Amid the seeming confusion of our mysterious world, individuals are so nicely adjusted to a system, and systems to one another and to a whole, that, by stepping aside for a moment, a man exposes himself to a fearful risk of losing his place forever … he may become, as it were, the Outcast of the Universe.
N. Hawthorne, Wakefield
Lo rivide quasi un anno dopo, senza però riconoscerlo in tempo.
“Ah, le terrificanti simmetrie delle fiabe! Sono le stesse simmetrie degli altari sacrificali… ma il mondo è tutto fuorché un altare, il mondo è come dire tutto ciò che accade al di fuori dell’altare, e così quelle simmetrie ci sfuggono, occultate in migliaia di scemenze. Alla fine, poco prima che il coltello del sacerdote ci tagli la gola, ricostruiamo i nostri passi, ma solo per capire che tutta la nostra vita non è consistita che in un lento avicinamento al centro del tempio, e come si fa sempre quando ormai non c’è più nulla da fare si scambia a volte il pugnale per una benedizione; o peggio talvolta uno si ostina, e dice che è impossibile non fare qualcosa, e si contorce su se stesso mentre le pareti del corridoio si fanno sempre più strette intorno a lui, fino a che ZAC, eccoti lì sull’altare, e com’è come non è non resta più nessuna azione, almeno non per te: le azioni sono state risucchiate tutte, fino all’ultimo granello di sabbia. Non altro è la vita che una fuga impossibile dal veleno mortale della fiaba.”
Il sermone galleggiava sopra la folla in forma di lenta e sradicata alga luminosa da cui pendevano i fili colorati dei profili olografici di chi come lui lo stava ascoltando.
Mentre nella stazione dov’era diretto l’orrore lentamente sfioriva, Miloš si voltò. Era proprio l’architetto presidente, che camminava o meglio ciondolava nel senso opposto al suo insieme agli altri scampati all’ultimo attentato (Miloš non aveva ancora controllato sui suoi vari visori esterni e/o integrati –– «che poi chi potrebbe ormai contare le protesi che nel corso degli anni ci siamo beatamente picchiati in culo, come la mano di un ventriloquo su per le viscere del suo pupazzo?» bisbigliò l’alga luminosa intercettando chissà quale brontolio di chissà quanto viva e reale identità e incanalandolo nei parametri psichici che in quel momento stavano determinando il profilo pre-para-peri-proto-sociale di Miloš –– se si trattasse di un attentato dei Nerini o di un treno “FIAT” o di chissà che altro nuovo gruppo terroristico ––––– ne fiorivano allora come un tempo le accademie poetiche.
Le luci ancora fioche delle PSYCHE®, labili radici o forse pseudozampe dell’alga panlalica salivano dalla folla mescolandosi all’invisibile puzzo di acqua marcia di Venezia. La stazione bruciava ancora, ma il flusso dei sopravvissuti rallentava mano a mano che venivano riassorbiti nell’inerzia della più vasta corrente luminosa che li sovrastava e della quale i superstiti e con loro tutti gli altri, vivi e morti, erano pur parte, se non (ma chi ormai lo credeva più?) motore. Quell’anno la cosiddetta umanità aumentata aveva superato per numero di individui quello degli abitanti del pianeta. Le ragioni di questo squilibrio non erano scontate. Le persone dotate di più di una PSYCHE® o software equivalenti (i nomi e i padroni delle piattaforme si affastellavano uno dietro l’altro a ritmo forsennato ma regolare, con uniforme vertigine e cfr. inoltre infra) erano in realtà pochissime: le contorsioni burocratiche necessarie per la clonazione di un profilo pre-PSYCHE® rasentavano l’illegalità, senza contare che era sufficiente un errore anche minimo durante il processo non autorizzato di clonazione per innescare quella che chiamavano, con tipica iperbole patologica, “schizofrenia artificiale”, e la cui gamma di “sintomi” era ancora poco o per nulla nota, ancora sfilacciata nell’epos pulviscolare e incontrollato delle testimonianze di singoli utenti tutte con le loro code colorate di commenti e reazioni delle altre PSYCHE®.
Come che sia, il sorpasso dell’umanità aumentata rispetto a quella in carne ed ossa era legato ad altri fattori, non tutti ancora passati al vaglio degli esperti, reali o a loro volta aumentati (sogghignava l’utenza) che fossero. Certo era che l’iscrizione del diritto a una connessione tra i diritti fondamentali dell’essere umano aveva rappresentato un irrimediabile giro di vite (per gli ottimisti un giro di boa) nel processo di “augmentationem” (i musicologi puristi si sgolavano inascoltati, i volti delle loro PSYCHE® spalancati in una specie di afono do di petto) dell’umanità. Ad esempio, a quanto pareva una fetta consistente di abitanti aumentati del pianeta era costituita da PSYCHE® appartenenti a persone defunte nella vita reale ma ancora attive nel mondo aumentato in grazia di un reticolo di software assortiti tra programmi di scrittura artificiale, sequenze di aggiornamento pilotate da abbonamenti pluridecennali a profili psichici predeterminati, acquisti programmati, giochi affidati a player artificiali… ininterrotte selezioni e movimenti di prodotti reali o aumentati, operazioni eseguite da una popolazione di evanescenti ma efficientissimi maggiordomi che affaccendati attorno ai cadaveri degli utenti avevano finito per sottrarre alla corona merovingia della carne il regno del mondo, un reticolo di azioni virtuali che vorticava talvolta per interi decenni attorno alla PSYCHE® del defunto, reticolo di per sé morto anch’esso ma che preso nell’insieme era più che sufficiente a dare la completa illusione della vita o, se si preferisce, dell’esistenza (nessuno se non sparuti maniaci con la bava alla bocca faceva più la benché minima distinzione tra le due) agli altri utenti, i quali a propria volta––––– già: –––––– . Erano sempre meno rare, o comunque sia destavano sempre meno sorpresa le notizie di gruppi di PSYCHE® immerse in conversazioni su questo o quel topic eppure tutte, dalla prima all’ultima, appartenenti a utenti morti nella carne, talvolta anche da anni, una versione aumentata dei ritrovamenti di persone sole morte da anni e rimaste cadaveri nei loro appartamenti nell’oblio generale degli affetti. I software per il dialogo artificiale, ormai necessari per sostenere il sempre più folle contrappunto di voci e relazioni sociali che l’utente medio della piattaforma PSYCHE® doveva essere in grado di gestire, continuavano nella perfetta indifferenza della macchina un dialogo tra defunti che forse anche quando gli utenti erano in vita si era sempre svolto in via prettamente automatizzata.
Del resto non si trattava di scambiare due chiacchiere: una impressionante quantità di attività, lavorative o ricreative (de-creative invero ormai, invelenivano i soliti retrogradi), veniva in misura sempre crescente svolta dalle PSYCHE® nel più completo disinteresse degli utenti che ne erano proprietari: proprio come i re fannulloni, gli utenti abdicavano, solo che qui ad andarci di mezzo non era il potere sul regno quanto in qualche modo il potere dell’utente su se stesso ovvero sul suo come lo chiamavano allora cluster di funzioni.
“Qual è stato di preciso il momento,” tuonava da un altare virtuale la PSYCHE® di don Giorgio Giorgio, già direttore del Pio Istituto di S. Satiro di Waltzwaltz e oggi forse chissà, anche lui nel mondo dei più (ma è questione di tempo: presto il numero delle PSYCHE® sorpasserà anche quello dei morti –– già si vociferava senza troppo stupore di dialogatori artificiali che nel mezzo di una qualche ondulazione metempsicotica tra aggiornamento e aggiornamento (la ruota delle rinascite delle intelligenze artificiali) erano giunti ad aprire clandestinamente un proprio profilo PSYCHE®, un bug di programmazione il cui risultato era una grottesca e non si poteva ancora valutare quanto estesa aumentazione della realtà aumentata –––
In fondo se ci si pensa anche il tuono non arriva quando ormai il fulmine è già bell’e sepolto, polvere alla polvere e luce alla luce?
“Qual è stato il preciso momento in cui di cittadini ci siamo fatti utenti? È così che vogliamo presentarci alle porte della Città di Dio?” “Della carta del cittadino non importa più niente a nessuno, è stata sostituita dal contratto con l’utente; e al posto della libertà abbiamo la personalizzazione del profilo” mormorò non granché a proposito una delle PSYCHE® appese alla striscia o se si preferisce, trattandosi di don Giorgio Giorgio, alla stola di luce violetta che (ma era naturalmente un’apparenza, il risultato di una coordinazione programmata tra i colori e i movimenti della piattaforma olografica e i suoni trasmessi a ogni singolo utente) stava emettendo il sermone.
La corrente di sopravvissuti e quella opposta di viaggiatori erano un’ombra nera, un fiume fantasma quasi invisibile sotto la placida ondulazione luminosa delle PSYCHE® proiettate al di sopra di loro, come ancora usava in quelle settimane: una moda della stagione appena passata, in cui la piattaforma si chiamava ANGELOS® e i microproiettori consentivano di direzionare il proprio avatar olografico solo verso l’alto. Al cambio di nome (ma di nuovo cfr. infra, è meno semplice di così) e di tecnologia alcuni utenti avevano cominciato a farsi seguire dalla propria PSYCHE® a livello del terreno, a pochi passi di distanza da sé, invece che farsene sovrastare. La cosa però aveva potuto creare confusione tra la luce degli avatar olografici e i corpi degli utenti in carne ed ossa, e già c’erano stati incidenti nelle zone più trafficate: l’occhio umano si ostinava a dare più sostanza alla luce, e i corpi in carne ed ossa accanto agli ologrammi finivano per apparire come delle ombre (non soltanto l’occhio umano per la verità: di recente un pilota stradale automatico, disorientato dalla brusca attivazione di una PSYCHE® alle spalle di una donna che attraversava la strada, aveva fatto una violenta frenata provocando una catena di tamponamenti tra i veicoli e i droni in fila dietro il primo veicolo, per un totale di dodici tra feriti e contusi e 12 milioni di iterazioni su EMPEIRIA™). Siamo noi gli spettri, bisbigliavano i terroristi prima di farsi saltare in aria.
[NOTA: Non stupisca l’imperversare di grecismi nei nomi dei software e delle piattaforme qui citati, dovuto molto semplicemente ai parametri nominali automatici – vale a dire non personalizzati dall’utente – della PSYCHE® di Miloš: resosi ormai obsoleto il concetto di brand, il marketing aumentato si orienta decisamente verso una personalizzazione totale e il più possibile inconsapevole del prodotto, inconsapevole cioè sia per quel che riguarda l’utente che, fattore fondamentale, per il produttore stesso ––– tutto, in altre parole, ovvero tutto quanto è possibile entro i limiti di una legge che in ogni caso arranca sempre più faticosamente dietro l’immillarsi delle intelligenze artificiali, ma insomma tutto viene fatto quanto più possibile scivolare in una forma di a-percezione inconsapevole ossia, posto che sulla piattaforma PSYCHE® sempre più mansioni vengono svolte da appositi software, automatica: e così è dunque anche per i nomi dei prodotti, che vengono automaticamente adattati ai gusti linguistici del singolo utente –––– di fatto la piattaforma PSYCHE® e tutta la parata dei restanti software maggiormente in uso nell’epoca in cui si svolge o svolgerebbe questa parte di storia non hanno un nome specifico, ma prendono automaticamente un nome differente a seconda dell’utente e dei suoi parametri ––––– né sussiste il rischio di fare confusione: una ulteriore e sempre più indispensabile software di traduzione automatica che al momento nella PSYCHE® di Miloš va sotto il nome di GARBINEL® si occupa di convertire istantaneamente i nomi dei prodotti durante le conversazioni tra utenti, in modo che ad esempio Miloš possa parlare di PSYCHE® con un utente per il quale quella stessa piattaforma si chiami invece, poniamo, EDEN®, o WEALL® o quel che è senza che insorgano malintesi di sorta, né, ciò che forse più importa, possibilità alcuna di violare un copyright purchessia, poiché non è più il nome l’oggetto del contendere, bensì il meccanismo stesso della nominazione ––––––– linguisti subito bollati come ovvero automaticamente tradotti in allarmisti reazionari vedono in questo fenomeno l’embrione di un diffondersi del neologismo patologico, una disintegrazione del linguaggio in una nube di nomi il cui senso è frammentato in quello dato loro da ciascun utente a propria stessa insaputa, o viceversa uno spappolamento di ogni singolo significato in una miriade di nomi differenti che, al guastarsi del software di traduzione qui chiamato GARBINEL®, porterebbe all’insorgere di una nuova istantanea Babele ––– laddove il pieno funzionamento di GARBINEL® instaura viceversa una Babele demoniaca in cui ciascuno parla una lingua differente eppure tutti si capiscono ovvero, ma che differenza c’è in fondo, sono convinti di capirsi –––––––––– allo stesso modo la banda di luce olografica che sovrasta le persone in “fuga” dalla stazione in fiamme appare venata di colori differenti a ciascun utente a seconda delle emissioni cui sta accedendo o cui ha concesso l’accesso alla propria PSYCHE® ––––– un ulteriore apposito software visivo seleziona nello spettro di luce dell’ologramma i colori specifici per ogni utente accedendo alle sue lenti o ––– ma ancora sono in pochi ad averli ––– ai suoi microschermi retinici, adattando ai parametri la visione dell’utente e regalando così a tutti un’esperienza totalmente condivisa e nello stesso tempo infinitamente personalizzata e unica, una coesistenza della massima solitudine con la massima socialità –––––– allo stesso modo i protagonisti tra vittime, terroristi, inquirenti, dell’attentato appena occorso prendono automaticamente colorazioni diverse a seconda delle scelte politiche, dietrologiche, qualunquistiche, antropologiche, postumanistiche, protoartificiali, postneweconomiche di ciascun singolo utente, e così, temono alcuni, ogni notizia e ogni fatto non solo del mondo ma delle persone a noi più vicine viene filtrato e tradotto in modo da venire incontro ai parametri dell’utenza ovvero a noi.]
Il corpo dell’architetto dondolava malcerto come un detrito nei gorghi di un’alluvione. Solo in quel momento Miloš si rese conto della vastità del corpo del presidente, della stazza della sua figura, alta quasi una spanna sopra la massa sempre più scura delle persone, i suoi occhi come fauci spalancate in mezzo al nero dei passanti in carne ed ossa; il cappello quasi sfiorava la scia olografica, ritagliandone a volte dei buffi ricci colorati (tali apparivano naturalmente al solo Miloš, che in quel momento stava mettendo a fuoco proprio quel dettaglio). L’architetto dondolava come un vecchissimo giocattolo sempre-in-piedi, passivamente obbedendo alla sempre meno terrificata corrente di superstiti intorno a lui.
Non tutti i passanti e i fuggitivi si trovavano a Venezia in carne ed ossa, ed anche per questo la nebulosa di ologrammi appariva più vasta e viva dell’insieme di corpi su cui era librata. La colorazione della nube di PSYCHE®, come una perpetua e ubiqua, meravigliosa- e mostruosa- mente efficiente aurora boreale, oltre che delle preferenze dei singoli utenti accuratamente archiviate da intelligenze sempre più interamente artificiali, era il risultato dell’interconnessione col più vasto metaologramma che si distendeva smagliato e vertiginosamente frattalico sopra il cosiddetto ecumene frastagliandosi in tentacoli quasi invisibili che pendevano per migliaia di chilometri oltre l’atmosfera terrestre; nei panegirici dei fedeli il metaologramma era chiamato, con la morta fantasia dei fanatici, IperPianeta. Miloš alzò gli occhi verso la luce semovente, come un fachiro vinto dal cobra.
Doveva voltarsi, tornare indietro e cercare di raggiungere l’architetto? E se quell’incontro casuale fosse stato l’unico importante della sua vita, l’unico effettivo incontro cui fosse destinato? Perché altrimenti il caso l’avrebbe messo di nuovo davanti all’architetto? ––––– Vittima dei racconti di ogni tempo, in qualche modo anche Miloš sospettava che il massimo bene coincidesse con l’adempimento del proprio destino, mai con la fuga da esso.
“––stacoli per spedire e ricevere una lettera, una qualsiasi lettera, anche solo una cartolina, un invito a cena, un biglietto da visita… loro romanzesca capricciosità: paganinesca capricciosità del contrattempo, ombra demonica di quella levigatissima scemenza che va sotto il nome in codice di contrappunto e che è in realtà tra le più crudeli bugie… I contrattempi postali ci mandavano a culo per aria, la loro possibilità ci gettava nel minuetto infinito del dubbio… ma ora gli ostacoli e gli imprevisti sono un lusso che letteralmente nessuno si può più permettere, tutto funziona alla perfezione, il contrappunto procede inesorabile verso l’oceano morto dell’armonia finale–– è finita per sempre l’età dell’impromptu?”
Era stato calcolato che ormai più del 90% dei testi emessi in PSYCHE® era realizzato da programmi di scrittura artificiale che in quanto tali come s’è detto obbedivano alle preferenze degli utenti destinatari di tali testi, rifrangendo all’infinito un testo che nessuno aveva loro dettato in miliardi di nuove ricombinazioni di se stesso per ogni nuova visualizzazione –– anche da parte dello stesso utente. Il più delle volte, poi, i testi prodotti non venivano controllati dagli autori fisici o perlomeno dagli utenti dei software (se ancora tali utenti sopravvivevano o addirittura se sussistevano tout court, cfr. supra) ma erano sottoposti alla verifica di appositi programmi di correzione possibilmente prodotti da parti terze rispetto sia ai gestori di PSYCHE® che ai programmatori dei software di scrittura in questione. Un’indagine non ancora pubblicata e svolta per così dire in camera caritatis da un ristrettissimo gruppo di osservatori all’interno di PSYCHE®, osservatori ça d’ora in poi ira sans dire la cui natura, se umana o artificiale, non era dato sapere, aveva individuato un’ulteriore piega della questione nel fatto che gli stessi lettori di quei testi, a quanto si era potuto stimare incrociando i dati di utilizzo degli specifici programmi di pre-lettura con quelli di scrittura, erano ormai quasi per il 70% lettori artificiali che si occupavano di selezionare nella mole di testi scritti, orali e multimediali quotidianamente riversata nell’archivio olografico di ciascuna PSYCHE® quanto per l’utente potesse avere un qualche interesse o perlomeno un qualche significato. Gli eretici usavano paragonare queste gerarchie di scrittori e lettori artificiali ai roghi di libri che infestavano le storie antiche dai totalitarismi novecenteschi su su fino a don Chisciotte, all’inquisizione, al medioevo…: la scrittura e la lettura ormai essendo dominio di intelligenze per le quali il sottile paradosso del significato era solo una questione di corretta esecuzione di una sequenza di ordini, in ogni PSYCHE® che si affidava a quei programmi aveva luogo in effetti un piccolo rogo in cui a trovare la morte tra fiamme olografiche (prontamente disegnate dai programmi cui gli eretici affidavano i propri proclami) erano non autori e lettori e libri, ma più mostruosamente la possibilità stessa della lettura e della scrittura come fatto esclusivamente umano. I soliti linguisti, poi, che per la verità in questo nuovo bislacco stato di cose stavano trovando inesplorati campi d’indagine ovvero più corrivamente nuovi canali di guadagno in cui sguazzare, paventavano l’emergere di un, come lo chiamavano i più (ma a quanto pare il neologismo diciamo qui per amor d’alloro solo semipatologico infesta gli alti studi così come le più clandestine delle chat, forse anche in questo caso per una sorta di sindrome di Babele o di Nembrot o della Torre o della Caduta o––) neoanalfabetismo o analfabetismo 2.0 o panalfabetismo o para- o peri- o epi- o ipo- o pseudo- o meta- e così via e così via, di prefisso in prefisso e poi di intervento in intervento in articolo in silloge in aureo volumetto che nessuno, reale o artificiale non importa, leggerà.
“Arriverà il momento in cui un banale black out avrà sulla vita delle persone degli effetti non troppo diversi da quelli di un coma”
Nel brusio di luce che nascondeva le spirali di pietra di Venezia e mascherava il movimento ininterrotto dell’acqua e il cielo notturno, l’architetto dondolava come un gigantesco giocattolo a sonagli. Nel suo sorriso perduto, anche da lontano, Miloš credette di indovinare che il presidente era ubriaco.
“Né dimentichiamoci che la Rete, il cui nome è stato eufemizzato nel corrispettivo straniero – l’uso di una lingua straniera tradisce sempre, a un qualche livello, il bisogno di eufemizzare ovvero occultare –– che la Rete fu in origine un oggetto militare – occorre ricordare gli ancora più antichi reziari? – , ovvero un’arma, e diciamo non conta quanto ti ci diverti o dove la lanci o dove te la infili, un’arma è e resta sempre un’arma e l’unica cosa che un’arma vuole, in fin dei conti, è la morte ––– e non è appunto la morte ciò cui attingiamo attraverso la Rete, una ramificata e condivisa morte? ossia se preferite una rarefatta e pressapochista immortalità? Il pensiero che la cosiddetta privacy sia costantemente infranta e usata, che i nostri dati non spariranno mai, non è forse in fondo in fondo solleticante? Non è una svenevolezza di dama di romanzo libertino la nostra indignazione per la privacy violata? Non ci fa sentire un pochino più importanti, e sia pure importanti come lo sono le vacche da mungere? Siamo urtati e ossessionati dall’invasione della nostra privacy allo stesso modo in cui alcuni temono e bramano furiosamente–– e quella furia è parte non secondaria del piacere ––– insomma guardate la faccia di chi scopre che la propria privacy è stata violata. Sì, la morte, certo: l’altra cosa bella del mondo: ne soddisfiamo costantemente la pulsione proprio nella Rete, come essere in una bara e insieme potersi vedere da fuori –– esaliamo, ad ogni post, ad ogni foto, la nostra ultima parola, decidiamo ancora una volta come incidere la nostra lapide quotidiana, con il piacere aggiunto di poter osservare ogni volta quanti parteciperanno al nostro “funerale”, quanti lasceranno dei fiori, quanti parleranno di noi agli amici, al mondo –– una tale forma di gloria pseudopostuma scalza immediatamente, quanto a voluttà, la gloria cui eravamo abituati, quella che arde presso postumi anonimi, remoti e non garantiti. Non assomigliano i nostri profili ad altrettante continuamente autocorreggentisi lapidi? Così osservare ciò che accade al nostro ologramma dopo che abbiamo pubblicato un nuovo contenuto è come vedere attraverso un apposito oblò di vetro quel che accade dopo che siamo stati chiusi nella bara, come nel Vampyr di Dreyer, e non è forse l’epoca dei film e dei libri sui vampiri, questa? Degli zombie la cui crescente oscura bellezza di cartapecora è sempre più venata di una forma di piacere, di godimento – ma sto divagando”
Miloš disattivò il selezionatore automatico che avrebbe dovuto isolare nel brusio generale della striscia di luce la voce a lui destinata. Dato che probabilmente in molti in quel momento stavano parlando dell’attentato, tolse le cuffie e ascoltò il brusio che la nebulosa di innumerevoli PSYCHE® vomitava sopra i corpi scuri che passavano sotto di lei. È necessario, per vivere davvero, conoscere ciò che accade, pensava o credeva di stare pensando Miloš, ma l’unica cosa che stava davvero accadendo è che lui camminando incontro a chi fuggiva dalle fiamme aveva per un attimo riconosciuto il corpo nero dell’architetto nella folla di luce che già lo trascinava via, lo aveva riconosciuto e si era voltato verso di lui, ed ecco che già lo dimenticava, travolto dalle miriadi di voci che scendevano dalla nebulosa dove nulla invece accadeva e tutto veniva rimasticato e ripetuto in eterno o quasi.
***
Feux follets
Feux follets
Madama Morte
Feux follets
Così cantavano sciogliendosi l’una nell’altra, come acqua nell’acqua, le voci di innumerabili PSYCHE® sospese sopra l’ombra nera della folla, ammusandosi con debole e muta gioia di insetti nella stessa canzone.
Feux follets
Feux follets
Ascoltava la canzonetta, come Miloš, anche Decor, lui però tra i fuggitivi, abbandonato anche lui nella contemplazione del fiume di luce in cui trovavano un pietoso coperchio quasi tutte le smorfie di dolore e il sangue delle vittime, le urla già ormai uno sfondo lontano per la canzonetta di Ms.S. detta anche semplicemente la Cantante, che rintanata con un amplificatore e una chitarra elettrica in quella che secondo la più recente leggenda era una roulotte texana produceva ininterrottamente e in forma rigorosamente anonima brevi canzonette come quella che si stava spargendo ora nella nebula e che immediatamente si riverberavano su miliardi di PSYCHE® come un tremore di ondine quando il vento pizzica uno stagno, un tremore che si manifestava anche in nuove ulteriori canzonette che ricinguettavano di PSYCHE® in PSYCHE® sempre più trasformate dalle intelligenze preposte all’ascolto, fino a farsi una seconda e una terza diversa canzonetta,
Feux follets
Feux follets
Canticchiava quasi distratta (ma era una forma di estasi, e la Cantante una santa in fiamme) la voce di Ms.S. che un’altra leggenda voleva indossasse un frac troppo grande per lei, unico ricordo di suo padre ex acrobata del circo dei
Feux follets
Feux follets
Le cirque des
“Feux follets!” ringhiava don Giorgio Giorgio dal suo pulpito olografico, “È per molti ormai più facile rinunciare alla carne che alla PSYCHE®, e in questo dissonante contrasto quella che un tempo era l’anima oggi evapora in privacy. Ma gli ologrammi non sono che fuochi fatui che guizzano di cadavere in cadavere abolendone l’identità, frammenti di una nebulosa vampiro che si nutre della nostra carne trasformandola in luce, non vedete le molli e sottilissime zampe con cui ininterrottamente ci fruga?”
Dal modo in cui l’uomo dondolava, quasi parlando al selciato, anche Decor, anche lui catturato nella corrente dei fuggitivi, capì che l’architetto era ubriaco fradicio. Dondolava come una maschera di cartapesta dietro cui non c’è nulla se non un brulicare di scarafaggi. Dalla sua bocca nera usciva il fiato nero di Venezia.
L’anonimato perfetto dell’autrice di Feux follets aveva fatto sì che un’infinità di altre/i cantanti venisse fagocitata in lei, con lei condividendo la supposta autorialità di milioni di brani, e così proprio malgrado la Cantante, che una terza leggenda voleva ritratta solo una volta nella vita in un’unica fotografia in cui faceva girare tra le dita un filo d’erba in fiore, si era ritrovata a condividere con le intelligenze di PSYCHE® una vastità di produzione quasi infinita, e non erano pochi quelli che con una quarta eretica leggenda la credevano, lei stessa, una di quelle intelligenze.
“Intelligenze!” tuonava don Giorgio Giorgio, “le prime intelligenze erano gli angeli, ma l’uomo ha fatto vibrare e cantare la terra fino a farne sorgere gli angeli caduti impacchettandoli nelle intelligenze di PSYCHE®, e per vendicarsi di essere stati cacciati dall’inferno gli angeli caduti hanno raggrumato la nebulosa vampiro e rinchiuso la carne nella luce”.
Una notte, quando il padre di Decor era ancora in sé, erano scesi, Decor e suo padre, erano scesi nel prato per cercare di far aprire la corolla di una margherita con la luce elettrica di una torcia. Scendendo la sera, la luce delle PSYCHE® intensificava, e parallelamente i proprietari, laddove presenti, svanivano in una tenebra indistinta. A Venezia era ancora fatto divieto di srotolare il proprio ambiente olografico intorno al proprio avatar, usanza che arlecchinava la gran parte delle altre città di una frenesia di aumentazioni reciproche; l’amministrazione veneziana aveva tuttavia approntato siti archeologici virtuali che col pigro ritmo di una vecchia insegna al neon smantellavano ininterrottamente la città denudandone gli strati passati, facendo riemergere i banchi di sabbia e i sanguinari pescatori che fermarono la navi di Sparta, giù giù fino a–– ogni spazio della città paralizzato in un istante planckiano dal quale si diramavano infiniti mondi, tutti a quanto pareva più decisivi di quello reale.
Decor, che camminava con gli altri fuggitivi davanti al presidente, per osservarlo aveva dovuto fermarsi e voltarsi, esattamente come Miloš, quasi il presidente fosse la superficie di uno specchio deformante… Mah. E se Miloš e Decor fossero la stessa persona? Nulla ci potrebbe stupire di meno nell’orrifico biforcarsi di PSYCHE® dal loro corpo, una che fugge e l’altra che arriva.
Miloš contava appunto di arrivare in stazione quando il più dei morti sarebbe già stato portato via. Nell’atrio si attardava ormai affievolendosi qualche PSYCHE® rimasta orfana, sospese alcune sopra il cadavere dell’utente che gli inservienti non avevano ancora rimosso. Alcune PSYCHE® orfane si spegnevano in più o meno stereotipe pose di anima che trova la pace nell’invisibile –– i set più utilizzati variavano in base all’età dell’utente defunto: anima che sale verso un indefinito luminoso (40+ anni); anima che sorride e svanisce in uno sciame di piccole luci (30-40 anni); anima che diventa sempre più nera fino a fondersi nelle ombre retrostanti (20-30 anni) ––– restano, ultimi a galleggiare nell’ombra a mo’ di addio da Stregatto, gli occhi; anima che da una posa accosciata, di solito accanto a uno specchio d’acqua, lancia uno sguardo carico di stereotipo significato all’osservatore prima di liquefarsi nell’aria (tarda adolescenza); tutte in ogni caso sparivano in breve; altre, in ottemperanza a chissà quali contratti con chissà quali intelligenze siglati in vita dagli utenti ovvero da ulteriori intelligenze da loro diretta- o indiretta- (ovvero per tramite di ancora ulteriori intelligenze, cfr. supra) -mente autorizzate, venivano assorbite in oscuri laboratori virtuali e per quel che si sapeva andavano ad aumentare le file delle PSYCHE® di non vivi ancora attive.
***
Giusto prima di entrare nell’atrio della stazione, Miloš indovinò la silhouette di quello che probabilmente era uno dei terroristi. La figura barcollava sul tetto reso scivoloso dalla pioggia di poche ore prima, e c’era qualcosa di vagamente clownesco nei suoi pantaloni scozzesi. Era di spalle e aveva movenze femminili. A volte si sarebbe detto fosse sul punto di cadere, ma era il suo stesso modo di barcollare a tenere in piedi la figura, ed era forse il risultato di un’abitudine, come l’andatura dondolante dei marinai.
Le tegole luccicavano rossastre sotto le scarpe fuori misura del clown in fuga, e avevano forma e disposizione piuttosto irregolari, ma poteva anche essere un effetto dell’esplosione. A volte, ma forse era solo per via della pioggerella o di una qualche lieve deformità nel vetro da cui Miloš sbirciava la scena, in un certo senso in attesa che il/la clown facesse il passo falso definitivo, le tegole sembravano quasi sollevarsi sotto le suole di para della figura, come per uno spasimo di incontrollabile ma morto piacere. Le avresti dette scaglie di una qualche bestia fiabesca. Con un ultimo balzo maldestro, quasi fosse parte di una gag, la figura perse definitivamente l’equilibrio e precipitò a testa in giù nell’acqua, le code variopinte del suo frac come ali di un pipistrello giocattolo.
“Benvenuti a Waltzwaltz” sentì bisbigliare Miloš vicinissimo all’orecchio.
L’architetto era alle sue spalle.
[continua l’11 dicembre]