Dai lettori casuali, così come da tanta – ideologica, ideologizzata – critica, Primo veniva, e viene, considerato uno “scrittore ebreo”. Lui che si è adattato alla condizione di ebreo soltanto a 19 anni, come effetto delle leggi razziali, emanate in Italia dal regime fascista, nel 1938. E dopo la deportazione ad Auschwitz.
“Scrittore” si è percepito solo dopo aver pubblicato due libri, Se questo è un uomo e La tregua, oltre i 45 anni, quando il “mestiere” di scrivere ha cominciato a prevalere sul di lui lavoro quotidiano, quello di chimico, senza che vi fosse una scelta deliberata e consapevole, anzi vestendolo di panni non propri, come avrà a dire.
Mestiere: una parola che deriva paradossalmente da mistero, ossia da ciò che non si può dire.
E di cui il testimone può decidere di non voler dire, magari fermandosi sulla soglia dell’estremo.
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A settembre, Philip Roth giunge a Torino, accompagnato alla compagna: l’attrice Claire Bloom, per intervistare Primo. Assieme, visitano la Siva.
Roth paragona Primo a uno scoiattolo, sempre vigile. E riassume, in poche parole, l’esperienza d’una vita, definendo una cosa sola lo scienziato, lo scrittore, il superstite.
In una delle risposte a Roth, Primo ritorna al concetto di “scrittori di frontiera”, “a cavallo di due (o più) culture”, perimetro cui sente appartenere. Altri nomi che include nell’elenco – una annotazione ripristinata in edizioni successive alla prima stampa dell’intervista – sono: Naipaul, Duras, Gordimer, Rushdie, Canetti, Kundera, Rigoni Stern (che “appartiene ad un’arcaica minoranza tedesca”), Tomizza, Bassani e Sciascia. Il dialogo, cui i due lavorano assieme, appare, in versione differenti, su The New York Times Book Review, poi su La Stampa.
Proprio l’editrice La Stampa pubblica – distribuendola inizialmente attraverso il giornale – una collezione degli scritti pubblicati dal quotidiano torinese, il più antico risalente al 1960, la maggior parte editi fra il 1977 e il 1986, dal titolo Racconti e saggi, con una breve, eppure significativa, inedita Prefazione dell’autore, che afferma, nel corso della vita, “aver attinto a varie fonti” e “respirato arie diverse, alcune salubri, altre piuttosto inquinate”.
(Tratto da Un uomo normale, di buona memoria. Introduzione a Primo Levi, Edizioni Saecula, 2019)