Cosa non poco snervante, è quando nei programmi televisivi ci sono i collegamenti in esterna con dei problemi tecnici. Il conduttore pone la domanda al dotto ospite, ma c’è un ritardo nel segnale di quattro o cinque lunghissimi secondi. Noi ascoltiamo impazienti il silenzio e fissiamo il volto concentrato di chi dovrebbe rispondere, il quale sta ancora ascoltando la domanda e annuisce come se accanto a lui ci fosse un traduttore da altra lingua. Fateci caso: proprio nel momento in cui il dotto ospite sta finalmente per parlare, l’intervistatore (che pure dovrebbe essere avvezzo a queste situazioni) sente l’esigenza d’intervenire: “abbiamo dei problemi con il segnale…” Presto si ingenera il caos. Il décalage tra domande e risposte si trascina per l’intera intervista generando una fastidiosa confusione. Tra un’interruzione e l’altra, la discussione stenta a decollare, si fa sempre più tesa, gli argomenti sembrano non avere senso compiuto. A volte, a complicare e annientare definitivamente l’intervista ci pensa un ospite terzo che è in studio. Rispetto a quello “da casa” (i cui i nervi, si capisce, presto saltano), l’ospite in studio si contraddistingue per la sua rilassatezza. Incurante dei palesi problemi tecnici, interviene a gamba tesa con le sue banali affermazioni gettando, in modo chissà quanto consapevole, il suo sabot nell’ingranaggio già delicato che vi ho descritto. La puntata si conclude con lo schermo diviso in due, con i primi piani degli ospiti. A sinistra, il volto esasperato e sudaticcio del dotto ospite messo a tappeto dalla sfasatura di pochi secondi; a destra, il volto soddisfatto e vagamente tronfio dell’ospite in studio.
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Se pensiamo al Covid-19, accade qualcosa di simile. Assistiamo a una “sfasatura” (che questa volta non è di secondi, ma di giorni) che è mal interpretata e che porta sistematicamente a interventi tardivi e inopportuni. Contagi, periodi medi di incubazione e guarigioni, seppur riportati in grafici puntuali dagli scienziati, non vengono percepiti con la giusta prospettiva temporale da chi dovrebbe prendere le misure adeguate. Sembra un compito troppo arduo, per loro: non riescono a distribuire gli eventi (i nuovi casi, i ricoverati nelle terapie intensive, i morti) entro le rispettive caselle temporali. Quasi tutti i lockdown sono stati tardivi, alcuni scientemente, altri per una cattiva percezione della sfasatura: molti politici hanno avuto il bisogno di vedere gli ultimi buoi scappare dalla stalla per decidere di chiuderla. Anche la nuova ondata, nonostante il suo sapore di déjà-vu e la trama ampiamente spoilerata, ha fatto registrare gli stessi affanni, la stessa impreparazione.
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A volte, il dotto ospite da casa è uno scienziato che prova a esporre selezionando le giuste parole, quelle più comprensibili, ciò che per lui è ovvio e inequivocabile; per esempio che quando leggiamo un esito, la causa dell’esito stesso può aver avuto origine anche un mese prima. Le sue buone intenzioni, però, vengono sin da subito destabilizzate dal problema tecnico. La sfasatura di pochi secondi presto risucchia la sfasatura di giorni che lo scienziato sta cercando di spiegare, avviluppandola in una vorticosa mise en abyme. Il rilassato ospite in studio è tipicamente un politico di piccolo cabotaggio, è uno che ha difficoltà ad abbinare un tuono appena ascoltato al fulmine che lo ha di poco preceduto. Dalla sua posizione privilegiata interviene noncurante con parole prive di senso, infierendo così su un corpo che è già agonizzante.
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Da spettatore, distrutto dallo scontro impari cui ho appena assistito, cerco il telecomando per risparmiarmi almeno gli istanti finali. In fondo anch’io ho sbagliato i tempi: dovevo spegnere molto prima.