccale di birra dell’uomo si mise a disporre ordinatamente i pezzi; infine, apostrofandolo con parole arroganti, sfidò l’uomo a giocare una partita a scacchi contro di lui.
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Poteva sentire il rumore del suo respiro, come il silenzio di una vecchia musicassetta.
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Il Wunderhole.
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(…prosegue il riassunto delle puntate precedenti)
M.: Prot- e ant- agonista. Professione al momento imprecisata ma, pare di intuire, oscuramente creativa (impiegato in una fabbrica di carte per giochi di ruolo? responsabile di uno degli snodi meno importanti della famigerata piattaforma www.shallWe.com e/o dell’annessa app e/o dell’altrettanto famigerato e letale videogioco NITA™? ghost writer per una delle seguenti telenovele/saghe/opere liriche a puntate: Presiden arsitek, The Fools in the Wood, Paradise, Dead or Dad (nota: le case di produzione di Paradise e Dead or Dad si sono reciprocamente denunciate per violazione di diritto d’autore per il furto dell’idea – che qui viene provvisoriamente archiviata sotto la prudente e (diciamolo) un tantino ignava voce poligenetica – della donna che nel momento di dare alla luce un bambino viene morsicata e conseguentemente infettata da uno zombi, in modo tale che il neonato in questione si ritrova semiinfettato e per il resto della/e telenovele – questa l’origine della causa legale in corso – oscilla tra stato umano e stato zombi in maniera incontrollabile, con tutte le connesse problematiche sentimentali, affettive, lavorative che una simile inedita – ma ribadiamo forse poligenetica – condizione comporta per il personaggio di una telenovela — né sarà del tutto fuori luogo sottolineare come gli sceneggiatori di Paradise abbiano il fastidiosissimo – almeno per un consistente gruppo di telespettatori che tuttavia si ostinano a seguire ogni puntata della telenovela per poi criticarne aspramente il vezzo di cui sotto in logorroiche e sgrammaticate chat, il che porta a sospettare che gli sceneggiatori di Paradise abbiano con detto vezzo ottenuto quel delicato equilibro tra fastidio e piacere che rende i detrattori e estensori di reclami una specie fan di secondo livello ovvero degli altrettanto e forse anzi ancora più affezionati clienti dei fan di diciamo primo livello, clienti cioè che vengono adescati dal piacere del reclamo comunitario — e, qui in effetti ormai quasi del tutto fuori luogo, secondo noi vale comunque la pena di soggiungere che una percentuale sempre più consistente di accessi alle chat di reclamo è composta da utenti che non partecipano alle discussioni ma ne sono meri lettori —- quella che don Giorgio Giorgio in una delle sue prediche più infiammate e nel contempo pletoriche ebbe a descrivere come “Tenebrosissima e diabolicissima fascinazione per l’auscultazione della deprecazione che gli sfaccendatissimi lettori di reclami condividono con gli altrettanto sfaccendatissimi seguaci del maiale Lutero” – vezzo di diciamo margottare a capogatto il già di per sé labirintico e instabile corpo centrale della telenovela seppellendo intere avventurosissime sezioni di trama in personaggi seduti in stato meditativo/ipnotico/allucinato — “Dove”, come più volte pedantemente ribadito da un flaccido ecclesiastico esponente del brulicante sottobosco di personaggi della telenovela, “meditativo : Paradiso = ipnotico : Purgatorio = allucinato : Ninferno <sic>” — per farle poi gemmare in avvenimenti apparentemente – e, almeno per una media di una decina di puntate, effettivamente – cruciali, salvo infine dissolverli nel risveglio del meditatore/ipnotizzato/allucinato di turno, secondo il logoro espediente del “è stato tutto un sogno” che esaspera(/appassiona?) gli estensori (nonché i lettori) dei reclami e che in generale spinge lo spettatore a obliterare tutti gli episodi-rivelati-come-non-cruciali nella stessa trasparenza parziale in cui fuori dalla nostra vita di spettatori tendiamo a relegare i sogni degli altri e alla fin fine anche i nostri, quasi frasi interminabili che avevamo ormai dimenticato essere parentetiche —- il punto è che in Paradise lo zombi intermittente potrebbe essere semplicemente parte della complicatissima allucinazione di, poniamo, il paziente di un istituto per la salute mentale, laddove in Dead or Dad sarebbe uno dei cardini della soap opera)? correttore di bozze della prima sezione (0-11 anni) dell’interminabile fiaba/junior-thriller/fantasy/romanzo/manuale cominciata/o con gli undici Libri per il bagnetto?); età “giovane” in modo sufficientemente generico per spaziare dai venticinque ai trentanove anni; silenzioso, tendente al malinconico, sguardo sfumatamente autistico, capelli castani, un corpo magro e molliccio che ci si abitua a dimenticare e che per lo più ovvero per il momento appare stravaccato nello scompartimento di un treno in corsa verso Venezia.
(…segue)
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L’uomo accettò il matto al proprio tavolo.
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“Ora a giudizio di molti savi, la vita umana è un giuoco, ed alcuni affermano che ella è cosa ancora più lieve, e che tra le altre, la forma del giuoco degli scacchi è più secondo ragione, e i casi più prudentemente ordinati che non sono quelli di essa vita.” (G. Leopardi, Operette morali)
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(Un pronto soccorso di un piccolo paese di montagna. Alle pareti alcune maschere di legno tradizionali, disegni infantili, avvisi all’utenza. La luce del giorno sta andando via. Un uomo zoppica avanti e indietro parlando in un cellulare. Tutti fingono di non vederlo. Alla fine della scena alla finestra saranno comparse le prime costellazioni invernali.)
LO ZOPPO: (parlando al cellulare, che tiene orizzontale davanti al volto; di quando in quando una infinitesimale goccia iridescente di sputacchio compare sullo schermo luminoso) “L’ho trovata che inseguiva le ombre delle rondini che salivano lungo il muro. Le ombre. No, le ombre, le rondini si aggrappavano al muro… era il muro di una casa. Sì. Si aggrappavano lì, era come– non lo so. No, non è un modo di dire è un modo di dire per davvero. No. No non è un modo di dire! Mi prende in giro? NO— Io sono calmissimo. Non è un modo di dire, è un modo di dire per davvero. Per davvero! Come non capisce, adesso mi viene a dire che non capisce cosa vuol dire per davvero? Per davvero, per davvero. Un modo di dire per davvero– Vaffanculo! (chiude la chiamata; seconda chiamata) Calma. Senza che sia un modo di dire. Per davvero. Lei seguiva le ombre fin da quando le vedeva strisciare sui bolognini e le guardava riattaccarsi alle rondini. Cercava di salire lungo il muro, diceva che aveva scambiato quelle più in alto per topi e si era cacata addosso dalla paura, si era cacata– no, no, caro, no, questo è un modo di dire, ti piacerebbe vero se io… no, non aveva barattato le rondini con dei topi, dato che le rondini non le appartenevano non le poteva barattare con niente, non ho usato la parola barattare. Sottolineo (ogni volta che dice “sottolineo” fa un gesto con la mano e quasi sempre nel farlo gli cade una stampella per terra). Sente come sottolineo? (la stampella cade per terra)”
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“Il ragno maschio esegue una danza di corteggiamento…” Io giravo raggomitolato su una sedia girevole e pensavo che così i ragni avrebbero capito che io non ero un insetto da uccidere; quando dormo seduto mi risveglio sempre con un vago senso di nausea come se stessi ancora eseguendo la danza del ragno sulla sedia girevole. (Parlando poi degli occhi dell’architetto, M. li paragona a quelli delle bambole o degli squali, e lì iniziano le digressioni sul sonno dello squalo: “Avevo visto una piccola bambola di porcellana, nuda, dentro una scatola di fiammiferi da caminetto. Era dentro una vetrina e l’antiquario mi aveva fatto notare la squisita fattura degli occhi, che a quanto pare sono un dettaglio decisivo per la valutazione della bambola e soprattutto del suo prezzo.”)
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“Un giorno ognuno di noi potrà essere santo per quindici minuti, hi hi hi hi hi hi hi hi hi hi hi!”
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Dopo aver preparato la scacchiera, Gianni detto Gianni sogguardò il suo avversario, e con un sorriso sghembo ripeté più volte di essere un grande campione di scacchi, venuto appositamente da Napoli per sfidarlo. Parlava con un accento talmente forte, tuttavia, da apparire caricaturale, con tanto di gesti burattineschi da Pulcinella, e fino alla fine l’uomo non fu mai completamente certo che il suo avversario fosse davvero napoletano. In ogni modo, Gianni assicurò il suo avversario di essere noto, a Napoli e nei circoli scacchistici di mezza Italia, con il nome di guerra di Scacco Matto Napoletano (disse proprio le parole “mezza Italia” e “nome di guerra”), ovvero di Scacco Matto di Napoli, e, pinzandogli con la mano a carciofo la spalla sinistra, disse che quel giorno lo Scacco Matto di Napoli era venuto fino sul lago di Garda per dare a lui una lezione di scacchi che non avrebbe dimenticato. In tutto questo discorso, e in tutte le conversazioni che ebbero in seguito, Gianni ebbe sempre cura di rivolgersi al suo avversario usando il “lei”, perché, come disse con un fare da vecchio film di Totò, erano “AceRRimi, sì, ma pur sempre galantuomini”.
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Mio padre mi osservava senza parlare; a volte distoglieva lo sguardo e premeva il palmo sulle briciole rimaste sulla tovaglia, come per schiacciare un insetto. Non so per quanto rimanemmo così. Poi vennero a prendermi.
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L’uomo aveva imparato a giocare a scacchi da suo padre, o meglio: era stato suo padre ad insegnargli il modo di muovere i pezzi sulla scacchiera e lo scopo del gioco, ma lui ne aveva penetrato i primi, banali, segreti solo molto tempo dopo, alle scuole, ma senza poi appassionarcisi più di tanto, anche perché non aveva mai trovato (fino a quel giorno) nessuno con cui fare pratica.
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(…continua la lettera del prof. Favori al prof. Zanna):
“barsàla, n. com., m., pl. -a, curioso tipo di creatura marina dall’aspetto antropomorfo (n. sc. fictushomo anguilingatus). Il b. abita i bassi fondali degli arcipelaghi mediterranei e delle coste adriatiche; questo straordinario animale deve la sua fama al suo aspetto, che è assolutamente identico, almeno per quanto riguarda i tratti esteriori, a quello di un uomo maschio adulto di razza europea. Di norma, il b. rimane quasi sempre fermo, appoggiato sul fondale, in una posa che può ricordare quella del →granchio. Se ha sempre suscitato grande stupore presso la comunità scientifica l’assoluta identità di aspetto tra il b. e la specie umana, non meno sorprendente è il metodo di caccia di quest’animale, metodo che è stato paragonato a quello del →camaleonte. Per cacciare il b. ha sviluppato una lingua spropositata, perennemente estroflessa e arrotolata a spirale in modo simile a quella delle →farfalle: in tale lingua, oltre che naturalmente nel fatto di essere un animale che vive sott’acqua, consiste l’unica differenza esteriore tra il b. e un essere umano; saldamente ancorato al terreno, il b. gira qua e là una testa furiosa scrutando l’orizzonte sottomarino, in cerca della preda; qualunque oggetto di dimensioni apprezzabili si stia aggirando nelle sue vicinanze, il b. srotola la propria singolare appendice scagliandogliela addosso in maniera fulminea e smoderata: ed è tanto scriteriato lo slancio, che talvolta finiscono intrappolate bestie che il b. non è in grado di inghiottire o di frantumare con i denti, come le →tartarughe marine; talaltra, una di tali prede indesiderate può addirittura appartenere ad una specie pericolosa per il b.: è il caso dello →squalo, o pescecane. Il momento in cui lo squalo subisce un attacco da parte del b. è forse l’unico in cui è dato di vedere quel pesce terribile restare come interdetto, momentaneamente indeciso se fuggire o meno dall’incauta creatura che lo ha catturato. Ma non è che un breve attimo: con una lenta torsione micidiale, il pescecane, come ricordandosi, piega le proprie fauci sul capo del b., e rapidamente lo uccide.”
(…continua)
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“A cui vol esser eccellente nel gioco de’ scacchi credo bisogni consumarvi molto tempo e mettervi tanto studio, quanto se volesse imparar qualche nobil scienzia, o far qualsivoglia altra cosa ben d’importanzia; e pur in ultimo con tanta fatica non sa altro che un gioco.” (B. Castiglione, Il libro del Cortegiano)
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Un respiro come il nastro di una vecchia musicassetta.
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Wunderhole.
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Descrizioni di Nita (d’ora in poi D.d.N. – dagli atti del processo intentato contro T***š B****k dai familiari delle vittime del videogioco NITA™); le D.d.N. vengono riportate litteratim:
“D.d.N.: Corpo aspro, misteriosamente se si tiene conto che è decrepita, fianchi non sbocciati, gli occhi del colore del cielo riflesso in una fontana o in uno stagno torbido, del tutto incoscienti del terrore di animale delirante … (omissis) … L’apparenza fragile come un’ala di farfalla, tanto che ti aspetteresti di vedere i suoi tratti sbriciolarsi in frantumi di polvere colorata, lasciando nient’altro che uno scheletro trasparente e sottilissimo, una cartilagine asimmetrica e labirintica come le ragnatele delle vedove nere.
D.d.N.: La sua famiglia possiede da che mondo è mondo un forno per il pane, prova, se mai di prove ci fosse stato bisogno, che lei stessa è stata messa insieme nelle alte temperature del forno, la punta delle dita e il bordo così tagliente dei denti appaiono infatti come bruciacchiati! La pelle bianchissima e i denti leggermente all’indentro come quelli di un qualche pesce centroamericano o di una maschera da gatto, di un sacrestano di fango.
D.d.N.: Quando è stanca è come se la faccia le scendesse un po’ più giù del cranio, lasciando trapelare il trucco, il cigolio del meccanismo di ferro che controlla le sue espressioni, gli sbuffi delle pompette di liquidi di vario colore che miscelando le ampolline simulano i riflessi del sole o delle stelle negli occhi di fango azzurro.
D.d.N.: Le mani come pallidi crostacei la cui corazza sia in fase di muta, deboli ragni tropicali, stelle marine infette.
D.d.N.: Sembra che al posto del sangue abbia delle creme o dei confetti o tutt’e due, pan di spagna intriso di liquori, i suoi occhi dischi di zucchero da succhiare.
D.d.N.: Da lontano sembrava una maschera veneziana, questo per via della falce che sporgeva di tra le spalle coprendo gran parte della testa, il corpo come il becco di un pinguino mutante.
D.d.N.: … (omissis) … un cervo magrissimo, vestito da arlecchino.
D.d.N.: Una minuscola regina le cui forme sono dissimulate da un abito decorato a complessi ghirigori colorati che ricordano quelli di un tappeto persiano. Visto un po’ più da lontano il corpo della regina appare come il volto di un vecchio, i ghirigori un tatuaggio che gli copre tutta la faccia.
D.d.N.: [… omissis … stavolta per amore di brevità: una complicatissima descrizione di una Natività, o almeno così era sembrato sino a che il bambino tenuto in braccio dalla presunta Vergine non si fu rivelato un pupazzo per ventriloqui].
D. d. N.: Un cielo perfettamente azzurro nel quale le nuvole si sfaldano come schiuma riassorbita nelle onde. Le rondini galleggiano come ritagli di carta e la creatura, bianchissima e talmente magra da essere ridotta a della pelle accartocciata contro uno scheletro dalla forma indescrivibile, un oggetto d’arredamento in stile Wunderkammer, o meglio un pezzo “segreto” della Wunderkammer, il cosiddetto Wunderhole, uno di quei pezzi tenuti nascosti sotto i tappeti o dentro i doppi fondi dei cassetti, pupazzetti di spugna grigia (forse i più tipici tra i Wunderhole) pozzi dove gigantesche mongolfiere viventi sollevano il visitatore con i loro tentacoli fatti di assicelle di legno tenute insieme da cordicelle e vecchie chewing-gum, meccanismi che in effetti simulano la vita, certamente simulano la vita, non può essere altrimenti, grazie a un complicato sistema di eliche azionate dal vento, in effetti dev’essere così, l’aggettivo “viventi” era sicuramente nient’altro che una fanfaronata da ciarlatano.”
(…segue)
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Nonostante Gianni ricusasse con mille sciocchi inchini, l’uomo insistette perché al matto toccassero i bianchi: per una specie di superstizione di cui lui stesso, oggi, prova meraviglia, non voleva essere lui il primo a muovere i pezzi di quella partita. Una precauzione, come si vedrà, del tutto inutile.
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Quando ritorno a san Satiro è per controllare che non abbiano tolto la panca.
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Non so quanto rimanevamo così. Poi venivano a prendermi.
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Mi siedo dove ero seduto allora, e controllo che nuovi graffiti non abbiano coperto il mio, o più precisamente mi accerto di avere, nella realtà del graffito, una prova sufficientemente accettabile della mia passata esistenza, se non di quella attuale.
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(…proseguono le D.d.N.)
“D.d.N.: Una pianta mutante cresciuta per caso dentro un bidone di plastica nera a Riva del Garda. I suoi rami rampicanti hanno una colorazione molto varia che ricorda quella degli stadi di maturazione del frutto del peperoncino. Alcune liane sono dotate di una certa mobilità (o forse sfruttano le correnti ascensionali), e le loro terminazioni di forma allargata funzionano come delle specie di piccole pale (ricordano le zampe delle oche); spostano lentamente la terra sopra le radici della pianta che in questo modo, grazie a ripetuti “scavi”, può arrivare a coprire distanze di circa 50 cm al giorno. Probabilmente questo sistema che potremmo definire semi-locomotorio aiuta la pianta a ottimizzare la propria posizione presso il bordo dei fiumi, suo habitat naturale, nel caso questi cambino corso.
D.d.N.: Ha un vestito viola nonostante la cui (del vestito) grandezza la contessa ne risultava strettamente fasciata e nello stesso tempo debordante.
D.d.N.: Bimba madida di febbre / Bimba bimba bimba / Febbre Febbre Febr-br-br-br-brrrrrr. Dev’essere rimasta intrappolata in quel cunicolo buio e umido per tanti di quei giorni. Si strofina con un pugno l’occhio sinistro, che in un angolo appare coperto di piccole croste di sporco e forse di parassiti. Fa un debolissimo colpo di tosse, afono, quasi un sospiro dalla bocca semiaperta, come se il suo stesso male, esausto per la prolungata clausura, … (omissis) …
D.d.N.: Bocche le aprono la bocca con le labbra, oppure serpenti attorcigliati.
D.d.N.: Pelle ruvida come la carta dei soldi. Fa lo stesso rumore, quando la tocchi. Bambola di carta. I denti possono tagliare. La lingua ha l’odore e il sapore del muschio, eppure sembra di poterla sfogliare, una pagina dopo l’altra come se fosse un libro, di poter schiacciare tra le sue pagine dei fiori o degli insetti per farli seccare. Soldicotone.
D.d.N.: Come una minaccia dei dettagli del paesaggio [… omissis …, nuovamente per amore di brevità: la d.d.N. in questione, pur essendo senza dubbio una delle più interessanti e forse persino la più interessante tra quelle lette durante il processo, è tuttavia impossibile da recuperare per intero, sia per la sua – attuale – estensione, eccessiva per i limiti imposti a questa nota, sia perché di fatto tale d.d.N. è ancora incompleta in quanto il tester/vittima che ne è “autore” la sta ancora ultimando. Si tratta forse della manifestazione più estesa di NITA™, senza contare che è anche quella in assoluto più lontana dal mondo dumasiano (ma cfr. infra) cui l’apparente strega (cfr. infra) dovrebbe appartenere. In questa descrizione – la cui lettura forzatamente parziale durante il processo ha richiesto tre distinte sedute, l’ultima delle quali ha avuto una curiosa e, non fosse stato per l’affaticamento di tutti gli ascoltatori dopo tre giorni di lettura, tutto sommato divertente “coda di aggiornamenti”, ovvero piccoli foglietti e noticine inviati/estorti dal/al tester/vittima a corollario, a propria volta parziale, dell’incompleta descrizione – NITA™ si chiama CittàNeon ed è una specie di mostruosa installazione artistica cancerosamente invasiva di tubi luminescenti eseguita da un non meglio/non ancora specificato artista del neon. L’installazione CittàNeon guida l’osservatore attraverso un lungo percorso di tubi colorati che si accendono ad intermittenza; se l’osservatore è sufficientemente immerso nella visione, i tubi di neon lo conducono, senza che riesca ad accorgersene, all’esterno del locale in cui è stata sistemata l’installazione; qui CittàNeon si confonde in modo quasi virale con le insegne luminose della vera città, moltiplicando o azzerando le prospettive, alterando la mappa della città vera e raddoppiandola come una bruciatura o un’ustione improvvisa; a volte i tubi curvano all’interno di abitazioni private, dove l’osservatore non può penetrare; nelle diramazioni principali, i tubi diventano veri e propri canali nei quali l’incandescenza attraversa il gas in modo imperfetto, come una lenta e ubiqua medusa di fuoco. L’intermittenza della luce è quella che spinge l’osservatore nelle direzioni desiderate, creando delle semianimazioni piuttosto complesse che in qualche modo ricordano – questo beninteso secondo il tester/vittima autore della d.d.N. – le insegne dei locali a luci rosse, un labirinto di figure luminose che popola la città reale e che, tale sembra il fine dell’opera, forse è la città stessa. Alcuni degli spettatori dell’installazione (o forse semplici passanti, ma distinguere tra le due categorie non è di fatto possibile) per errore o di proposito hanno danneggiato alcuni tubi, che ora pendono rotti o scheggiati, la regolarità dell’intermittenza gravemente compromessa, il ronzio della traboccante elettricità come nugoli di mosche; procedendo da una figura luminosa all’altra, l’osservatore si ritrova infine all’estrema periferia della città reale e da ultimo in un bosco, dove il neon si spegne definitivamente, non rimanendo che una tenuissima palpitazione opaca.) Canali di neon scorrono lungo le strade incendiandosi alternativamente e, a seconda del numero di intermittenze o delle intersezioni con altre reti di tubi, CittàNeon diventa un presepe … (omissis) …, un porcile (… omissis … — La descrizione di giganteschi maiali di neon occupa più di cinquanta pagine degli atti processuali), una scacchiera carnivora, una manta smisurata di cui si individuano a malapena le ali come galassie che marciscono tra il fogliame, il sorriso di pescecane mutante, i denti ricurvi come miriadi di lune calanti. CittàNeon lascia nell’occhio dell’osservatore una traccia abbagliante, una carne luminosa che infetta la retina e da quel momento resta sospesa davanti alla vittima come un ingombro accecante e malfermo sul punto di crollarle addosso.
D.d.N. [Letta dalla difesa in una delle fasi finali del processo e presentata come una “Lettera di NITA™ dalla quarantena [cfr. infra] di SHERWOOD®”, si tratterebbe del risultato di una “infettazione” particolarmente distruttiva e sinistra degli algoritmi costituenti il personaggio di Lady Marian, cui la stesura di questa “lettera”, naturalmente sotto l’influsso della “strega del piscio” (cfr. infra) NITA™, è stata attribuita, nonostante sia, almeno a detta del comitato stilistico-narratologico (cfr. infra), “quanto di meno dumasiano, né tampoco stendhaliano, se è per questo (cfr. infra), e men che meno robinudiano, si possa desiderare”; T***š B****k afferma sia stata la lettura della d.d.N. che segue la prima scintilla che ha spinto lui e la sua equipe ad iniziare a lavorare al progetto DAIMON™]:…”
(…continua)
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L’apertura di Gianni lo lasciò interdetto, e in dubbio se cacciarlo via: il matto infatti diede di piglio ai due cavalli contemporaneamente, e li sistemò tutti e due davanti alla fila dei pedoni, e perdipiù senza minimamente rispettare la regola del movimento del cavallo. Osservando tra il divertito e il deluso quei due cavalli disposti in modo sbilenco, l’uomo si accingeva a correggere Gianni detto Gianni e a fargli ridisporre la scacchiera, quando gli piovve in testa chissà da dove un’idea sufficientemente terrificante da elettrizzarlo: decise lì per lì di tentare, lui che del gioco sapeva poco o nulla, una sfida scacchistica difficilissima e inaudita, nella quale avrebbe concesso che il matto movesse i pezzi come più gli fosse piaciuto, e che conducesse le proprie mosse secondo le proprie imperscrutabili regole, mentre lui da parte sua avrebbe continuato a giocare come se niente fosse, spostando gli scacchi secondo le regole tradizionali, cercando di batterlo. Era la Ragione contro il Delirio (sempre che uno scacchista men che mediocre e uno scemo di paese possano incarnare in modo decente la Ragione e il Delirio).
Dopo che, come da una sassata, fu colpito da questa idea, che considerò non strana e terrificante, bensì originale e spiritosa, si può immaginare con quanto buonumore nell’animo l’uomo, cui come si ricorderà erano toccati i neri, spostò di due caselle in avanti il pedone del re.
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Il miracolo del corridoio di Bramante, un oscuro racconto tramandato dall’agiografia contemporanea (oggi tra i generi in assoluto più esoterici e meno commerciali). La sparizione di un sacerdote dietro una finta apertura del finto colonnato e le inchieste connesse, l’agiografia mescolata irreparabilmente con rilievi e rapporti della polizia scientifica, ma poi forse è sempre stato così, le vite dei santi come un laboratorio apparentemente infinito pieno di gabbie e di cavie, per rivelare la cui complessiva bidimensionalità è sufficiente spostarsi di qualche grado rispetto al punto di osservazione predisposto dall’architetto.
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Non so quanto rimarremo così. Poi verranno a prendermi.
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LO ZOPPO: (Nuova chiamata) “Non so più che fare con te. La gola. Sottolineo. La gola, guarda, mi si secca tutta, guarda, guarda ti ho detto, è come avere in gola della moquette nella gola. Guarda.” (Protende il collo sopra lo schermo del cellulare. Entra il MEDICO. Si avvicina all’uomo.) MEDICO: “Lei che cos’ha?” LO ZOPPO: “La gola secca.” MEDICO: “Faccia vedere.” LO ZOPPO: (Protende il collo verso il medico) “E poi mi si stanno incollando…” MEDICO: “In una scala da 1 a 10, 1 : fastidio trascurabile = 10 : dolore insopportabile, che voto darebbe alla sua gola secca?” LO ZOPPO: “…le ginocchia. Dov’è finita mia moglie? Era qui. Dove l’avete portata.” MEDICO: “L’hanno portata di là, è qui, non si preoccupi. È la gola o le ginocchia che le fa male– che le fanno male?” LO ZOPPO: “Come l’hanno portata di là, ma che cazzo di posto è questo, voi non potete prendere le persone–” MEDICO: “Non alzi la voce.” LO ZOPPO: (a voce più bassa) “Non potete prendere–“ MEDICO: “E moderi il linguaggio. Siamo in un ospedale.” LO ZOPPO: “Quello che dico anch’io, ma dovrebbe, sottolineo (gesto di sottolineatura; la stampella cade; raccoglie la stampella), dovrebbe essere un ospedale, e invece io sono qui da ore che vado su e giù, le ginocchia mi si stanno incollando e ancora nessuno mi ha chiesto nemmeno come va…” MEDICO: “In una scala da 1 a 10…” LO ZOPPO: “E poi arrivate voi e portate mia moglie non si sa dove, e questo sarebbe un ospedale, ma cazzo.” MEDICO: “–
(…continua)
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Il matto si mostrò molto impressionato dalla risposta alla sua apertura, tanto da lasciarsi sfuggire una violenta bestemmia; dopodiché sprofondò in quella che poteva essere una intensa e rancorosa riflessione. Di tanto in tanto avvicinava le mani ai pezzi, ma le ritirava subito, di scatto, come se la scacchiera fosse rovente. L’uomo mandò giù un sorso di birra e si fregò le mani sotto il tavolino, molto soddisfatto per aver messo in difficoltà il grande Gianni detto Gianni.
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(…prosegue il riassunto delle puntate precedenti)
IL PRESIDENTE: Il presidente architetto, la cui descrizione il lettore attende da troppo tempo. Occhi di bambola messicana, risata di donna giapponese: “Hi hi hi hi hi hi hi hi hi hi hi!”. Lo diresti un sogno balordo, non fosse per il profilo tagliente del suo biglietto da visita che ti si disegna implacabile tra le mani mentre riprendi conoscenza in quello stesso scompartimento del treno diretto a Venezia.
GIORGIO GIORGIO: Direttore del pio istituto di S. Satiro, sacerdote sorvegliato dalle forze di polizia per il contenuto eversivo (“fin terroristico”, tale l’ormai consolidata formula utilizzata nei rapporti agli atti) delle sue omelie.
LA BAMBINA COL FRAC: In apparenza un personaggio poco meno che bidimensionale intrappolato in una bislacca opera lirica per bambini intitolata The Fools in the Woods. Segue a parziale chiarificazione la storia del padre (il cd. “Ex Atleta”) della cd. “Bambina col Frac” in ventisei vignette fumettistiche:
- Atleta che esegue un volteggio alla sbarra.
- Primo piano delle mani dell’atleta attorno alla sbarra. Una mano è saldamente attaccata (nuvolette di magnesite, fasciature, al polso un laccetto di cuoio con un piccolo amuleto a forma di diavolo), l’altra ha perso la presa. Frammenti di balloon, a sinistra e a destra, di due radiocronisti (i balloon sono interrotti dai bordi della vignetta; la stanghetta verticale indica gli a capo): Balloon 1: “…rrore manda in fumo | …eranze per l’oro”. Balloon 2: “Speriamo che q… | di certo una grande delu…”
- “Era come se fossero già tutti lì, come in attesa dell’infortunio.” Il padrone del “Wunderhole Circus” (molto magro, gobbo, frac rosso, labbra sottili e rossissime, bocca larga, pelle bianca, occhi neri, bastone) porge all’atleta infortunato un grande foglio di carta e una penna molto vistosa, con piuma nera. Li si vede di profilo; sono dentro una palestra olimpionica; sullo sfondo il pubblico, gli atleti, uno o più clown che fanno pasticci alle parallele o agli anelli. Dietro il padrone del circo spunta una proboscide, come se un elefante fosse entrato nella palestra. Balloon del padrone del circo: “…nterai l’attrazione principale. Ecco il contratto.”
- Fotografia della famiglia del circo insieme a quella di un luna park. Persone e animali: cavalli, pantere, un elefante, scimmie etc. L’atleta è in un angolo; tiene per mano una ragazza e viene amichevolmente maltrattato dagli altri diavoli volanti. Didascalia: “Giravamo insieme a un luna park. Dopo un po’ mi sono fidanzato con la ragazza dei pesciolini.”
- La vita nel circo. L’atleta aiuta a montare il tendone. “Eccomi là. A volte li odiavo. Li odiavo davvero. Soprattutto odiavo i loro stupidi nomignoli. A volte odiavo anche lei.” Balloon di un clown rivolto all’atleta: “Occhio alla merda di elefante, mister amigo.”
- Manifesto del Wunderhole Circus n. 1. In primo piano ci sono dei clown, i diavoli volanti sono sullo sfondo. Balloon di due persone che osservano il manifesto. Balloon 1: “C’è anche quell’atleta olimpionico, quello che si è fatto male, come si chiama…” Balloon 2: “A me il circo non piace, andiamo in discoteca, dài. Non mi porti mai a ballare.”
- Fotografia dentro un album con l’atleta e una ragazza in abito da matrimonio; accanto alla ragazza, uno dei diavoli volanti della prima foto; accanto all’ex atleta, sua madre, una maschera di dignità. Balloon a sinistra e a destra, appartenenti all’ex-atleta, alla ragazza dei pesciolini e a una terza al momento e forse per sempre ignota persona. Balloon 1 (a sinistra): “E questa è quando ci siamo sposati.” Balloon 2 (a destra): “E quella signora vicino a te con quel brutto muso?” Balloon 3 (sinistra): “Quella è mia madre.” Balloon 4 (destra): “…” Balloon 5 (sinistra): “È che non è fotogenica.” Balloon 6 (in un angolo, interrotto dai bordi della vignetta): “Sì, col cavolo. La classica suocera. Non mi ha mai potuto vedere, quella str…”
- Le boccette dei pesciolini, viste dall’alto o di profilo; oltre ai pesci rossi le boccette ospitano alcuni animali acquatici insoliti: cavallucci marini, minuscoli serpenti colorati che escono come alghe dalla sabbiolina, meduse, axolotl. In alcune vaschette ci sono delle palline colorate a spirali. Didascalia: “A volte mi sembra di ricordare delle cose che sono successe, poi mi rendo conto che in realtà erano incubi.” Balloon: “Forza bambini, una pallina, un pesciolino. Basta fare canestro.”
- Manifesto del Wunderhole Circus n. 2: Lui è diventato davvero l’attrazione principale. Due balloon, a destra e sinistra. Balloon 1: “Ti hanno messo al posto dei pagliacci.” Balloon 2: “Mamma, ma quand’è che la smetti?”
- Colazione doping. Un vassoio portato da una mano guantata. Il guanto è liso e in alcuni punti lercio. Una tazza con cereali, una spremuta, diversi blister ritagliati alla bell’e meglio. Contengono pasticche colorate; alcune hanno colori di tipo circense (spirali, spicchi variopinti…); nella vignetta 6 ci sono gli stessi colori che nella 5, e le spirali che decorano le pasticche sono le stesse delle palline nelle vaschette dei pesci. Didascalia: “Non è come quando facevo le gare. Qui c’è dappertutto odore di segatura e di piscio di elefanti, e posso prendere di tutto.” Balloon in un angolo: “La colazione è servita, mister amigo.”
- L’ex atleta si esercita, visto dall’alto. Sotto di lui sagome di pantere. Didascalia: “Per i muscoli. Per l’equilibrio.”
- Stessa inquadratura, con l’ex atleta in un’altra posizione, quasi del tutto fuori dalla vignetta. Sotto di lui sagome di clown che lavorano con una saldatrice. Didascalia: “Per le vertigini. Per la paura.”
- Primo piano di profilo dell’ex atleta; si capisce che sta tenendo in mano un fucile. Didascalia: “A volte la ragazza dei pesci rossi stava fuori tutta la notte.” L’atleta parla con qualcuno che non vediamo: “Hai visto mia moglie?”
- Primo piano frontale della persona cui è puntato il fucile; sorriso teso, la faccia quasi del tutto coperta e quasi perfettamente divisa in due dalla canna del fucile. Didascalia: “Io restavo sveglio sdraiato sul letto e mi chiedevo come dovevo comportarmi. Uscire a cercarla. Picchiarla. Affrontare il suo amante.” La persona cui è puntato il fucile ghigna un: “Dài, spara, cosa aspetti.”
- Stessa inquadratura di 13. L’ex atleta ha sparato. Didascalia: “Il piscio delle pantere puzza da vomitare.”
- Inquadratura a corpo intero dell’ex atleta; è vestito come un bulletto: capelli corti o berrettino di lana, spalle molto larghe per via del giubbotto imbottito. È davanti al baracchino di un tiro a segno. Una mano da dentro il baracchino (non vediamo di chi è, ma potrebbe essere della persona alla cui faccia era puntato il fucile) gli porge un pupazzo. Sullo sfondo alcuni ragazzi a un tirapugni. Didascalia: “Non sono sicuro.
- Incubo (forse indotto dal doping circense): dentro la roulotte, l’atleta dorme, contratto e sudato.
- Il letto è di profilo per il lungo, sulla sinistra e per metà fuori vignetta: perciò il corpo dell’ex-atleta è visibile solo dalla vita in su. Tutto il resto dello spazio, oltre il letto e sopra l’ex-atleta, è occupato da un clown con il corpo di lumaca, circondato da una quantità straripante di giocattoli (tricicli, strumenti da fanfara, palloncini di varie dimensioni, soldatini fatti con ossa di pesce… ogni cosa in gran numero e grandezze che spaziano dal microscopico al gigantesco), il ventre tagliato da un enorme rasoio giocattolo oppure già aperto, la ferita tenuta divaricata con degli spilloni colorati o con dei ferri da calza; dalla pancia escono filamenti colorati, budella, un mucchio di cuori di gommapiuma gialla. Balloon: “Cos’hai sognato?”
- Inquadratura ravvicinatissima di un occhio; la pupilla o l’iride hanno qualcosa di deforme, come se fossero state contaminate dal sogno. In anamorfosi, riflesso nell’occhio si vede il soffitto della roulotte, e la ragazza dei pesci rossi che lo guarda.
- Stessa scena, con inquadratura allargata e bordi sfumati come nel mezzo di un rapidissimo zoom all’indietro.
- Inquadratura da sopra. Balloon: “Cos’hai sognato?”
- Primo piano del volto dell’acrobata mentre esegue lo spettacolo al trapezio. Il volto non ha cambiato l’espressione che aveva durante l’incubo. Didascalia: “Cos’hai sognato?”
- Acrobata che vola da un trapezio all’altro.
- Mani guantate in modo elegante tenute da altre mani, nella posizione di presa dei trapezisti; una delle due ha perso la presa.
- Pubblico terrorizzato. I genitori coprono gli occhi ai bambini.
- L’ex atleta è su una sedia a rotelle. Davanti a lui, una serie di scimmie meccaniche spelacchiate; lui gira una manovella, ma non si capisce se aziona le scimmiette o un organetto; due o tre bambini; uno di loro ha un palloncino a forma di elefante; due cani si annusano vicendevolmente il culo. “Dopo l’incidente non potevo più restare là.”
- Primo piano di due occhi di donna, il volto metà bianco e metà nero.
- Stessa scena che in 24, ma con più persone. La ragazza dei pesci, vestita in domino, il volto metà bianco e metà nero, con un naso da clown, cammina sulle mani. Tutti ridono, anche l’ex atleta. “La ragazza dei pesci è venuta via con me.”
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Tutti ridevano, anche il padre della bambina col frac.
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Gli occhi come quelli di una bambola, o di uno squalo.
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Potevo sentire il rumore del suo respiro come il silenzio di una vecchia musicassetta, ed è stato in quel momento che mi sono innamorato di lei.
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M., cioè Milos; vicino alla lettera, il cuore malamente inciso (la sola visione è sufficiente ad evocare la voce di padre Giorgio Giorgio che si spappolava contro gli affreschi sbiaditi, le dita appiccicate di zucchero, la lama arrugginita del coltellino e i contorni del cuore tremuli di paura gelida, soave) si direbbe morso e tarlato da un verme che un esame più compassionevole rivela essere una S., e cioè
[continua l’11 aprile]