Giungere a Colonia in treno, attraversando il ponte in acciaio sul Reno, scendere allo Hauptbahnhof e veder sorgere immediatamente, vertiginose, le torri del Duomo: il Reno a Colonia e il Duomo sono uniti da questo nesso (singolare, forse), almeno per chi vi giunge da altrove e in treno.
Ci sono stati i secoli nei quali le case e i vicoli medioevali s’assiepavano attorno alla mole del Duomo, poi i bombardamenti durante la Seconda Guerra mondiale hanno spazzato via tutto lasciando soltanto la sagoma annerita dell’edificio sacro – la ricostruzione ha deciso per un ponte a tre campate con struttura in acciaio che scavalcasse il Reno portando i treni proprio a ridosso del Duomo.
Lo Hauptbahnhof è un vasto agglomerato di servizi ferroviari, ovviamente, e di spazi commerciali, vetrine, merci in esposizione e in vendita – lo si attraversa ritrovandosi sul fianco del Duomo, si raggiunge poi la vasta piattaforma costruita innanzi ai portali d’ingresso all’edificio. E sembra naturale, istintivo levare lo sguardo in su (si deve piegare di molto la testa all’indietro) per provare a capire in quali punti del cielo le due torri appuntite si perdono; a me capita puntualmente (ad Amburgo, a Münster, qui a Colonia, non importa) di udire (e non so spiegare perché, ma sento) il rombo dei bombardieri in formazione sulle città tedesche: si vedono chiaramente le tracce nere degli incendi sulle murature, sulle modanature gotiche, sugli archi a sesto acuto e a me sembra che la mente completi la percezione visiva tramite sensazioni uditive.
Sebald sostiene a ragione che un enorme rimosso della coscienza dei Tedeschi siano proprio i bombardamenti a tappeto che distrussero gran parte delle loro città (Luftkrieg und Literatur pubblicato in italiano con il titolo Storia naturale della distruzione) – Anselm Kiefer popola le sue opere di campi arsi dagli incendi, di abiti, biciclette, grumi di vernici bruciacchiati o corrosi dal fuoco, spesso fa colare sulle grandi tavole dipinte piombo fuso che raffreddandosi si rapprende in enormi scotomi che accecano la perspicuità del dipinto.
Paul Celan e Ingeborg Bachmann s’incontrarono a Colonia il 14 ottobre 1957 durante una delle tappe del loro tormentato amore e il 20 ottobre, in Quai Bourbon a Parigi, Paul scrive e dedica a Ingeborg Köln, Am Hof, la lirica che comincia con il composto «Herzzeit» (tempo del cuore) e che dice del sentirsi banditi da un luogo e da un tempo e dell’avvertirsi persi, che pone in relazione due duomi («Ihr Dome») non visibili, due fiumi («ihr Ströme») inascoltati e due orologi sprofondati in entrambi i noi («ihr Uhren tief in uns») – percorrendo Quai de Bourbon, situato all’estremità occidentale dell’Île Saint-Louis, solo nella sua parte terminale che fronteggia l’Île de la Cité si scorge l’abside di Notre Dame, da qui il motivo per cui i due duomi (quello parigino e quello coloniense) vengono definiti «ungesehn» (non visti) e i due fiumi («unbelauscht», non ascoltati) sono, ovviamente, la Senna e il Reno, mentre gli orologi che misurano il tempo dell’amore, dell’incontro e della separazione stanno profondi nei cuori di entrambi gli amanti; nella lettera che il poeta scrive a Ingeborg e che contiene la poesia, Celan ne annota con cura giorno e ora di composizione: domenica, le due e mezzo di pomeriggio.
E parte del titolo della lirica (Am Hof), pur rimandando all’indirizzo dell’albergo dove Paul Celan alloggiò in quei giorni a Colonia, allude all’area della città tedesca situata tra la “corte episcopale” (der Hof) e la piazza del Municipio in passato abitata da famiglie di origine ebraica: è il tempo dilatato d’Europa, sono orologi che hanno regolato (regolano ancora?) un andirivieni di treni che, più di una volta, appartengono al volto feroce della storia.
Giungere a Colonia in treno, prepararsi a scendere (Köln Hauptbahnhof), scorgere il Reno lampeggiare nella tramatura delle strutture in acciaio del ponte, poi la velocità che diminuisce, l’arresto al fischio lungo dei freni.