Scrivere al ritmo del passo che s’inoltra nel bosco e dello sguardo che scorge il muschio sulla pietra, il cappello del fungo ai piedi del faggio, l’aprirsi luminoso della radura.
Letteralmente farcire il quadernetto tascabile dalla copertina rigida con foglie raccolte da terra, con la piuma di un uccello caduta sul sentiero, col fungo colto nel querceto, con l’elastico per i capelli perduto chissà quando da una bambina.
Scrivere l’otium delle ore di Wanderung consumando una dopo l’altra le matite e dispiegare così un sommesso canto alla durata che ha pagine che si spiegazzano nell’andare, che s’inumidiscono al contatto con le foglie e i funghi e le piume raccolti ancora umidi del tempo del bosco, che si ondulano e s’induriscono asciugandosi – che si sporcano.
Inventare un testo intessuto di materiali molti e diversi che s’accostano alle parole, che talvolta le inglobano, talaltra le continuano.
Ci fu qualcuno, in passato, che ricoprì dei suoi quasi indecifrabili Mikrogramme lacerti di varie dimensioni da calendari, da carta per pacchi, da fogli di computisteria: scrittura inabissata, venuta alla luce per fortuito, felice caso.
Altri scrisse di Oehler che nel suo camminare incessante imbastisce un soliloquio senza fine che coincide esatto e ossessivo con il proprio dire (con lo scrivere).
Altri ancora riempì giorno dopo giorno per anni e anni i suoi Sudelbücher di annotazioni diverse, una sorta di zibaldone tedesco che fu il passo coincidente del tempo e della scrittura, della riflessione e della parola.
Altri percorse a piedi il Suffolk raccogliendo a sua volta parole e fotografie, immagini e memoria e lo stesso fece in Corsica.
Il nostro tempo, da parte sua, può essere ancora narrato sotto le specie di una scrittura che ha il passo lento e meditante del camminatore, mentre l’occhio esplora intento (indugiante, paziente) e la mano scrive e disegna, disegnando torna alla scrittura, dalla scrittura transita di nuovo al disegno esattamente come l’andare trascorre dal sentiero alla scarpata in salita, poi discende nel greto di un torrente in secca, attraversa quindi un pascolo recintato o si ferma davanti alla muta di un rettile.
L’andare attraverso un bosco oppure lungo una carrozzabile possiede l’attitudine al raccolto e un raccolto non è, si badi, collezione, ma sollecita, rispettosa cura per le cose inapparenti che sono come venute a maturazione entro la felice casualità degli ambienti naturali – e occorre chinarsi, raccogliere piano per non sciupare, considerare se e come portare con sé – e conservare.
Quest’andare, che è anche, per esempio, un attraversare la Spagna sulle tracce di un juke box o un seguire il sentiero di Cézanne in Provenza, oppure scrivere di un cercatore di funghi apre radure della scrittura in cui soffermarsi: accade nel centro di anni devastati dal mito della velocità e dell’immagine moltiplicata oltre ogni limite accettabile e il quaderno (Heft) oppure il taccuino (Notizbuch) ricevono e restituiscono in maniera non neutra, non pacificata le tracce del corpo che scrive e che disegna, il muoversi ora disteso ora nervoso, ora fluido ora ostacolato della mano e della penna o della matita che, complici l’una dell’altra, procedono nel campo aperto della pagina, addensano la foresta della scrittura, scelgono direzioni dell’andare.
NOTA: Le criptocitazioni disseminate nel testo rimandano, oltre che ovviamente ad alcuni libri di Peter Handke cui questa prosa vuol rendere omaggio, a Robert Walser, a Thomas Bernhard, a Georg Christoph Lichtenberg, a W. G. Sebald.
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