Ero ancora un bambinetto di scuola elementare, quando mio padre prese a portarmi con sé in banca per l’annuale conteggio degli interessi. L’operazione si verificava a fine anno o all’inizio del nuovo, durante le vacanze di Natale. Attraversavamo la lunga sala antistante gli sportelli, dietro i quali sedevano solerti impiegati ben vestiti e incravattati, intenti a contar soldi con agili dita, e ci recavamo, annunciati da un usciere, in una parte riservata della banca, dove i funzionari e il direttore avevano i loro uffici. L’usciere ci introduceva dal funzionario che mio padre considerava suo amico fiduciario. Scambio di convenevoli. Poi mio padre esibiva il libretto su cui erano annotati ordinatamente gli importi di denaro che, mese dopo mese, anno dopo anno, mia madre aveva saputo risparmiare sul totale di quanto mio padre, il solo a percepire un reddito in famiglia, le passava mensilmente, trattenendo per sé solo il denaro che gli bastava a comprare i suoi giornali. Al ménage familiare provvedeva mia madre. Seguiva una breve discussione sulla percentuale che, a titolo di favore personale, la banca avrebbe elargito come interesse sul capitale; una discussione che mio padre troncava subito manifestando la sua estrema fiducia nel buon trattamento che l’amico funzionario gli avrebbe riservato. A quel punto il funzionario, un uomo basso e paffutello, tendente alla pinguedine, componeva un numero telefonico interno e convocava un impiegato, che subito si presentava con fare sussiegoso, riceveva le istruzioni del caso e si ritirava all’inglese per sbrigare la pratica in altra stanza. Nel frattempo, l’amico funzionario apriva un cassetto della scrivania e tirava fuori l’agenda annuale rilegata in similpelle; poi era la volta della penna e del calendario da muro del nuovo anno: su ogni oggetto, il logo della banca. Era il dono ai clienti più affezionati, agli amici, cose d’uso comune che accompagnavano la vita quotidiana della mia famiglia per tutto l’arco dell’anno. A mia sorella andava la penna, a me l’agenda, o viceversa; il calendario veniva regolarmente inchiodato nello studio di mio padre.
Col tempo, dapprima l’agenda divenne agendina, il calendario da muro divenne un calendario da portafoglio, e la penna divenne una pennina allegata all’agendina; poi evidentemente il management della banca pensò bene di razionalizzare la spesa e tutti questi gadget divennero solo un ricordo del passato (la stessa cosa pensarono di fare gli assicuratori). Ma intanto, anche il rito del conteggio annuale degli interessi era cessato. Gli impiegati continuavano, e continuano tuttora, a contar denaro con agili mani, ma di interessi al povero risparmiatore ne giungono sempre meno e il conto in banca è sempre più costoso.
Ritornava l’impiegato col conteggio effettuato secondo le istruzioni. L’amico funzionario controllava che tutto fosse stato fatto con regolarità e apponeva la sua firma di fianco alla cifra. Nuovi convenevoli tra mio padre e l’amico funzionario. Anch’io ero tirato in ballo in quanto ragazzino che ogni anno cresceva in altezza, io arrossivo come se questa fosse una colpa; poi, si andava via, dopo una stretta di mano.
All’uscita, mio padre era contento, e si faceva una sosta dalla Maria Crossa, che mi vendeva qualche biglia e qualche bustina di giocatori. Rientravamo a casa. Mio padre ridava il libretto a mia madre che lo avrebbe conservato in un cassetto del comò insieme ai suoi ori. Ma prima lo apriva, leggeva l’importo degli interessi e, a mio padre che elogiava il suo amico funzionario per il trattamento di favore che gli aveva riservato, faceva notare che non gli aveva dato nulla di più di quanto gli spettava ed anzi… Ma la discussione finiva lì: non era certo con gli interessi della banca che loro avrebbero costruito la casa!