Distratto da un rumore sordo e continuo, come di punte metalliche che strisciano sul pavimento di gomma, l’allevatore smette di parlare e guarda verso la porta d’ingresso dell’ufficio, dove appare un uomo esile, con le guance e gli occhi incavati. È molto alto, indossa una tuta blu da lavoro e calza scarponi chiodati; le sue mani sono infilate in guanti di lattice, sulla testa ha un berretto con visiera e paraorecchi di pelliccia. Viene verso di noi trascinando in avanti prima un piede e dopo l’altro, con moto alternato e regolare, senza mai staccarli da terra. Davanti a sé spinge un carrello porta attrezzi che si muove su ruote di plastica dura. – È l’addetto alla manutenzione della museruola, – dice l’allevatore, – ha le ginocchia immobilizzate dall’artrosi. Passa di qua una volta al giorno, sempre alla stessa ora.
– Museruola, museruola … Macché museruola! – grida seccato l’inserviente. – Quella di Casanova è un’altra cosa, proprio un’altra – . Quindi si infila platealmente due tappi di cera nelle orecchie, dandoci a intendere che non ha intenzione di ascoltarci, e tira verso il basso le estremità del paraorecchi schiacciandosele sul viso, come se volesse appiccicarle alle guance per essere sicuro di non sentire.
– Saverio preferirebbe che si usasse un altro termine, – dice l’allevatore, – ma nemmeno lui sa quale.
– In effetti “museruola” non va bene, – dico, – l’aggeggio che ingabbia il grugno di Casanova somiglia a uno strumento di tortura, seppure rudimentale.
– Oddio, no. Anche lei con questa storia.
– Pensavo alla mordacchia, a voler essere precisi. Prima mi sfuggiva il nome, ma quella di Casanova è proprio una mordacchia.
Così dicendo, posiziono lo schermo del mio smartphone a dieci centimetri dalla faccia dell’allevatore, mostrandogli la voce “mordacchia” pubblicata su Wikipedia; poi ricomincio a parlare:
– Ecco, guardi! E mi dica se non ho ragione: la struttura in metallo, la chiusura a cerniera, l’uncino che penetra la lingua del suppliziato impedendogli di schiudere le labbra e di gridare. Veniva chiamata anche “bavaglio di ferro”, sta scritto qui, e osservandola dal vivo si capisce il perché.
– Per carità, la mordacchia no. Questa è la decima volta che mi intervistano su Casanova e capita sempre che il giornalista di turno se ne venga fuori con questa sciocchezza. Adesso basta! La museruola di Casanova non è una mordacchia, come ve lo devo dire?
– E allora cos’è?
– È tutta una grande balla, ecco cos’è! La museruola è di metallo, va bene, ma all’interno è ovattata, in modo che il maiale non solo non soffra, ma percepisca il contatto con i listelli di ferro come una carezza continua. E poi c’è l’uncino; pensi che per l’uncino una volta è stato qui il rappresentante di un’associazione animalista in compagnia di un avvocato. Hanno parlato di martirio, volevano far chiudere l’allevamento.
– E poi? come è andata?
– Come vuole che sia andata? Esaminando la museruola, si sono accorti che l’uncino è un’altra cosa.
– Nel senso che non è un uncino?
– Esatto, non è un uncino. E aggiungo che non c’entra nulla con la pratica del piercing, come ha scritto un reporter troppo fantasioso. Si tratta di un ciuccio, di un semplice ciuccio. Oppure lo chiami succhiotto, o tettarella di spugna, o come diavolo vuole lei. Però è un ciuccio particolare, questo sì, tutto intriso di certi aromi di scrofa (non è davvero necessario che le dica quali). Il maiale se ne inebria di continuo. Ce l’ha sempre in bocca, quel benedetto arnese! E non potrebbe fare altrimenti, perché la tettarella è fissata a una cinghia, o meglio a un passante della museruola legato tra il naso e la bocca del porco. La parte esterna del succhiotto, l’unica che possiamo vedere, è simile a un uncino, sebbene solo esteriormente; mentre quella interna è un vero e proprio ciuccio di spugna che aderisce al palato del maiale. Casanova non fa altro che passarci sopra con la lingua. Esagerando un po’, si può dire che lo succhia anche mentre dorme. In questo modo mantiene vivo il desiderio sessuale e l’erezione non viene meno.
Saverio, o l’addetto alla manutenzione della museruola, si dà un gran daffare attorno alla testa del porco. Prima palpeggia con il pollice e l’indice ogni stecca della maschera di ferro, poi verifica la compattezza generale della trama a sbarre menando precisi colpi di mazzuolo sui punti di giunzione delle barrette in metallo. La procedura è lenta, ogni gesto di Saverio si compie nel rispetto di decine di regole non scritte che insieme formano un cerimoniale. Dopo aver estratto una chiave inglese dalla cassetta degli attrezzi, l’uomo allenta un bullone, ne stringe un altro; quindi si industria per pulire le orecchie del porco usando dei cotton fioc molto più grandi del normale. Segue un momento di pausa, nel quale Saverio strofina il proprio naso sul naso a disco del maiale. Poi eccolo di nuovo al lavoro: con un panno in microfibra lustra ciascuna verghetta che contribuisce a formare l’ossatura metallica della struttura a gabbia, infine lubrifica la chiusura a cerniera della museruola ed estrae il ciuccio dalla bocca di Casanova per sostituirlo con un nuovo succhiotto, generosamente intriso di umori di scrofa. Al termine del rituale, l’addetto alla manutenzione della maschera di ferro si sfila i guanti, quindi si congeda dal porco con una lieve carezza contropelo.
– Il maiale sembra contento, – dico.
– Forse è così, – mi risponde l’allevatore, – ma chi può dirlo? Di sicuro è sempre al centro delle attenzioni di Saverio. Il manutentore è qui da quarantadue anni, da otto si occupa quotidianamente di Casanova. Tre anni fa gli è arrivata una lettera dal ministero, una raccomandata con l’annuncio del suo pensionamento. Saverio però ha tirato dritto, non ha smesso di lavorare nemmeno un giorno. Ha continuato a fare quel che ha sempre fatto, ma come volontario. Si è messo in testa che il maiale ha bisogno di lui. È sicuro che Casanova, non vedendolo più, si lascerebbe morire.
– Chissà, forse ha ragione.
– Ma no, Saverio è un poveraccio. Tutto quello che fa è superfluo, non serve a nulla.
– In che senso, scusi?
– Ma perché qui è tutto computerizzato! Prenda il fango dietro la scrivania, quello in cui giace Casanova. È fango sintetico, come è sintetica l’erba che ogni tanto sbuca dai pavimenti in gomma nei padiglioni delle scrofe. La temperatura e la consistenza del fango sono controllate a distanza da un computer; la museruola invece è vera, ma ha una funzione esornativa, al limite sentimentale. Se il maiale non fosse sedato, la scasserebbe in un secondo.
– Però Saverio …
– Saverio un corno! Non sa niente, quello lì. Pensi che crede di adempiere un ufficio eccezionale. Racconta a tutti di essere il pilastro della fattoria. Dice proprio così: sono il pilastro della fattoria. È convinto che la museruola, grazie alla sua accurata opera di manutenzione, impedisca a Casanova di mordere. In realtà la museruola è il relitto di un tempo passato, esattamente come lui e il suo lavoro. Il porco se ne sta quieto per via di un sofisticato sistema di microchip, altro che storie! Gliel’hanno installato sottopelle qualche anno fa. Se avessimo la facoltà di oltrepassare con lo sguardo la cotenna setolosa del maiale, vedremmo probabilmente qualcosa di simile a un formicaio: una formica, un microchip; non so se mi spiego.
– Si spiega benissimo, ma non capisco il ruolo di Saverio.
– Saverio è un’attrazione turistica. Tre volte alla settimana – nei mesi estivi anche quattro – si ferma qui un pullman di gitanti con il solo scopo di ammirarlo. Restano alla fattoria per circa un’ora, giusto il tempo di assistere al rituale della manutenzione della museruola. Per ora lo spettacolo è gratis, non facciamo pagare un biglietto d’ingresso; ma in futuro, chissà. I turisti filmano e fotografano; sono interessati soprattutto alla faccenda dell’uncino e del ciuccio. Nel frattempo mangiano panini, bevono prosecco; tutta roba che vendiamo noi a parziale ricompensa per questa seccatura. Comunque anche la storia del ciuccio è una balla – do per scontato che lei l’avesse capito. Il complesso di microchip impiantati nella sugna del maiale fa sì che Casanova sia tranquillo ma allo stesso tempo eccitato. Apparentemente è una faccenda strana, in realtà è ben ponderata e al servizio dell’utile: un gruppo di microchip è responsabile della quiete del porco, un altro ci assicura che il membro di Casanova sia sempre eretto e duro come il marmo. Da una parte si mantiene vivo il desiderio del maiale, dall’altra si spegne la sua aggressività. In questo modo si ottiene una specie di domesticazione del desiderio; lo si libera dai suoi eccessi e contemporaneamente gli si impedisce di attenuarsi: il risultato è una perfetta mediocrità del desiderio, detta anche “concupiscenza di mezzo”, che per molti studiosi è il presupposto ideale per una riproduzione senza intralci.