(per Giuliano Scabia)
Restano i suoi libri e resta la memoria di tutto quello che ci ha donato, è vero, ma la certezza che non verranno altri, nuovi libri né altri incontri apre già un orizzonte di rimpianto.
E in quell’orizzonte voglio scrivere la parola gioia e la parola allegria e la parola libertà perché egli portava con sé e squadernava quel ch’è nutrimento alla scrittura, alla creatività, all’incontro con i lettori e gli ascoltatori e gl’interlocutori.
La gioia (da molti dimenticata oppure ignota a molti) di fantasticare e di scrivere.
L’allegria di stare con i propri personaggi e con le persone.
La totale libertà dell’immaginare.
E spingersi fin lì e anche oltre: non solo immaginarsi albero che racconta le storie, ma essere quell’albero.
Nell’Italia offesa e sporcata, nell’Italia che implode nella propria funesta tristezza e nel proprio buio rancore esistono foreste sorelle e quartieri dove allestire il teatro, manicomi liberati del loro orrendo carcerario ferro reclusorio, case che aprono le porte (e le finestre e i balconi) ai racconti – e alberi che non sanno stare fermi.
La sua stralingua (tradizione sapienza mescolanza ricordanza erranza) si riconsegna sempre e ancora sempre all’orecchio che l’ascolta, all’occhio che la legge, alla mente che la vede:
e ci sono, non dimentichiamolo, le sue mappe del fantastico e i suoi disegni, le sue sculture colorate e in tutto questo l’allegrezza del vivere e la concomitanza del morire, l’empito libertario e l’urto della violenza
ché fantasia non è cullare illusioni né nascondere il minaccioso, il terrificante, l’artiglio pronto a ghermire: immaginazione e fantasia sono l’immersione nell’umano, giostra splendida di vertigine, ma che per ognuno di noi dovrà arrestarsi, un giorno, com’è accaduto ora alla sua – ma ci sono i suoi libri ancora, non consola, ma forse dà coraggio che ci siano ancora i suoi libri e altro di lui (i ricordi, i video, gli oggetti).
* L’immagine che illustra questo testo è uno schizzo di Giuliano Scabia realizzato per la sua scenaggiatura de “I Giganti del Po”.