1. Per molti lettori, ancor oggi, Milan Kundera è soprattutto l’autore de L’insostenibile leggerezza dell’essere. Che cosa ha determinato, secondo lei, il successo di questo romanzo in Italia?
L’arte del romanzo di Milan Kundera possiede da sempre due livelli: una o più storie, spesso d’amore, che spesso culminano in una scena erotica, e una serie di digressioni, divagazioni o “saggi romanzeschi” che trasformano i problemi privati dei personaggi in problemi di tutti. È il caso anche dell’Insostenibile leggerezza dell’essere. Il lettore meno attento – cioè la stragrande maggioranza dei lettori di romanzi – si appassiona alla storia d’amore, mentre i lettori più esigenti cercano di collegare la storia d’amore alle riflessioni, ad esempio, filosofiche o musicali dell’autore.
Il lettore che sceglie questa strada si accorge ben presto che tutti i registri presenti nel romanzo sono pervasi dagli stessi temi, cioè dalle stesse domande, e che queste domande attraversano l’esistenza dei diversi personaggi. Quanto al successo, l’avventura internazionale di Kundera inizia ben prima della pubblicazione dell’Insostenibile, e cioè nel 1968, quando il suo primo romanzo, Lo scherzo, fu tradotto e pubblicato da Gallimard in Francia. Quando uscì, era appena scoppiata la Primavera di Praga, e tutti gli intellettuali francesi facevano a gara a elogiare il romanzo e il suo autore: formidabile esempio di lotta contro il totalitarismo. Solo che la sfida di Kundera non è mai stata politica, e la Storia, per lui, è sempre stato un “laboratorio antropologico” per cogliere un “contenuto esistenziale” inedito, e non un’occasione per dipingere una società in un particolare momento. Grande malinteso, dunque. Il successo di Kundera inizia con un grande malinteso. E credo sia proseguito di malinteso in malinteso. Fino a oggi.
2. In un’intervista, pubblicata nel 2002 sul Corriere della sera, Roberto Calasso ha affermato che le vendite del libro hanno avuto un notevole incremento grazie alla trasmissione “Quelli della notte” di Renzo Arbore, dove il comico D’Agostino usava il titolo del romanzo come battuta-tormentone. Lei è d’accordo o quest’ipotesi è riduttiva?
Calasso, da editore, avrà fatto all’epoca le sue verifiche. Quel che è certo è che l’incontro tra Kundera e Calasso è stato per entrambi un incontro fortunato. Calasso, grazie ai libri di Kundera, ha rimpolpato le finanze dell’Adelphi, Kundera, grazie all’Adelphi e ai suoi traduttori, dopo alcune precedenti esperienze negative in Italia, ha trovato dei fedeli esecutori della sua opera. Non avendo agenti letterari (la sua sola agente è la moglie Vera), Kundera ha sempre rivisto e corretto le traduzioni dei suoi libri con un accanimento ossessivo. Per qualcuno come lui che per molto tempo ha scritto i suoi libri per un pubblico che non parlava la lingua in cui erano scritti, la traduzione è stata fondamentale. Ha scritto una volta: “Si dice: la traduzione è come la donna: o è fedele o è bella. È l’adagio più stupido che conosca. Infatti, la traduzione è bella se è fedele. Mi si obietterà che ciò non è possibile: nessuna parola di nessuna lingua trova il suo equivalente in un’altra. Certo, è evidente. Senhsucht, la celebre parola della poesia tedesca non significa né desiderio né nostalgia e il traduttore deve inventare la maniera più adeguata di rendere il suo senso in un’altra lingua: attraverso una perifrasi? L’aggiunta di un aggettivo? Un neologismo? La fedeltà di una traduzione non è una cosa meccanica, ma esige fantasia e creatività. La fedeltà in una traduzione è un’arte”. Onore ai buffoni della TV. Onore ai fedeli traduttori italiani.
3. Quanto ha influito sull’opera di Kundera e sul suo modo di rapportarsi alla scrittura questo enorme successo?
La risposta qui è semplice, perfino laconica: nulla. Da quel che so, l’unico cambiamento avvenuto nella vita di Kundera dopo il successo planetario dell’Insostenibile è il suo trasferimento in una casa più spaziosa. Ah, ce n’è un altro: ha smesso di dare interviste alla stampa, essendo l’indiscrezione il suo regno. Kundera, dopo l’esperienza in un regime totalitario, ha sempre cercato di difendersi dalla manipolazione e dalla censura. Giunto a Parigi ha scoperto che la libera stampa occidentale operava con le stesse tecniche della polizia segreta della Cecoslovacchia: ritagliava, rimontava, ometteva, inventava le sue risposte e le sue riflessioni.
4. Kundera ha affermato che, quando gli avvenimenti dell’invasione dell’URSS in Cecoslovacchia saranno diventati solo ricordi, L’insostenibile leggerezza dell’essere sarà considerato semplicemente un romanzo. Pensa che questo cambiamento influirà sulla popolarità del libro o solo sul modo in cui viene “percepito” dai lettori?
Oggi già viviamo gli avvenimenti della Primavera di Praga come dei pallidi ricordi, a cui sobbalziamo solo in occasione di ricorrenze e mostre fotografiche. Certo le ricorrenze e le foto sono importanti, ma per comprendere il “contenuto esistenziale” di un’epoca storica c’è bisogno del romanzo: è il caso dello Scherzo e anche dell’Insostenibile. Molte epoche storiche possono andar perdute, possono passare inosservate se il loro “contenuto esistenziale” inedito non viene colto da un grande romanzo. È il caso, per quanto ne so, di un’epoca – dal 1989 ai nostri giorni – che potremmo chiamare “la fine del comunismo”.
5. Come è avvenuto l’incontro con Adelphi?
A questa domanda non so rispondere con precisione. Da quanto Kundera mi ha riferito, in modo vago (la sua memoria poetica è molto più prensile e precisa della sua memoria storica) tutto è veramente iniziato con la pubblicazione dell’Insostenibile. Era scontento delle case editrici italiane che lo avevano pubblicato precedentemente. E non poteva avere un rapporto diretto con i traduttori, cosa che, come ho detto, per Kundera, è molto importante.
6. Le opere di riflessione sul romanzo e sulla letteratura sono state tutte pubblicate dopo il grande successo de L’insostenibile leggerezza dell’essere. C’è un legame tra i due fatti?
Non credo. Penso, naturalmente, che la forza commerciale di un romanzo è, a tutte le latitudini, infinitamente superiore a quella di un saggio, soprattutto di un saggio letterario. Ma, ad esempio, L’arte del romanzo, pubblicato nel 1986 in Francia e nel 1988 in Italia, era già il titolo del primo libro di Kundera in ceco (in seguito rifiutato), scritto tra la fine degli anni Cinquanta. In Kundera la riflessione sul romanzo, sulla civiltà europea, sull’arte moderna (pittura, musica, teatro, cinema) e sui Tempi moderni (presente dai Testamenti traditi fino a Un incontro) è corsa sempre parallela alla creazione della sua opera romanzesca. E questo perché Kundera pensa che il romanzo di Cervantes sia una forma d’arte maggiore che ha contribuito in modo essenziale alla nascita della moderna civiltà europea, alla stregua della filosofia di Cartesio o della scienza di Galileo.
7. In un articolo del 1995, ripubblicato in Un incontro, Kundera afferma che esiste un cinema-arte e un cinema-rimbecillimento, entrambi a pari titolo eredi dei fratelli Lumière. Ma il secondo non potrebbe essere una degenerazione o un’involuzione dovuta ai difetti della natura umana e a chi ha saputo sfruttarli?
Nel suo articolo, scritto nel centesimo anniversario della nascita del cinema, Kundera, rispondendo a un grande giornale tedesco, afferma che i fratelli Lumière non inventarono un’arte, ma una tecnica. Senza la scoperta dei fratelli Lumière il mondo di oggi non sarebbe quello che è. Afferma Kundera: “la nuova tecnica, infatti, è diventata l’agente principale del rimbecillimento… e secondariamente l’agente dell’indiscrezione planetaria”. La storia del cinema come arte è molto più breve di quella “del cinema inteso come tecnica”. L’esempio che Kundera riporta è lo scontro tra Fellini e le televisioni di Berlusconi, le quali a un certo punto decisero di interrompere i film con gli spot pubblicitari (seguite a ruota dalla televisione pubblica). Chi ha vinto? Lo sappiamo. Sappiamo anche che la vittoria è avvenuta con il beneplacito dei progressisti del nostro paese (quegli stessi che una volta al governo dimenticarono il conflitto di interessi), che in gioventù erano sulle barricate e che con gli anni, finalmente maturi, in nome del loro unico dio, il progresso, sono diventati parte integrante del processo di rimbecillimento che dagli anni Novanta – epoca in cui gli spot televisivi incominciarono a interrompere i film – è in atto in Italia e nel mondo (ma l’Italia è un’avanguardia, in questo senso). Non credo che si tratti di una degenerazione della natura umana – che per definizione possiede in sé una parte ferina – ma di un uso ideologico e demagogico della tecnica, del “cinema inteso come tecnica” o riproduzione in movimento della realtà. Ma chi oggi ha il coraggio di affermare, come fa Kundera, che l’arte e in particolare l’arte del romanzo se vorrà continuare la sua storia “non potrà che progredire contro il progresso del mondo”?
8. In Un incontro Kundera lamenta più volte la “scomparsa” dell’arte dalla mente e dall’attenzione della gente. Ma qual è, secondo lei, la causa di questa “scomparsa”?
La nozione di “arte” così come la intendiamo e la intende Kundera ha più di duemila anni. Non è detto che questa nozione debba durare. Non è detto che l’uomo abbia ancora bisogno di questa nozione dell’arte. Tuttavia ciò a cui Kundera tiene particolarmente è l’arte moderna del romanzo così come si è sviluppata da Rabelais e Cervantes a partire dal XVI e XVII secolo in Europa, diffondendosi poi, soprattutto nel XIX e nel XX secolo, in tutto il mondo. Ora, romanzo moderno per Kundera non significa un romanzo che rompe radicalmente con il passato, ma un romanzo che avanza attraverso nuove scoperte su una strada tracciata, una strada ereditata. Come giudicare il valore di un’opera se non siamo più in grado di concepirla in una continuità storica? Se non sappiamo collocarla nella storia della sua arte?
9. Nel 2007, in un’inchiesta sui “più grandi cechi di tutti i tempi”, Kundera è stato inserito solo all’85° posto. L’anno dopo, però, è stato accusato di essere stato una spia del regime comunista. Ora, lasciando da parte le polemiche, non crede che questa sia in effetti un’attestazione di fama o importanza superiore a quell’85° posto?
Il rapporto tra Kundera e il suo paese natale è ambiguo. Da una parte è sentito come un disertore, qualcuno che ha abbandonato la patria in un momento difficile. Dall’altra esistono in Repubblica ceca alcune cerchie di scrittori e intellettuali che lo amano e lo stimano. Del resto Kundera ha ben analizzato le dinamiche delle piccole nazioni nei confronti dei loro artisti: le piccole nazioni mitizzano i loro artisti per poi farne dei bardi nazionali da cui non vogliono essere tradite. Ha perciò sentito sempre il bisogno di distanziarsi da ogni “piccolo contesto” nazionale, affermando più volte che il solo contesto in cui un’opera deve essere giudicata è quello sovranazionale. Non ha risparmiato critiche neppure agli studiosi di letteratura ceca che in patria e all’estero non fanno altro che provincializzare, all’interno di “un nazionalismo universitario”, i loro autori, condannandoli all’emarginazione o al misconoscimento. Non dimentichiamo poi che Kundera è cittadino francese da più di trent’anni e che da molto tempo scrive in francese. Oggi molti critici in Francia lo definiscono un “autore francese di origine ceca”. Nel 1993 pubblicò un articolo su “Le Monde” assai significativo a questo proposito. Il titolo era “Il mio secondo paese natale”.
[Primavera 2012]