“Tutto ciò che si scrive è già polvere nel momento stesso in cui viene scritto, ed è giusto che vada a disperdersi con le altre polveri e ceneri del mondo. Scrivere è un modo di consumare il tempo rendendogli l’omaggio che gli è dovuto: lui dà e toglie, e quello che dà è solo quello che toglie, così la sua somma è sempre lo zero, l’insostanziale. Noi chiediamo di poter celebrare questo insostanziale, e il vuoto, l’ombra, l’erba secca, le pietre dei muri che crollano e la polvere che respiriamo”.
(Gianni Celati, I lettori di libri sono sempre più falsi, in Quattro novelle sulle apparenze)
Caro Enrico l’Umanista,
ti scrivo questa breve lettera perché purtroppo mi è impossibile incontrarti da settimane, come sai bene, per motivi indipendenti dalla nostra volontà. Proprio in queste settimane però mi è capitato di ripensare spesso alla nostra densa e ambiziosa conversazione (immagino che tu, al contrario, sia piuttosto incline a considerarla pretenziosa e confusionaria… ma sai che ho sempre trovato confortante e di grande sprone la nostra spiccata distanza di vedute). Dunque ho riflettuto molto sugli argomenti affrontati e sulle nostre rispettive posizioni e devo confermarti che, senza quello scambio di idee apparentemente velleitario e sconclusionato, non sarei riuscito neanche ad articolare il discorso che tanto sembra starmi a cuore, almeno per il tempo in cui ho avuto modo di costruirlo un pezzo per volta, quel discorso, e proprio grazie alle parole di colui che avrebbe voluto affossarlo. A riprova di ciò sta la mia estrema, recentissima difficoltà a sviluppare in modo soddisfacente per mio conto molte idee che avevamo iniziato a mettere in campo in quel nostro impervio ma per me fruttuoso scambio. In particolare, limitandomi appunto a rimuginare tra me e me, non riesco a venire a capo del livello che avevamo denominato Essere dello Spettatore, il più comune e il più determinante ma assieme il più indeterminato, il più insinuante e onnipresente, e al tempo stesso, oserei dire, il più sfuggente, appunto, a meno che non si voglia ricadere nella prospettiva di giudicare ogni spettacolo e ogni spettatore dall’alto in basso: un qualcosa cioè che in verità nessuno di noi, ormai, in quanto contemporanei, pienamente rivestiti di questa saturante contemporaneità, può davvero permettersi!! Spero vivamente che potremo organizzarci presto per un incontro a quattr’occhi e riprendere finalmente il discorso interrotto; mi è ormai chiaro che solo così, cioè confrontandomi apertamente con te ancora una volta, mi sarà forse possibile ritrovare la necessaria lucidità in ciò che al momento ancora mi si presenta come ciò che non si lascia dire in alcun modo. Nel frattempo ti invio alcuni appunti, forse un po’ grezzi, sui tre lettori immaginari di cui ti ho fatto cenno l’altra volta, al termine della nostra conversazione – ricordo che avevano suscitato una certa curiosità da parte tua – allora però credevo che di là a poco avrei avuto occasione di parlartene di persona – chissà poi con parole quanto diverse da quelle che troverai qui di seguito. Mi auguro che tu possa trovare stimolanti queste scarne riflessioni su un testo che per me si è rivelato, col passare degli anni, sempre più illuminante.
Un caro saluto e, spero, a presto.
Sinceramente Tuo, Enrico Anti-Umanista
La novella di Gianni Celati I lettori di libri sono sempre più falsi ha per protagonisti tre personaggi (lo studente, la donna, l’ingegnere) ognuno dei quali intrattiene un differente rapporto con l’atto del leggere, un rapporto che muta continuamente nel corso del tempo, trascorrendo da polarità opposte e traversando varie fasi mediane. Lo studente è parte dell’insieme anomalo dei Lettori Fallimentari: legge molto senza capire davvero quello che legge – dopo essere passato per la fase intermedia dello scrittore fallito che produce testi illeggibili, finirà per diventare un lettore professionista che finge di capire tutto ciò che legge, perché è questo ciò che gli si richiede. La donna al principio fa parte del vasto insieme dei Non-Lettori – si trasformerà nel corso del racconto in una grande lettrice, che intrattiene però con la lettura un rapporto problematico, in quanto la lettura le dischiude il mondo dei fantasmi che si annidano non dietro l’apparenza ma all’interno dell’apparenza stessa. L’ingegnere è un accanito Non-Lettore, uno che si vanta del fatto di non leggere perché solo a questo suo non leggere deve il suo successo come venditori di libri – per lui il libro coincide coll’oggetto-merce, non come oggetto dalla cui decifrazione possa scaturire un’esperienza e una memoria – anche lui però, nel corso del racconto, perderà la sua sicurezza di uomo di successo e di potere innamorandosi della donna, vedendo in lei ciò che lei ancora non è, ma che diventerà: e cioè una grande lettrice!). Qui, in sintesi estrema, vorrei mettere in rilievo il percorso dei singoli personaggi, più che i loro rapporti reciproci, per quanto siano anche questi rapporti reciproci a condizionare i loro destini.
1.
Forse il personaggio più complesso è la donna, che mantiene un rapporto aperto, inquieto con l’atto della lettura – trascorre dallo stato di Non-Lettore allo stato di Lettore-Comune sotto l’influenza dello studente, il Lettore-Ingordo che legge tutto senza saper leggere, che cioè legge i libri come se l’atto di leggerli non avesse a che fare con la vita e col mondo. La donna da lettrice-consumatrice (Lettore Distratto) passa progressivamente a uno stadio di lettrice notevole (Lettore Pensante): scopre poco a poco che la potenza dell’atto di leggere non porta a scoprire o riscoprire la bellezza del mondo né una verità determinata circa l’essere al mondo, ma alla verità ben più scomoda dell’inafferrabilità del mondo, di un senso profondo e indicibile di estraneità delle cose. Che le succede ? L’atto della lettura cambia poco a poco il suo rapporto con la realtà – emerge così la potenza perturbante del MUTO APPARIRE, una pura cosalità, una nudità del reale che fa sembrare tutti i discorsi, i messaggi e perfino i libri un vano ammiccare, un assurdo cerimoniale che si ripete dappertutto e in qualsiasi situazione. Al termine delle sue metamorfosi la donna tornerà allo stadio iniziale di non-lettrice – eppure scegliendo di sposarsi con l’ex-studente in qualche modo non si separa definitivamente da quegli oggetti paradossali che sono i libri, i quali da una parte possono portare il lettore nel cuore nudo delle cose, senza che questa rivelazione possa portare a consolazione o a salvezza – dall’altra essi partecipano della falsità del tutto, la loro lettura in ciò non distinguendosi dagli altri cerimoniali del vivere umano.
2.
Il personaggio più semplice ma al tempo stesso più estremo è quello dell’ingegnere, la cui trasformazione in lettore è tanto precipitosa e appunto estrema da portarlo addirittura ad uscire di scena nel modo più radicale: contagiato dalla follia dei libri, che lo hanno destabilizzato svuotando dall’interno quella sua volontà di potenza che lo manteneva nel ruolo di vincente e integrato, acquisisce una strana e accelerata singolarità che lo porta a superarsi. L’amore non corrisposto per la donna, nutrito ed estremizzato dalle sue letture, l’ha come ulteriormente acceso e infervorato. Le letture al tempo stesso lo aiutano per un po’ a compensare la sofferenza per l’amore non corrisposto, per cui si ritrova stranito dall’atto del leggere, diventato lui stesso troppo singolare per se stesso, troppo illeggibile. L’atto del leggere lo ha caricato di una tensione eccezionale che alla fine lo porta letteralmente a premere troppo sull’acceleratore della sua auto e a causarne l’incidente mortale.
3.
L’ex-studente Lettore Fallimentare, dopo la fase altrettanto fallimentare di autore di testi illeggibili, finirà per sfruttare la sua abitudine di Lettore Ingordo per farne una professione, sino a inaridirsi nel ruolo di stroncatore e ricavare così dall’atto di lettura degli Utili. Eppure la sua trasformazione è imperfetta e provvisoria perché, alla fine del racconto, l’intervista al vecchio oscuro scrittore lo destabilizza, lo fa sentire di nuovo in pericolo – il pensiero dell’intervistato lo riporta a rivivere il momento in cui da studente aspirava a diventare scrittore e al tempo stesso a percepire la natura non trasparente delle parole. Nell’intervista riaffiora la verità inquietante di un linguaggio che non rivela, ma opacizza la realtà – un linguaggio che non fa parlare le cose, ma le scova nel loro mutismo essenziale, nel loro apparire abbacinante e insensato… a quel punto il linguaggio appare in sé, come qualcosa che sostiene il cerimoniale che rimuove l’apparire muto e insondabile – cerimoniale che alimenta i cerimoniali in cui, in quanto umani, siamo invischiati tutti (perfino le voci più radicali e marginali – come quella dello stesso scrittore intervistato, il quale rivela la sua perturbante verità sul linguaggio affidandosi al cerimoniale dell’intervista…).