Nella partitella di pallone del sabato pomeriggio nella pineta dantesca di Sant’Apollinare in Classe, ho la certezza di sempre giocare in compagnia del Belacqua di Beckett.
Comunque in campo ci sono, e anche questa volta gioco, in un campo come questo voglio dire, con la pineta intorno, Belacqua in tuta aragosta che giocherà con noi.
Ci sono affezionato a questo posto, lo dico sempre, forse perché è come nei campi improvvisati di quando eravamo bambini… e poi c’è la radura, lo squarcio luminoso di verde all’interno del grande bosco antico. Nessuno che arrivi qui può rifuggire dalla visione di landa abbandonata, non fosse che per le porte sghimbesce davanti alla nera lavagna del cupo sottobosco.
I giocatori, o chi per loro, come arrivano al campo passeggiano salutandosi e parlottano, mentre con i piedi spianano le montagnole di terra che le talpe hanno scavato la notte. A volte ricoprono le buche fatte dai cani e le feci calcinate dal sole. Qualcuno accenna una battuta del tipo: “I cani la devono fare oltre la linea del fallo!”, e altre amenità. Dove è il cerchio del centrocampo c’è la fossa, una serie di avvallamenti vagamente circolari, che prima o poi sistemeremo portando camion di terra.
Ogni volta che arriviamo e prima della partita c’è questo lavoro di sistemazione del campo. Per esempio le porte, pali arrugginiti, reti sfasciate che quando arrivai la prima volta le rattoppavano, le reti, che ancora oggi bisogna metter mano alle sfilacce.
Anche la forma del campo ha preso derive strane… chi sa dire dove sono le linee del fondo campo?
Qui si gioca su un piano inclinato, dice qualcuno, qui è il posto dei vecchi pachidermi del mito polveroso, del gioco per uomini dalle lunghe mutande.
Questo non è sempre vero però, che ci sono anche belle promesse del calcio che appena prima di cominciare si sono sgonfiate, chi per un incidente, chi perso chissà per quale ignavia. Non mi ricordo un sabato pomeriggio che non si sia giocato, almeno fino alla piena estate perché poi si ciondola al mare. Non mi ricordo che il tempo meteorologico abbia mai impedito una partita di calcio che abbiamo giocato anche con le trombe d’aria.
I primi che arrivano, si è detto, parlottano sul campo, poi un segnale impone la vestizione. Bisogna calzare le scarpe chiodate e nell’attesa provare tiri da fuori area o palleggi discreti. I miei muscoli non necessitano di una corsetta, ma c’è chi si allontana per un attimo dal campo per fare il riscaldamento. Chi è impaziente inveisce con chi è seduto sul terreno
e la tira lunga in chiacchiere.
Può essere che qualcuno dica che si fa tardi e il sole cala, oppure che il biancospino non è ancora fiorito e che quest’anno non arriva mai la primavera e allora un altro dice basta con queste chiacchiere.
Tutto in realtà inizia quando due giocatori con il pari e dispari fanno le squadre e distribuiscono le parti, gli spazi e la palla. Successivamente il gioco inizia, uno dà il calcio di avvio, segue
contesa sempre uguale e diversa e correre fino alla fine dietro la palla.
Oggi c’è il cielo azzurro, l’aria profuma di resina. Della partita di oggi si deve dire che le squadre sono sbilanciate, quelli che corrono sono con gli altri. Sento subito che sono nella squadra sbagliata. Non mi spiego perché già dall’inizio non funzionano le gambe, corro lungo la fascia come se avessi nei polpacci fascine di sabbia.
Ma qui che importa, non giochiamo per il risultato, nel calcio conta il bel giocare; poi, se viene il risultato lo portiamo volentieri a casa. Così tanto per dire… uno gioca bene e un altro ha fatto qualche bella azione il risultato invece non l’ha portato a casa, oppure viene da giocare con la squadra corta e fai un pressing da schifo e il risultato viene.
Sabato tutti quelli che giocano al calcio, ma succede anche di domenica e di lunedì, dialogano su queste cose ragionate altrimenti dette commenti.
Viene da dire in tale straparlare: come ho potuto sbagliare quel gol che era fatto, quel passaggio, la botta che mette dentro la palla?
Non sono solo ragionamenti del dopo, già giocando, per esempio, ragiono i pensamenti. Ecco la palla ritorna… bisogna farla viaggiare… “dàlla quella palla, dàlla sui piedi quella palla, dàlla…”. Sto in piedi, fermo, e giro la testa di qua e di là, corro che neanche me ne accorgo, oppure non corro e cammino seguendo gli sviluppi del gioco. Copro la mia zona a ridosso dei pini dalle belle chiome, mica sono scemo… ma che ciondolare in catalessi, ci sono, ci sono!
Il campo ha comparti o zone, ci sono comparti per quelli come me che sono più indicati per il calcio pensato, in zone di temporalità ferme o di attesa, voglio dire zone a comparti dove stazionano i secondi decisivi, dove non si tocca palla ma si fa gioco, roba da giocatori che assaporano chissà quali sviluppi, che avendone parlato adesso o anche solo accennato qui, non dovrò parlarne dopo. La palla va fatta correre, lo sappiamo, che a correrle dietro è da principianti. Bisogna correre senza palla e farsi trovare. Adesso c’è un fallo da dietro. Ci regoliamo così in mancanza di un arbitro: chiediamo punizione, contrattiamo. È il caso di questa spinta evidente, che a momenti mi rompi la caviglia. Si riprende e perdo palla… Il perdere palla mi disturba. Mi sono messo in ginocchio per la palla perduta, ve la racconto così, quindi
mi sono messo in piedi e di sbieco movimentando gli occhi.
Perché bisogna dilungarsi su palle perdute e su palle da non perdere, ragionarci sopra, ma non sempre ho l’ardire di attenermi a questo principio.
Cose che comprendo sempre meno, non me lo nascondo, e perché dovrei nascondere qualcosa e di fronte a chi, a voi che sapete tutto del calcio?
Ci pensano i piedi. Si spiega perché non corro… non potevo arrivare su quella palla, che vi prende?, non potevo farmi trovare dove dovevo.
Non c’era spinta da principio, che senso ha prendersela? Questa è venuta bene per sbaglio: azione di prima, scambio corto, lancio e la rovesciata. Visto ? Volete vincere, ho capito… non sono il tipo che lascia agli altri il risultato… semplicemente non sono riuscito a farmi trovare all’appuntamento con la palla.
Era lunga, lo volete capire? Se sono capace di fare molte cose senza riflettere, senza sapere quello che sto per fare se non quando sono fatte e nemmeno allora, il farsi trovare dove viaggia la palla evidentemente non è tra queste. Di sicuro c’è che la palla continua a viaggiare.
A me venite a dire l’importanza di essere lì a colpire. Volete il gol… magari una palla smorzata infilata nel sette con bella traiettoria di figura. Non si spiega perché non mi arriva la palla del gol e altre cose che in altri tempi di bianco e nero sarebbero state chiarissime.
Niente, non va neanche con un gol fatto da Belacqua, che ve lo ricorderete per parecchio tempo.
Ma perché non giochi invece di parlare? Ma io gioco, che vi prende, non sto forse giocando? Guardate le caviglie.
Un giorno tornerò di certo qui o in una depressione analoga, ho fede nei miei piedi, come un giorno troverò campi vicino a una pineta non dantesca con giornate limpide di pensate esatte e calme.
Tutto un resto di tempi e luoghi già vissuti che prendersela con un luogo è assurdo – stavo per dire questo campo, a questa ora, ma non voglio offendere nessuno.