Non ho fatto in tempo a presentarmi, che già la ragazza del primo banco aveva sollevato la mano per chiedermi la parola e raccontarmi tutto. Del resto, il dirigente mi aveva avvertito neppure mezz’ora prima: – Il suo è un incarico delicato -, ma solo dopo avermi stretto la mano; cioè dava per scontato che io avrei accettato l’incarico, senza spiegarmi il senso delle sue parole; sicché io avevo pensato che sì, fare il professore di scuola è un affare delicato, ci vuole molta pazienza con gli adolescenti, mica ci si può improvvisare! Ma quando ho dato la parola alla ragazza del primo banco e lei mi ha detto tutto nella classe ammutolita, allora mi sarei messo a ridere se il silenzio unanime di trenta ragazzi non mi avesse convinto che c’era poco da scherzare.
Che cosa ha raccontato la ragazza? Lo dico subito. Ha raccontato che una settimana prima, durante la lezione di storia, il professore, mentre stava spiegando la battaglia di Salamina con la sua solita buona inarrestabile loquela, all’improvviso aveva incespicato nella parola “tri-re-me”, aveva balbettato senza riuscire a pronunciare la parola per intero, e poi, che è che non è, puff, era sparito, scomparso, dissolto nel nulla, volatilizzato; e l’intera classe si era ritrovata senza il suo professore di storia.
– Ma – dico – siamo matti? – incalzo subito la ragazza del primo banco – volete prendermi in giro? – aggiungo, mentre sento che un leggero brusio di disapprovazione si leva nella classe.
– No, no, professore, nessuno vuol prenderla in giro. Qui ci sono trenta ragazzi testimoni della sparizione – ed in effetti erano tutti e trenta lì, nei banchi, composti, seri, annuenti.
– Vorrà dire che il vostro professore era un prestigiatore, un illusionista, un novello Copperfield; sarà ricomparso subito dopo, immagino.
– No, professore, è sparito e finora non è più ricomparso.
– Ragazzi, siate seri! Volete farmi credere che io sto supplendo un essere misterioso improvvisamente scomparso, davanti a voi, senza lasciare traccia?
In quel mentre la porta si è aperta ed è entrato il bidello. Recava una circolare che avrei dovuto leggere e firmare. Ha attraversato l’aula per raggiungere la cattedra, guardandosi intorno come per capire che cosa stesse succedendo. Ma lui – come seppi subito dopo – conosceva bene il perché di tanto silenzio. Infatti, mi ha detto: – Le hanno raccontato tutto, non è vero?
– Che cosa mi avrebbero raccontato? – ho chiesto, per metterlo alla prova.
– La sparizione del professore …
– Sì, sì, mi hanno detto tutto, questi ragazzi hanno voglia di scherzare …
– Li prenda sul serio, professore, non li sottovaluti. Del resto, non vede come sono silenziosi? Ma è strano che il dirigente non gliene abbia parlato.
Neanche lo avesse evocato, ecco che il dirigente si affaccia alla porta. I ragazzi si levano in piedi e io saluto, invitandolo a venire avanti.
– No, no – mi dice, – continuate pure, volevo solo assicurarmi che tutto andasse bene.
– Sì, va tutto bene. I ragazzi mi hanno accolto con uno scherzo, in cui hanno coinvolto anche altre persone – dico, alludendo al bidello.
– Capisco, l’hanno informato della sparizione del professore che lei sta supplendo.
– Non mi dica che anche lei è d’accordo …
– No, professore, lei non ha capito. Qui nessuno le sta facendo uno scherzo; io gliel’ho detto che questo è un incarico delicato. Quello che le hanno raccontato è del tutto vero. Guardi questi ragazzi: dal loro silenzio può vedere quanto ancora siano turbati. Una sparizione del genere è inesplicabile, non è mai accaduta prima in nessuna scuola del mondo.
– Lo credo bene – rispondo io, e già la mia voce si andava alterando. Pensavo tra me: – Lo scherzo è bello finché dura poco.
– Si calmi, professore, lei può anche decidere che quanto le abbiamo raccontato non sia vero, e fare le sue lezioni normalmente, come se nulla fosse; spero però che non rinunci all’incarico perché sarebbe già il quinto supplente che va via, mentre i ragazzi hanno bisogno del loro professore di storia.
– Rimanga, professore, rimanga – sentii che dicevano alcuni ragazzi, tra cui la ragazza del primo banco.
Ero sbalordito ma abbastanza lucido per capire che il dirigente a bella posta non aveva precisato la natura dell’incarico delicato, come lo definiva lui, perché io entrassi in quella classe e mi trovassi, per così dire, davanti al fatto compiuto. Del resto, avevo bisogno di quell’incarico, non potevo farne a meno. Firmando la mia condanna, dissi: – Certo, farò finta di nulla e sarò il vostro insegnante di storia.
In quel momento vidi tutti i volti rasserenarsi: sorrise il preside, sorrise il bidello, sorrisero i trenta studenti con in testa la ragazza del primo banco. Erano tutti visibilmente contenti. Il silenzio irrreale che fino ad allora aveva regnato nella classe si mutò dapprima in leggero brusio di approvazione, poi in sommesso e già fastidioso cicaleccio – mentre il dirigente, seguito dal bidello, infilava la porta e la chiudeva dietro di sé, senza neanche salutare -, poi il cicaleccio si trasformò in chiacchierata, infine tutti parlavano ad alta voce cercando di sovrastarsi gli uni gli altri. Feci appena in tempo a meravigliarmi di questa metamorfosi, attribuendola dapprima alla contentezza dei ragazzi che avevano finalmente acquistato il loro professore di storia, ma subito dopo avvedendomi che le cose non stavano proprio così. Infatti, cercai di dire qualcosa alla classe alzando il tono della voce, intimai più volte di fare silenzio, alla fine lo dissi anche in latino: – Si-len-tium!-, ma proprio mentre cercavo di dire questa parola – era la mia parola maledetta! – incespicai, balbettai, non riuscendo a dirla tutta d’un fiato, tante e tali erano le urla che si levavano da un capo al’altro della classe. Non solo tutti gridavano, ma mi voltavano le spalle con una noncuranza che non aveva nulla di sfacciato e di innaturale.
Allora capii che tutto quello che mi avevano raccontato era vero e che anch’io, all’improvviso, incespicando in una parola, ero sparito.