MILOŠ: …astro magnetico. Antiquariato da immondizia. Nastro magnetico. Né era stato facile trovare un mangianastri ancora funzionante. Sui primi centimetri di nastro restava ancora una canzone per bambini, musica inquadernata nel nastro chissà quanto tempo fa e ora spappolata e allontanata in una specie di dolce remota melma sospirante, lo srotolarsi delle minuscole bobine come il respiro di Sarahsarahsarahsarahsarahsarahsss… È facile immaginare un tempo futuro in cui l’oggetto avrebbe costituito un insolubile enigma archeologico, un futuro in cui archeologico sarebbe stato sinonimo di “di-una-settimana-fa”, il trascorrere di un minuto secondo percepito come un’intera generazione dalle nostre Psyche® artificiali dotate dell’ottimizzazione e iperintensificazione automatica dell’istante, un lampo di genio di uno dei programmatori o per meglio dire adescatori di anime (“Psyche®. Cattura la tua psiche per renderla immortale” era stato tra gli slogan più di successo, recitato da un farsesco diavoletto in calzamaglia nera circondato da bagliori di microchip, un inferno apparente che disgregandosi entro i 15 secondi della versione breve dello spot si ricomponeva in un altrettanto apparente empireo nelle cui rote sonava perpetuo il jingle pubblicitario del software biopsichico) ––––––– un futuro in cui la nostalgia per il passato sarebbe non più solo appannaggio dei cosiddetti “vecchi” (installata Psyche® ovvero più propriamente installando se stessi all’interno della piattaforma di Psyche®, già a pochi minuti dal self-upload si è già pluricentenari, ed è dal primo istante che come promesso si diventa per così dire immortali) ma di tutti (i cosiddetti “tutti”, posto che in lenta caduta di un sempre maggiore numero di anime autoinstallantesi o più propria- e ultramondana- mente autoscaricatesi all’interno del software, si diventerebbe finalmente quell’agognato (in certi ambienti soltanto, inizialmente, ma ora sempre più in) Uno in cui ogni possibilità calcolabile –– e quelle non calcolabili? mugugnavano i riottosi, rimboccandosi la coperta di carne intorno all’anima… ma se non sono calcolabili un motivo ci sarà, no? se non credete a loro cioè a noi cioè a me allora chiedetelo a Pitagora, chiedetelo a–– ma non divaghiamo –– in cui ogni possibilità calcolabile sarebbe stata esaurita istante dopo istante, in un eterna collana di Ekpirosi™ (sì, sì: sì: stavano già lavorando anche a quello, in una sorta di spensierato e onnivoro ellenismo 4.0 –– nei piani alti ci doveva essere ancora qualcuno che aveva fatto il classico), in modo che i “tutti” sarebbero gioiosamente precipitati nell’estasi del Tutto, piovendo uno dopo l’altro nel software come neve per alpe –– quanto al vento, nessuno avrebbe più potuto arrestarlo ormai); tanto le cose si sarebbero slanciate fuori da se stesse cadendo verso il futuro, altrettanto gli esseri umani verso un ricordo e un rimpianto continuamente resettati e aggiornati.
“È successo prima che io la incontrassi, non capisce?”
(Mi dà mi ha dato e mi darà sempre sui nervi questa sua fissazione a darmi del lei, sempre, anche quando ormai il lei non è più altro che un modo per umiliarmi ulteriormente. Ma tutto di lui prima o poi finisce per darmi sui nervi, quasi fati corde di chitarra ininterrottamente raschiate da uno zingaro scimunito.)
“Prima per lei, e dopo per me, ma prima o dopo non fa differenza, non le pare? L’importante è che sia successo, ma ancora più importante è che lei capisca… Dunque. Come spiegarle… Vediamo. Gli insetti, gli insetti potrebbero essere un buon punto di partenza, un tantino esopico se si vuole, ma vedrà che poi arriva anche la morale. Dunque gli insetti. Ecco. Ecco qua. Le ore, e i giorni, e gli anni, vede, sono come le processionarie, una dietro all’altra, una perfettamente attaccata all’altra, ciascuna con la testa nel culo di quella davanti e con nel culo la testa di quella di dietro: così sono disposte anche le ore e i giorni, e le stagioni, eccetto naturalmente la prima ora e il primo giorno, ammesso che possano esistere, e che non hanno un bel niente nel culo, e lo stesso discorso per gli ultimi, che non hanno le teste nei culi di nessuno hi hi hi hi hi hi hi hi hi hi hi! volevo dire la testa e il culo, ovviamente, ovvero l’ultima ora è una sola, l’ultimo giorno è uno solo, sennò dove andremmo a finire? O no? Ma veda, cioè, vede? c’è chi crede che continuando a ingrandire ovvero fuor di metafora a dividere le ore in secondi e poi in istanti sempre più brevi non farebbe alcuna differenza, perché si continuerebbero a vedere teste sempre più piccole infilate in culi sempre più piccoli, senza mai arrivare alla fine cioè a culi senza teste dentro o viceversa, anzi, ma questa è un’altra teoria e non vorrei complicarle le idee con dettagli troppo tecnici e formule astruse, fino a che i lombrichi sono talmente piccoli che non c’è nessuna differenza tra testa e culo, ma qui come ripeto… Mettiamola così: è un po’ come in quei disegni di come si chiama, con gli esserini che rimpiccioliscono ai bordi, o con la radice quadrata di–– ma mi segue o no? Dunque. Se esiste la prima ora deve esistere anche il primo secondo, e allora anche il primo decimo di secondo, e allora anche il primo centesimo, e allora perché no… E quindi per venire cioè tornare a noi alla fine quanti culi faranno ovvero potranno fare? Dico in tutto, dal primo all’ultimo culo. Ecco che mi torna in mente mio padre con le sue scemenze… la conosce la spiegazione divulgativa della relatività? ecco qua: un uomo infila il naso sul per il culo di un altro uomo (scatto enfatico con l’indice; sorriso bonario, occhi inteneriti di un precettore cui è stato inflitto un discepolo rintronato) proprio come una processionaria, vede come tutto torna? (gesto delle mani come a raccogliere e amalgamare un variegato ma armonico impasto) Bene. Tutti e due i soggetti hanno il naso nel culo, ma uno dei due è in una posizione relativamente migliore. Capito? Non fa ridere, lo so. Ma non ho mai detto di volerla far ridere, e se vogliamo essere precisi e onesti lei con me non ha riso e non riderà mai. E anche se non fa ridere ciò non toglie che io abbia avuto il migliore dei padri, anche con tutte le sue storielle sceme. Ebbene? No dico, ha mai provato a toccare le processionarie? sono urticanti sa? quelle brasiliane sono persino mortali, so di un tipo che ne ha schiacciata una con la ciabatta e poi andando a ballare sui variopinti marciapiedi carioca aveva lasciato dietro di sé una mortale traccia di tip tap che… ma non divaghiamo, l’importante è che questa mortale e talvolta ballerina urticazione è in qualche modo la stessa che osserviamo per le ore e i giorni e i mesi e così via e così via e così via, per augmentationem et/uel per diminutionem, è uguale, è la stessa identica cosa, sempre. Vedo che comincia a capire, comincia a sentire la mia, la mia onda come dire, la mia onda. Lo vedo nei suoi occhi: vedo la luce spegnersi: sta capendo anche lei che non esiste speranza, che è lo stesso che dire che non c’è culo su pel quale non ci sia infilata un qualche tipo di testa. Be’. Be’. Non si abbatta, dopo tutto è sempre stato così e sarà sempre così e la sua vita andava avanti anche prima, giusto? Solo che adesso sa qual è la direzione: un enorme c–– Non ha mai provato a scombinare una fila di processionarie, a separare le teste dai culi, a ricomporle in nuove combinazioni, a rimescolarle e rimestarle una sopra l’altra? Degli iperbati di vermi, come diciamo noi dell’industria? Noi qui con queste scatolette e con questa latta e con questi ventricoli di pergamena e tutto l’ambarabao facciamo esattamente la stessa cosa, solo che i nostri vermi sono i momenti e gli attimi e gli istanti. No? Non mi sembra si renda conto dell’urgenza volevo dire della gravità volevo dire della––– Allora. Le pulsazioni del cuore: anche loro sono come una fila di processionarie urticanti, mi segue adesso? Le sente uscire dai ventricoli e pizzicarla giù per le vene? (goffo tentativo infantile di solleticare la zona tra cuore, stomaco e ascelle; si ricompone) E daccapo non creda sia tanto semplice trovare la prima sa? Dico la pulsazione primigenia, quella senza nulla nel culo, quella anzi proprio priva di culo, come gli angeli, ecco: come gli angeli: comincia a capire o no? Il cuore è uno dei primi organi a formarsi nell’embrione, e all’inizio la sua pulsazione è indistinguibile da quella della madre, e quindi… Ma: ma: ma: (pausa; sbirciata saccente e sorniona, ad aquarciasacco) ma il primissimo organo che si forma nell’embrione, indovini un po’? Esatto, proprio così! È il culo. Il culo è il primo. Prima cagare, poi pulsare, hi hi hi hi hi hi hi hi hi hi hi! E non lo dico mica io: lo dice, e come lo dice lo ordina, Madre Natura. Certo all’inizio-inzio esso è un nonnulla, non è che una specie di fogliolino, quello che diremmo un culo a banjo o a padella di fagioli, ma tant’è: cu-lo, sissignori. Ha mai riflettuto sul fatto che gli uomini, quando mai volessero risalire la fune dei cordoni ombelicali di cui loro sono un capo, la fune che si snoda dietro di loro di progenitore in progenitore anzi di progenitrice in progenitrice ed ecco che già comincia a capire dove voglio andare a parare, gli uomini cioè proprio i maschi hanno dietro a sé per linea cordonale e pertanto uterina solo delle donne? Inoltre se un uomo cioè un maschio può essere sicuro di una cosa è che da lui non partirà nessun cordone ombelicale, come se gli uomini cioè i maschi fossero tante ultime processionarie che girano il capino di qua e di là cercando un culo in cui piantarlo, ovvero come se le donne fossero, so che può far spavento ma l’età della stupidera è da un pezzo preistoria, come fossero segmenti anellidi di un unico immane lombrico-donna/e quadridimensionale (schiocco di dita a due millimetri dal naso) mi sta seguendo o no? Curioso no? Cioè che le donne come dei nodi, cioè dei nodi sulla nostra teorica ma poi mica tanto teorica fune ombelicaluterina di cordoni, un lungo e plurimo verme nodide, un Uno, ecco l’ho detto, che attende solo di essere rivelato, calcolato e––– no ma non corriamo troppo che già la vedo abbastanza confuso… dicevo? Ah sì: e gli uomini? Be’ ma questo va da sé se mi ha seguito fin qui, li uomini come dei bandoli, no? teste di verme orfane di culo, ed eccoci daccapo: ci sarà pure una fine (ma gli uomini cioè i maschi sono comunque miliardi) ma dov’è però l’inizio? Sia per l’uomo che per la donna, si può andare indietro, di cordone in cordone, su su su e ancora su su su e ancora indovini un po’ su su su, già, fino alla prima cellula, ci ha mai pensato? A vederla così sembra di capirci qualcosina di più no? Il segreto allora stia bene attento è ritrovare e suturare e sanare quella sfasatura che si produce fin dai primi istanti tra il cuore embrionale cioè tutti i cuori e quello della madre cioè tutte le madri ovvero di una qualsiasi madre, indietro o in avanti non importa, una sfasatura se vogliamo inizialmente impercettibile ma poi sempre più significativa… E una volta fatto ciò sintonizzarsi e… La latta del macchinario permette appunto… Ma sto correndo troppo. Lo vedo, sto correndo troppo. Glielo leggo negli occhi e non solo, devo dire che glielo leggo un po’ dappertutto. Eh? Eh? Lo leggo qui (ditata allo stomaco) e qui (ditata a un fianco) e… (finte e ditate birbanti qua e là) op, op, op… qui! (ditata) oplà! (prende la mira) Sissi… (ditata) …e Biribissi! (ditata). Dappertutto, io la leggo dappertutto. Non se lo scordi, lo dico per il suo bene. Aspetti. Fermo un po’. Cosa volevo dire? Ah sì, ma lo sa che anche ragni e scorpioni sono anellidi? Così è già un po’ più chiaro, vero? Gli uomini come teste urticanti o pinzute, a scelta, l’importante è che vanno a infilarsi in funi di cordoni in processione, e lo stesso per tornare a bomba fanno le ore e i giorni, e lo stesso fanno le pulsazioni del suo cuore, ci pensi la prossima volta che si misura la pressione hi hi hi hi hi hi hi hi hi hi hi, o che se ne va a cagare hi hi hi hi hi hi hi hi hi hi hi!… E poi da questo ragionamento sui cordoni cosa si deduce se non che la donna è venuta prima dell’uomo? Dev’essere per forza stato così, per forza; altri dicono: il primo è ermafrodita, poi una sequenza di donne e alla fine l’uomo; l’ultimo essere umano sarà per forza un uomo? Mica detto, ovvio, anche se c’è chi crede che messa alle strette ovvero privata di ogni uomo sulla faccia della terra, una donna saprebbe… Gli insetti che non vengono fecondati depongono uova femminili: l’ermafrodita originario non esiste, c’è semmai quello intermerdio volevo dire intermedio che però appunto perché tale non ci interessa, ma quale ermafrodita originario, è solo che a un certo punto si è prodotta una mutazione nella donna e quella mutazione era il maschio, tutto viceversa di come dice la Bibbia, tanto per cambiare, mai che il dio degli Ebrei ne azzecchi una, io da piccolo come tutti mi chiedevo sempre perché l’affare per pisciare è differente tra uomini e donne e invece quello per cagare no: lei non se l’è mai chiesto? È perché all’inizio il sesso era una cosa anale buona per tutti, uomini e insetti, e era sufficiente lavorare di testa, come dire–– ma lo sente cosa mi fa dire, picchiatello di un–– hi hi hi hi hi hi hi hi hi hi hi!”.
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SARAHS: Quando vediamo o ci riproponiamo di fare qualcosa di insolito e decisivo, quelle cose che non hai mai visto o fatto prima ma che se fatte bene ti riducono per sempre felice e contento come nelle fiabe, dovremmo avere, per sperare di farcela, proprio come nelle fiabe, tre possibilità, perché la prima viene spesso persa, mentre la seconda ci trova quasi sempre impreparati. Oggi per esempio ho visto due piccoli passeri che mi osservavano come per dirmi qualcosa, e anche se sembra stupido pensare cose del genere è così che pensano i vagabondi e i reietti delle fiabe, e anch’io ho fatto tutto il resto del mio tragitto continuando a pensare ai due passeri e al fatto che se al ritorno li avessi trovati ancora lì mi sarei fermata per cercare di decifrare i loro piccoli occhi feroci, e quando è stato il momento di ripassare da lì mi sono completamente dimenticata di loro. Ci meravigliamo di come i personaggi delle fiabe si lascino sempre scappare la seconda occasione, solo perché nelle fiabe i fatti minuscoli che senza pietà ci uncinano fuori dal nostro destino vengono mutilati dalla narrazione; la narrazione è il veleno che avvelena la storia ma di cui la storia non può fare a meno. “Ricorda di non aprire quella scatola! Ricorda di non guardarti nello specchio! Di non indossare quelle scarpe!” Ma basta che passino pochi giorni, che capitino nella nostra vita gli infiniti fatterelli che come una nebbiolina nascondono tutto, e già la raccomandazione ci pare meno importante, e alla fine la dimentichiamo, per quanto chi ce l’ha detta ci abbia assicurato che dal rispetto dell’ordine dipenderebbe la nostra felicità. È ingiusto, perché nella vita è già molto se di possibilità ne vengono date due. Così per esempio la seconda volta che ho incontrato l’architetto ho a malapena avuto il tempo di riconoscerlo e capire che era lui, e ora che mi ero fatta tutto questo ragionamento sulle possibilità che vengono date ai cavalieri delle fiabe ecco che lui era già stato reinghiottito nel miscuglio di facce degli altri viaggiatori scesi come noi, ancora una volta, a Venezia. La seconda volta è sempre come in quei sogni in cui tutto ci viene sottratto e da tutto siamo allontanati, da tutto sottratti, catturati in braccia materne talmente gigantesche che finiamo per scambiarle per il mondo stesso.
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“I primi esperimenti li abbiamo tenuti nei cimiteri del distretto indiano di Waltzwaltz, ossia con quel tanto di chiamiamolo carotaggio necessario per infilare il tubo di latta nel punto giusto della bara, dopo un po’ si diventa bravi, e così è stato quasi per caso, nella migliore tradizione dei più famosi esperimenti, che abbiamo scoperto l’utilità di un contenitore trapezoidale per il corpo del viaggiatore. Ho detto trapezoidale? Hi hi hi hi hi hi hi hi hi hi hi, tua madre magari sarà trapezoidale, e scusa tanto se ti do del tu… no no, le bare di lati ne hanno sei, come le celle di alveari mutanti. Ecco dove è meglio sistemare il viaggiatore, e questo lo abbiamo scoperto scavando così a cazzo di cane nei cimiteri. Non è certo il mio campo, a dispetto delle apparenze, ma non mi stupirei se venisse fuori che anche in embriologia l’esagono abbia una qualche importanza, non mi stupirei affatto, e poi una delle forme preferite da Madre––– Vabbe’, il punto è che con tutti quei carotaggi nei cimiteri ad un certo punto mi sembrava di essere Van Helsing ma non divaghiamo, nemmeno questo in effetti è il punto.
“Oppure, tanto per farle un altro esempio e metterla in grado di agguantare almeno di sguincio il problema, è un po’ come quei messaggi registrati che un ricombinatore automatico reincolla tra loro per ragioni tutte sue, un miscuglio di voci diverse, a la Harlequin, ecco: siamo perdoni il sentimentalismo arlecchini di anime, psicoalichini, rammendi iniziati in un tempo tanto lontano che non è più possibile ritrovare quel frammento originario di quella che dovette essere la nostra casacca primordiale, l’ur-saio i cui brandelli si sono ormai definitivamente polverizzati in innumerevoli altri arlecchini. E così capita di avere per manica un pezzo di stoffa che all’inizio serviva per coprire tutt’altra parte del corpo, e così capita che una parte della nostra anima venga da–– È come una specie di psicofoliage, mi capisce? Pezzi che cadono e vengono rapiti o maciullati o decomposti… Ovvero: non si perda: resti con me: supponiamo di prendere una casacca fatta di rammendi e di sostituire quei rammendi con i pezzi di corpo che originariamente erano coperti dai vestiti quando ancora erano interi, mi segue? In base a quanto or ora suggerito o se preferisce insinuato, se quella che oggi è mettiamo una manica fosse stata in origine un colletto di una camicina da neonato, il corpo che verremmo componendo dalla casacca avrebbe al posto di una mano una testolina di neonato e chissà che altro al posto della testa, giusto? Ovvero il risultato della nostra operazione di ricomposizione alichinica sarebbe un mostro che verosimilmente non potrebbe nemmeno vivere, ucciso dalla sua stessa forma, sì, ucciso dalla forma ovvero dalla sua assenza, perché una forma che uccide chi forma, che razza di forma è? Ma nessuno si rende conto che la psiche dài e dài a furia di rammendi è esattamente questo, forma che uccide, una casacca di arlecchino che se solo dovesse vivere–– ecco. Mi ha già capito, no? Il vero segreto, quello che tutti hanno sotto gli occhi e che nessuno vuole accettare, il segreto di Pulcinella ecco, tanto per non lasciare Arlecchino da solo, il fatto cioè nudo e crudo come un pulcinella di mare è che la psiche non vive, che l’anima è da sempre e per sempre morta, altro che immortalità, ed ecco allora perché gli esagoni, i cimiteri e infine ecco perché la macchina funziona, QED, o no? ma torniamo a noi. Perché quando un qualsiasi pezzo di materia si rompe non può più ricomporsi, come accade all’acqua nell’acqua? Ovvero, per essere meno sibillini: lo studio iniziale, il carotaggio nei cimiteri, tutto quanto era stato concepito per tutt’altro, per una sorta di macchinario ad orologeria (non avevamo le idee ancora chiare; mai avute chiare, per la verità) da applicare agli ordigni esplosivi per disinnescarli durante l’esplosione stessa, ossia in mancanza della giusta orologeria una specie di virus metallico, ecco, che rendesse reversibile la distruzione di determinati oggetti. Perché un oggetto si distrugge? Cosa lo teneva insieme prima che si aprisse la crepa? Nulla si crea, tutto si distrugge. Giocavo con le gocce di mercurio che mia nonna aveva versato in una scatolina di latta, di quelle per le caramelle. Le goccioline di metallo si fondevano insieme, era sufficiente spingerle una contro l’altra. Perché non potevo fare lo stesso con tutto il resto? Perché le cose vanno in pezzi? Mi svegliavo in lacrime con quel pensiero, terrorizzato dalla luce del sole che ancora una volta mi avrebbe costretto a vivere in un mondo così tutto sbagliato. Mio padre a colazione piluccava briciole di pane tostato–– Ma così va a finire che mi commuovo. Torniamo a noi. Tra una bara scoperchiata e un cadavere trapanato ci è venuto in mente di fare un paio di approfondimenti, diciamo così, sul kintsugi giapponese, la nobile arte di ricomporre vasi rotti utilizzando lacca dorata per chiudere le crepe, così la parte più preziosa dell’oggetto finisce per essere il punto in cui si è infranto, così simile alla lacerazione disegnata da un fulmine, questo vorrà pur dire qualcosa, o forse no? Dico almeno da un punto di vista simbolico, poetico, che poi da lì non si sa mai, tra capo e collo ti piove un punto di vista tecnologico e applicativo. Casacche di arlecchini cucite con fili dorati…
“In altre parole, per prima cosa occorre raggiungere lo stadio massimo di scomposizione e come dire foliage degli eventi, esattamente come fossero cocci di vasi giapponesi, spappolarli persino in una sorta di purea o rumore bianco di fatti, e poi ricucire quei fatti in una nuova giuntura. Una marmellata di eventi, se non le piace il purè. Come puoi ricomporre un vaso ridotto in polvere? Sfido anche il più sfaccendato e paziente dei giapponesi–– E poi i vasi di loro non sono forse fatti con la polvere? Che cosa voleva ricomporre il primo uomo che costruì il primo vaso? Tazze ricavate da crani di animali o persino di umani… Ma torniamo a noi, dato che da nessun altro si può tornare. Non mi faccia commuovere, eh? Dicevo, è un po’ come scoprire all’improvviso un’illusione ottica: e (come nello yoga della respirazione il momento chiave è quello in cui né si espira né si inspira, e che deve per forza esserci, o inspireremmo fino a scoppiare in una gigantesca scoreggia sbudellata) il segreto è mantenere e prolungare il momento in cui l’illusione precedente non ha più senso, ma ancora non s’affaccia il nuovo sistema di leggi della nuova, apparentemente più corretta, visione. Non vedi cioè né un coniglio né una papera, né una vecchia né un ragazza. La forma traballa indecisa, e in quel traballare che è anche il traballare del cuore il viaggiatore si accoccola, in agguato.
“L’ipotesi insomma è o meglio era che tutto il famoso lavoro sulla teoria quantistica, e qui introduciamo un nuovo scottante argomento, sia stato mantenuto deliberata- e/o malaugurata- mente oscuro, reso cioè incomprensibile onde distogliere le menti migliori da un nuovo orizzonte scientifico. Sono gli orizzonti, propria- e venendo immediata- mente al punto, a sorgere e tramontare, non il sole. Gli orizzonti sorgono e tramontano, e forse anche l’astronomia del passato si basava su complicatissimi calcoli probabilistici, ipotizzando un disegno non attingibile alla razionalità umana, e quindi inattingibile per inattingibile tanto vale eseguire carotaggi nei cimiteri, no? Tanto non si capisce niente lo stesso, ovvero: e se anche l’esistente avesse una sorta di nervatura che gli permettesse di recepire solo certe caratteristiche della materia, come noi percepiamo solo combinazioni dei tre colori fondamentali mentre per dire i piccioni di colori fondamentali ne hanno cinque e i cani o i gatti o tutt’e due vedono in bianco e nero? Poi uno mi viene a chiedere perché hanno quello sguardo fisso come una vecchietta cui qualcuno non facciamo nomi avesse incollato sulla nuca mentre era in coda al supermercato un cerotto di LSD, gli occhi dei piccioni dico. Gli occhi dei piccioni. Dunque. Ci sarebbe allora un certo ordine di materia che poi si manifesterebbe in un certo chiamiamolo esistente ovvero nel nostro esistente che poi tanto altri esistenti non ne possiamo avere, e poi contemporaneamente a quello un altro ordine di materia cui l’esistente ovvero il nostro esistente non può attingere, un ordine cui forse e sottolineo forse pertiene quel che noi percepiremmo come la possibilità, cioè dal mero punto di vista dell’immagine per così dire a cinque colori, la possibilità del viaggio nel tempo. Domanda: Nell’occhio del piccione si annida la possibilità di comprendere questo viaggio? Risposta: L’esistenza è solo uno stato della materia, mentre se l’esistenza fosse qualcosa di oggettivo il tempo e lo spazio non esisterebbero. Il viaggiatore deve dunque attingere alla propria essenza materica per poter poi dislocarla “altrando”, per così dire, che è il quando dell’altrove: ma comunque dislocarla, capisce? Non può esserci quindi alcun “viaggio” perché ciò implicherebbe un momento in cui l’essenza non è dislocata da qualche parte o in qualche quando, e ciò non si dà. Ecco perché i piccioni, ecco perché il carotaggio a sorpresa del cuore, con le conseguenze che lei ben conosce, ormai… QED QED QED QED QED QED QED QED QED QED QED… (la ripetizione si fa paperesco starnazzo)”
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SARAHS: Come una striscia di lava notturna. Il suo corpo vicino al mio era del colore fosforescente della carne di pesce, tanto che lo potevo vedere anche attraverso le palpebre, come una chiazza di luce brevemente impressa nella retina. In casa c’erano dei gatti. Uno di loro, bianco e rosso, voleva essere accarezzato, e mi si attaccava addosso con le unghie. Avevo un maglione, ma lui mi mordeva attraverso la lana, pizzicandomi il seno e i capezzoli. Avevano dei fiocchi colorati legati al collo. Ad un certo punto vidi che, per riscaldarsi, si stavano avvicinando ad una cassetta di metallo piena di tizzoni. Piano piano, cominciarono a diventare del colore della cenere. Il movimento degli animali stimolò il fuoco assopito nei tizzoni, e i loro nastri colorati iniziarono a fondere. I gatti piangevano come fossero in amore. Si torcevano sempre più in mezzo alle braci, sempre più simili a tizzoni spenti (“Se qualcuno non l’avesse ancora capito”, interloquisce qui VALMARANA, “si tratta di uno dei primissimi esperimenti per il “viaggio nel tempo” (fischi e pernacchie dal pubblico; una sessantenne tira fuori dalla borsetta un gigantesco dildo fluo e lo fa roteare sopra la testa, flaccido e asinino; visibilio generale; da un angolo piove sul palcoscenico un vero autentico pomodoro da teatro; Sarahs guarda dritto davanti a sé, fingendo platealmente di non accorgersi di nulla; al primo quasi impercettibile cenno verso il pubblico, riceve uno scroscio di applausi), ecco, ecco, va bene, Priapo e Pomona, no? (brusio costernato) dicevo un esperimento o meglio un’esperienza di quando l’architetto era ancora aiutante di T***š B****k” (scartabellando tra le carte trafugate all’architetto, inghiottendo il panico) “Ecco, ecco qua, sentite: «Quando sa come le cose andranno a finire, qualunque sia quella fine, lui affida tutto ad un aiutante, e passa ad occuparsi d’altro. L’aiutante, una volta giunto a termine della ricerca, è libero di prendersene anche tutta la gloria: ma quasi mai lo fa; più spesso, annientato dai risultati di quella ricerca, preferirebbe sparire, preferirebbe seppellirsi nel paesaggio come una sogliola sotto la sabbia e sparire, dileguarsi come una sogliola» (chiudendo poi di colpo il quaderno, rivolto al pubblico) “Sogliola: sogliola. Affidare tutto a un aiutante. Sounds familiar?” (sospira, si accascia, si copre il volto, forse in lacrime; prima uno, poi uno dopo l’altro tutti gli spettatori si mettono a canzonarlo, «Val-ma-ra-na, Val-maraaa-na, Valmaraaaaaaaaaaa» imitando il canto delle rane ad ogni «raaa»; dopo un primo climax di chiasso, i raaa si fanno più placidi e radi, senza però mai sparire del tutto, quasi pozza notturna; come se l’interruzione di Valmarana non fosse mai avvenuta, Sarahs riprende il filo, cullata dal gracidare rarefatto e dolcissimo)) sempre più simili a dei gatti neonati, dato che le fiamme hanno ormai divorato il pelo lasciando scoperti dei corpicini rosa pallido in procinto di annerire. La si sarebbe detta una prova di forza o un metodo estremamente drastico per riscaldarsi. Il primo uscì trascinandosi verso un secondo contenitore, vuoto. Tutti e due i contenitori erano di latta e ricordavano dei cassetti da ufficio per tenere ordinate le pratiche e i documenti. Uscì anche il secondo, il dorso ustionato con strisce zebrate e luccicanti come la schiena un luccio. Gli altri due si torcevano sempre più debolmente, ormai simili a feti, completamente ciechi, ma nessuno dei due voleva cedere, o almeno quella era la sensazione per l’osservatore. Pensai che il “vincitore” avrebbe avuto diritto al latte per primo, il mattino dopo.
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“…ma torniamo a noi. La materia del viaggio è, da quanto ho capito, cellulare, cioè riguarda più la carne e le ossa del viaggiatore che non il mondo esterno, ovvero: per quanto anche il mondo cd esterno intorno a lui si possa modificare radicalmente, questa trasformazione procede dalle cellule; questo è il nocciolo misterioso e incomprensibile del funzionamento del macchinario, senza contare che tutte le volte che ho esaminato la cassa di latta non ho potuto fare a meno di non notare cioè non ho notato la presenza di nessun circuito o ingranaggio di alcun tipo: era una cassa perfettamente pulita e neutra, quasi come quelle usate dai prestigiatori per segare le donne in due. Una di quelle casse da cui fuggiva Houdini. In parole povere, una fandonia.
“Poi, carota che ti carota, siamo riusciti a ricostruire un po’ più chiaramente il come dire processo. Solo un po’. Già. Processo non è nemmeno la parola giusta. E questa cosa che le più grandi scoperte scientifiche avvengono per caso alla fin fine vuol dire che nessuno capisce davvero le cose di preciso, ve lo dice uno che in quell’ambiente ci lavora. Comunque sia. Il viaggio è possibile grazie a dei diciamo fossili genetici presenti nei nostri filamenti di DNA. Né il DNA, d’altra parte, è il solo responsabile: noi abbiamo scoperto… ma qui la cosa si fa troppo tecnica, non ci capireste nulla… nemmeno noi stessi del resto, come già vi ho detto, ma in fondo ogni scienziato… ovvero, ovvero, le spiegazioni che lui cioè lo scienziato ovvero un qualsiasi scienziato dà della scoperta avvenuta “per caso” ricordano un po’ le elucubrazioni che facciamo per decidere di acquistare una casa che abbiamo già deciso di acquistare, o delle mutande che abbiamo già deciso di strapparci, cioè sono solo un elenco di come dire, pretesti? no, non è la parola adatta, aiutatemi voi…
“Comunque, tornando a noi cioè più che a noi al DNA: bisogna capire che il DNA è sì importante, ma non è la sorgente ovvero La sorgente, e questo perché molto semplicemente non c’è mai una sola sorgente… ecco in fin dei conti il vero significato del macchinario, la morale come dire, lo vede che alla fine c’è una morale? lasciamo stare almeno per un attimo tutte le cagate fantascientifiche: il discorso stringi stringi ruota tutto intorno alla sorgente… Ovvero è come per le sorgenti del Nilo, del Mississippi… è questo lo sbaglio che fanno tutti, e con tutti intendo dire che è uno sbaglio che il nostro cervello non può evitare di fare, ed è pensare che di sorgente ce n’è una sola, come la mamma… ma da quando in qua l’universo dovrebbe avere una mamma… e poi se c’è una mamma ci dev’essere anche un papà, e già a parlare di papà le cose si iniziano a ingarbugliare maledettamente… Come diceva il mio maestro c’è più verità nel Kāmasūtra che in mille… ma stavo parlando del DNA, dei fossili genetici, anche se la parola forse potrebbe dare un’idea, non so, come una collanina di pietra o di pezzi di DNA arrotolati e ingrossati come ammoniti… mai notato come i filamenti di DNA, voglio dire i cromosomi, sono simili a lettere? guardate qua, tracciate dei segni sulla sabbia, tracciateli e guardate, guardate qua… n, e, p… k… (lunga pausa; colpetti di tosse imbarazzati; alzandosi con simulata fatica dalla sabbia su cui si è accoccolato per tracciare i segni) Il viaggio insomma è, per dirla in parole povere e comprensibili a tutti, è una riprogrammazione della fossilizzazione genetica, RFG, l’espressione modestamente è mia, l’ho creata io per definire un processo da me scoperto anche se non ci ho capito quasi niente di continua fossilizzazione di informazioni e diciamo micromutazioni che… come? ma naturalmente, sì, naturalmente è un processo quotidiano, tutti i processi lo sono, non possono fermarsi, capisci… dimmi cioè dammi e intanto scusa se ti do del tu una sola cosa davvero ferma e io… no, no: noi ricostruiamo a ritroso, grazie alla latta del macchinario e alla speciale membrana, vedi? qui, se vuoi provare… Infila la m––– No? Hi hi hi hi hi hi hi hi hi hi hi! Quasi ci caschi! Dicevo, è tutto il processo di micromutazioni… a ritroso, sì. À rebours, se preferisci, tanto anche se lo preferisci non cambia niente, la macchina resterà quello che è e tu in ogni caso… Ma sto divagando. Diciamo che è un po’ come calcolare le mosse di una partita a scacchi, solo che anche la scacchiera qui continua a trasformarsi e rigirarsi, come una biscia ortogonale… no? Giuro, durante i miei viaggi ho avuto modo di vedere e talvolta di giocare su scacchiere che avevano un trentatreesimo pezzo, un serpente che occupava più caselle contemporaneamente e poteva essere manovrato da ambedue i giocatori… ho visto scacchiere a S, come se a loro volta fossero serpenti… e allora tu ti chiederai com’è che poi si torna indietro se è tutto solo un calcolo, e com’è che ci si ammala se il DNA è fossilizzato o microfossilizzato o quello che è, giusto, e chi ha mai sentito di malattie fatte calcolando le mosse degli scacchi, o no? per quanto serpentine potessero essere le scacchiere… ma con le micromutazioni, capisci o almeno prova a capire, con le micromutazioni mica c’è tanto da scherzare…”
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Forse in un futuro remoto, i nastri ormai irreparabilmente indecifrabili, le due bobine sarebbero state considerate una sorta di clessidra o di giocattolo scacciapensieri, cosa che in fondo non sarebbe poi stata molto lontana dalla realtà. Chi ricorda ormai il suono del nastro mentre si srotola, come un tenero respiro nel sonno che si allunga all’infinito, srhsrhsrhsrhsrhsrhsrhsrhsrhsrhsrhs… I suoni tremolavano, sorprendentemente lontani dalla realtà, più di quanto chiunque avrebbe potuto ricordare. L’aumento di precisione della copia, della definizione del dettaglio infinitesimale, fa sì che l’occhio sia sempre più sensibile a ciò che rende reale la cosiddetta realtà… Che sia quella la vera torre di Babele? Un cammino ininterrotto verso una sempre più Alta Fedeltà? Ecco che sto cominciando a parlare come l’architetto. Che sia uno dei sintomi dell’uso della macchina di cui tanto per cambiare non mi ha parlato?
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“I ratti cui abbiamo danneggiato l’ippocampo a colpi di bisturi, zac zac, presentano un comportamento molto caratteristico di perseverazione, e cioè visitano ripetutamente sempre gli stessi bracci dei labirinti in cui li abbiamo sbattuti; c’è poco da ridere: sul serio, voi che fareste se vi ritrovaste con l’ippocampo a fettine e chiusi in un labirinto in fondo al quale fuma un piatto di gnocchi? Ebbene, sappiate che anche la macchina provoca danni all’ippocampo (urla agghiacciate; madri tremanti stringono a sé i propri figli; i padri protestano con buffe smorfie e gesticolazioni da film muto degli anni ’20; alcuni si tengono la testa, verosimilmente cercando di capire come se la stia passando il loro ippocampo; stereotipo gesto delle mani per placare gli animi) danni scusate danni giudicati ac-cet-ta-bi-li, va bene? ovvero noi li abbiamo giudicati accettabili, ovvio anche se poi quello o quelli che li ha davvero accettati è stato lei e lei e–– ma lasciamo per un attimo da parte questa cosa dei danni e restiamo sul discorso del labirinto, volete? Dunque ecco qua: ogni viaggio finisce per produrre un verme viscido di tempo, come se sbucciando un uovo ti trovassi al suo interno lente spirali di vermi bianchi che s’arrotolano intorno al tuorlo divorandolo, ecco cosa capita al tempo durante il viaggio, al tuo tempo, ogni viaggio genera un verme e ogni verme genera un verme ed un altro verme ed un altro ancora, e tu sei come il tuorlo intrappolato e divorato dai lenti vermi bianchi, e speri inutilmente che tutti quei vermi siano uno, tutti quei vermi che in bocca hanno un pezzetto di te siano uno, perché allora vorrebbe dire che anche tu potresti sperare di tornare ad essere uno, o almeno trovare il bandolo, ma sei in un labirinto, anzi in un larvirinto hi hi hi hi hi hi hi hi hi hi hi! Ovvero, in breve tu stesso arrivi a capire di essere un labirinto, hai presente quando uno dice “il romanzo mi sta sfuggendo di mano?” È quello il momento di aprire la cassa di champagne e chiamare il proprio agente, e mica lo dico tanto per dire, lo dice il gotha, lo esige anzi l’establishment del romanzo contemporaneo nonché futuro.
“Forse un po’ di storia potrà aiutarci a mettere ordine in questo bailamme. La prima macchina era una sorta di bevanda trasmittente che induceva uno stato di trance attraverso cui il viaggiatore recitava la parte di qualcuno vissuto del passato. Operazione laboriosa, quando non dispendiosa: occorrevano infatti, per conoscere la scena, testimoni o meglio ancora una telecamera quando ne esistevano, e non esistevano quasi mai. Inoltre si trattava di una pratica molto pericolosa perché il personaggio interpretato poteva variare imprevedibilmente anche durante una stessa sessione. Sei Bruto e un secondo dopo, zac, la nonna di Cesare. Di solito il viaggio ovvero il “viaggio”, non dimentichiamoci mai che nessuno qui viaggia da nessuna parte, il “viaggio” cominciava ed aveva luogo al bancone di un bar, naturalmente a insaputa del viaggiatore cui la bevanda veniva somministrata di nascosto, tipicamente durante un approccio erotico. Probabilmente adesso lei mi verrà a dire che una bevanda non è una macchina… Lasciamo stare il fatto che questo non cambia di una virgola quello che è comunque successo a chi l’ha bevuta: il punto è che il nostro sguardo e con lui i nostri cacciaviti si sono talmente rimpiccioliti che sì, una bevanda può essere considerata una macchina, una macchina in cui non si entra ma che è essa stessa quella ch–––––” Il lato A del nastro si concludeva bruscamente così.
Che il nastro stesso fosse come i vermi di tempo di cui farneticava? Un verme di nastri che continuano a generarsi l’uno nell’altro, da srotolare con dita microscopiche? Forse era questo il motivo per cui alcune voci sembravano più di altre sprofondare in una marmellata sospirante che le rendeva sempre più distanti e trasparenti: perché erano passate attraverso un maggior numero di macchine… Proprio come delle specie di clessidre.
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SARAHS: Guardavo e riguardavo vecchi e nuovi film sul viaggio nel tempo. Quasi nessuno sembrava rendersi conto che, quando mai fosse esistita, una macchina del tempo non poteva avere altro risultato né altro scopo che quello della tortura, e infine della morte.
[continua il 9 ottobre]