Il primo Premio Principe – ora Principessa – delle Asturie di Comunicazione e Discipline umanistiche venne conferito a María Zambrano; il più recente verrà consegnato a Nuccio Ordine. Da allora abbiamo assistito ad alcuni eventi sui quali continuiamo a scrivere per abitudine e, forse, per noia: la fine del Novecento; la scomparsa degli ultimi, terminali maestri di un’epoca vicina e al contempo irraggiungibile; l’irredimibile rottura che ci separa dal «mondo di ieri», o piuttosto l’insuperabile distanza che provoca la miopia e la presbiopia attraverso le quali sfochiamo i nostri stessi anacronismi.
Che cosa è successo tra il 1981 e il 2023? Tra il premio concesso alla grande filosofa andalusa e quello assegnato all’abile accademico calabrese? Secondo me (ma ormai è una sorta di fastidioso, pungente luogo comune), le Discipline umanistiche sono decadute, già esangui, e hanno abdicato a favore della Comunicazione.
Va da sé che Ordine è stato – lo sarà ancora? – uno studioso serio e competente, capace di scrivere, mi dicono, alcuni libri di rilievo. Epperò le ragioni del suo presente successo risiedono in tutt’altri aspetti della sua traiettoria, più cagliostreschi: ha vissuto, credo, quel che abbiamo vissuto anche noi in qualità di spettatori, di comparse o, nel migliore dei casi, di attori non protagonisti, visto che ha dovuto affrontare l’arduo, difficile dilemma tra l’insignificanza dell’intellettuale inattuale e la potenziale fama del comunicatore globale. A mio giudizio ha scelto da molti anni la seconda opzione. Lo capisco: perché dedicarsi, sennò, a un mestiere colmo di delusioni e privo di soddisfazioni e riconoscimenti?
I suoi pamphlets – nobilitati, in ambito ispanico, dalle copertine nere della prestigiosa casa editrice barcellonese Acantilado – testimoniano del destino dell’umanesimo in questi tempi post-umani e, in realtà, lo legittimano. Condivido gran parte di ciò che propone nell’Utilità dell’inutile, così come non posso che ammirare quasi tutti i suoi Classici per la vita. Purtuttavia, mi risulterebbe impossibile nascondere lo sconforto e il malessere che si impadroniscono di me ogniqualvolta sono costretto ad aprirli.
Mi spiego meglio: ciascuna rilettura non fa che confermare la mia prima impressione, vale a dire, l’impressione che si tratti di un umanesimo a uso dell’infanzia perenne delle nostre società, di un sapere irrimediabilmente liofilizzato e lontano dalla vita e dalle sue offese. Devo riconoscere che il Montaigne di Diamante è abbastanza convincente, quando compendia in un centinaio di pagine l’intera storia della civiltà occidentale per una comunità di lettori che appartengono, o che credono di appartenere, a un «club esclusivo, ma di massa» (Alfonso Berardinelli).
Il problema principale deriva da tali circostanze, che riguardano tutti noi, i vincitori non meno dei vinti: consapevole della propria inevitabile marginalità, l’intellettuale (post)umanista deve decidere, innanzitutto, qual è il campo delle sue effimere battaglie. In questo senso, le possibilità sono non poco limitate, tra l’accademia e il mercato, tra i circoli universitari e l’industria culturale, tra la correzione politica e il politicamente corretto…
Seguendo i consigli del suo, e nostro, massimo ispiratore, Umberto Eco, Nuccio Ordine si è trincerato all’interno della società dello spettacolo, dal cui belvedere continua a lanciarci dei messaggi che non comprendiamo, o che comprendiamo fin troppo bene, dato che il suo codice morse rimanda soltanto a un umanesimo slavato che non riesce a intrattenere nessuna autentica relazione con il nostro glorioso, discutibile passato. Oggigiorno nessuna persona sana di mente potrebbe affermare di essere contemporanea di Dante. I nostri padri lo furono per davvero.
Nuccio Ordine si è limitato a utilizzare nel migliore – o nel peggiore – dei modi le scarse risorse di cui disponiamo, dimodoché potremmo dire che l’ultimo Premio Principessa delle Asturie gli è stato attribuito con assoluta legittimità. Ci riconcilia, oltretutto, con gli angusti orizzonti del nostro presente e del nostro avvenire; non avremo altri premi di consolazione.
(Una versione leggermente diversa di questo testo è uscita su «Letras Libres» il 10/05/2023)