ORDINE, NUCCIO, nunzio apostolico del nuovo snobismo di massa, sensualmente abbarbicato, qual grezzo diamante, alla formosa polena del beccheggiante vascello di Teseo, è la dimostrazione vivente che Dio gioca a dadi con sopraffina vis comica. Suole sciorinare a vaste platee di cosmopolite casalinghe di Voghera il manuale Cencelli del politically correct, dal relativo Einstein al pestifero Camus, dal penultimo castrista García Márquez all’incallito Camilleri, non trascurando il self-help, l’auto-omiletica, i calciatori e le colleghe influencer. Baronetto calabro in scarpe da tennis e Legion d’onore, vorrebbe incarnare l’incorruttibile pienezza dell’homme accompli, ma purtroppo gli eroici sudori lo vincono e quel che resta del suo virtuale umanesimo è lo sforzo spagnolesco di un Cagliostro di provincia. Attendiamo con cuore trepidante l’inevitabile pubblicazione della sua prossima autobiografia, L’inutilità dell’utile idiota.
SAVIANO, ROBERTO, o il falso profeta della Sfogliatella Cumana. Creò dal nulla il New Journalism con più di mezzo secolo di ritardo. Per questo fu premiato e onorato. Se nella notte tra l’uno e il due novembre del 1975, quattro anni prima della sua nascita, avesse scortato Pier Paolo all’Idroscalo di Ostia, Pelosi e tutti gli emissari del Grande Vecchio avrebbero fatto cilecca e la storia della letteratura italiana del secondo Novecento sarebbe stata meno noiosa. Più di P.P.P. divenne martire e oracolo. Più di Maradona scoprì l’oro di Napoli. Più di Mario Merola portò la sceneggiata partenopea sui palcoscenici del mondo. Più di Joaquín «El Chapo» Guzmán e di Jorge Luis Borges plagiò i propri predecessori. I suoi unici critici sono latitanti, o vivono come lui in una dorata clandestinità, pur senza invadere gli altrui schermi. Ciò nondimeno, la terra ha ripreso a girare nel verso giusto da quando Amazon Prime – il sinistrorso think tank senza fini di lucro nel quale si formano i nostri sostenibili maggiorenti – ha deciso di censurare i film del famigerato pedofilo Woody Allen e di sostituirli con la riduzione televisiva del Manifesto Vegano – ZeroZeroGrasso che cola («Scrivere di proteina animale è come farne uso», recita la fascetta) – redatto dall’analfabeta funzionale più protetto d’Italia.
SCALFARI, EUGENIO, gazzettiere di vaglia e bonifico, fu lo strillone prediletto, sull’asse Biella-Torino-Roma, delle élites massoniche e girondine. Svolse il proprio apprendistato, fra cadaveri e papere, presso la bottega di Mario Pannunzio, il quale ebbe la chiaroveggenza di legittimare il resistibile radicalismo del bisbetico Eugenico. L’estemporaneo pellegrinaggio al Lingotto della sua corrusca creatura non può non rammentarci il caustico motto che sin da allora adorna lo stemma di famiglia: Lectio facilior. Dopo aver ammorbato, con il suo feuilleton pseudoazionista, le coscienze non troppo sveglie delle moltitudini di immarcescibili garofani stinti dal mito dell’Italietta liberal-socialista, il nostro barbuto narciso, una volta abdicato, ha cominciato a praticare l’arte del ventriloquio con i suoi pari. La corte repubblicana ascolta adorante le gesta dell’Illuminista Divino, preoccupandosi sottovoce per l’apocalisse che ne accompagnerà la morte. Non sanno che i becchini di ogni tempo se ne vanno in rancoroso silenzio.