Manuali scolastici
… è un curioso andamento degli studi umani, che i geni più sublimi liberi e irregolari, quando hanno acquistato fama stabile e universale, diventino classici, cioè i loro scritti entrino nel numero dei libri elementari, e si mettano in mano de’ fanciulli”.
G. Leopardi, Zibaldone, 307
I ragazzi, a scuola, tendono a usare e soprattutto a scrivere queste parole-contenitore del tipo “società” che significa volta per volta comunità, cultura, civiltà, immaginario, relazioni etc. Mi batto quotidianamente contro i termini generici, le espressioni dall’alone confuso, per un uso consapevole delle parole, mi sento un po’ come Nanni Moretti quando in Palombella rossa schiaffeggia la giornalista che usa la parola trend, e lui le urla che le parole bisogna usarle bene… c’è una moralità profonda nel buon uso delle parole…
In seconda B stiamo facendo un modulo storico-culturale sull’Umanesimo e sul Rinascimento (ci infilo alla grande Aretino e l’Hypnerotomachia Poliphili e Teofilo Folengo, Erasmo e l’Utopia, mica solo le solite grandi glorie, troppo facile) e siccome dobbiamo introdurre il Rinascimento, do un’occhiata sul loro manuale (Segre e Martignoni, Leggere il mondo, Bruno Mondadori Scuola) alle pagine di contestualizzazione storica, così per farmi un’idea. Prime righe: Se osserviamo la dinamica storica dell’Europa moderna non più dal punto di vista, tipicamente medievale, di un Mediterraneo diviso fra civiltà cristiana e civiltà islamica, ci rendiamo conto di essere all’origine del più straordinario fenomeno della civilizzazione umana. Gli europei conquistano e sottomettono gli spazi di un nuovo continente, l’America. E anche le aree costiere dell’Africa e dell’Asia vengono esplorate da navigatori e commercianti, e poi da soldati e missionari.
… il più straordinario fenomeno della civilizzazione umana… civilizzazione umana… straordinario fenomeno… gli europei conquistano… umana… civilizzazione… civilizzazione… civilizzazione… conquistano… il più straordinario fenomeno… civilizzazione umana… Ma si dicono così queste cose? Non capisco bene se è presa di campo ideologica (e allora andrebbe anche bene, tutto è lecito) o se si tratta di sciatteria, di parole buttate lì. Credo che sia sciatteria. Colpevolissima. Su un libro di letteratura serio, curato da uno dei più grandi luminari. Si chiamano genocidio, pirateria, schiavismo, rapina, massacro, razzia, razzismo, invasione queste cose, non il più straordinario fenomeno dellacivilizzazione umana.
È un manuale morigerato, scopriamo. Leggevamo per diletto le ottave dell’Orlando innamorato. Qui, gli dicevo, vedete, si stanno corteggiando ‘sti due, siamo ai primi approcci, non è che subito arrivino al dunque, prima servono le parole, si seducono con le rime petrarchesche, che sono innocue, no?… poi quando capiranno che possono spingersi un po’ più in là vedrete che le stilizzazioni e le astrazioni finiscono… io già mi gustavo la grazia di quei baci che mi ricordavo nelle ottave successive… e invece, volto la pagina e il brano antologizzato è finito… proprio sul più bello… mi spiace ragazzi, dico, qui il censore ha sfumato, sono rimasti solo i sospiri e le astrazioni… Angelo, vai in biblioteca a prendere l’originale, che ci leggiamo anche il resto, dai…
Io sono. Dimmi, che cos’è l’essere?
Io sono. Dimmi, che cos’è l’essere? Una parte di me è già passata. – Niente è stabile. Io sono il corso di un fiume fangoso che sempre fluisce senza mai fissarsi. – Di tutto ciò, che cosa sono io? Che sono io, secondo te, una cosa piuttosto che un’altra? Insegnamelo. – Io sono qui in questo momento; bada ch’io non ti sfugga.
Gregorio di Nazianzio (IV sec. d.C.)
Il maestro si presenta con un bastone. Dice ai discepoli: È duro o morbido questo bastone? Silenzio, nessuno osa rispondere. Il più impetuoso dice: È duro, maestro. – Hai ragione, dice il maestro e glielo sbatte sulla schiena. Un altro risponde, dopo parecchio tempo: E’ morbido, maestro. – Hai sbagliato gli ribatte il maestro, senti com’è duro! E glielo sbatte sulla schiena. Passa dell’altro tempo. Il più saggio alla fine va vicino al maestro, gli toglie il bastone e lo spezza.
Storia zen
Dai 99 aforismi di Raffaello Franchini
4. Pensa troppo: è un reazionario.
6. La logica è reazionaria: e infatti la insegno.
14. La pedagogia, questa scienza inamena e banale, è secondo alcuni necessaria in quanto “insegna a insegnare”. Ma essi non si sono mai posto il problema che una siffatta scienza occorrerà pure insegnarla: e allora, qual è la scienza che insegna la scienza che insegna a insegnare?
25. Opporsi a chiunque si oppone a qualsiasi cosa.
27. La lotta contro il nozionismo: l’ultima foglia di fico dell’ignoranza.
28. Si spinse talmente a destra da cominciare a correggere gli errori di grammatica.
29. C’è una logica nel disprezzo della memoria così largamente diffuso nelle scuole odierne. Chi dimentica, o non è abituato a ricordare, è sempre pronto a dar ragione all’ultima persona con cui parla. Non per niente i tiranni immaginati da Orwell passavano tanto del loro tempo a distruggere il passato.
35. Trattano i bambini da adulti per poter poi trattare gli adulti da bambini.
56. Quando mi elogiano perché sarei “politicamente corretto” ho sempre un po’ di paura di essere stato vile.
91. La mediocrità è peggio della barbarie. Questa, secondo Goethe, disconosce ciò che è eccellente; quella, invece, tende addirittura a impedirne la conoscenza.
92. L’internazionale dei mediocri è di gran lunga più forte della massoneria, della Chiesa e del Partito comunista messi insieme.
(Giannini editore, 1974; e in Scrittori italiani di aforismi, Mondadori Meridiani)
E le cicale (perché leggere Gadda)
E LE CICALE, POPOLO DELL’IMMENSO DI FUORI, PADRONE DELLA LUCE
La punteggiatura. I “due punti”, qualche volta anche il “punto e virgola”, servono per esprimere il vuoto delle cose (avete in mente i quadri di Giorgio Morandi?). «Un clacson, dalla camionale: e il vuoto delle cose. Tutto taceva, finalmente. I gatti, all’ora consueta, ecco erano penetrati nella casa, per dove loro solo entrano: vellutate presenze l’affisavano dalla metà delle scale, con occhi nella oscurità come topazî, ma fenduti d’un taglio, lineare pupille della lor fame: e le rivolsero, miaulando, un saluto timido, un appello: “è l’ora”». «E, generosamente, glo glo fece il fiasco; dal collo; voltato subito in orizzontale; tra gli splendori della tovaglia».
I pronomi. L’io è destituito, frammentato, i personaggi non possono essere analizzati a 360 gradi. «… I think; già: but I’m ill of thinking…» mormorò il figlio. «… I pronomi! Sono i pidocchi del pensiero. Quando il pensiero ha i pidocchi, si gratta, come tutti quelli che hanno i pidocchi… e nelle unghie, allora… ci ritrova i pronomi: i pronomi di persona…».
C’è un infinito, un assoluto al quale aspirare. Oltre il terrazzo di casa, nel suono delle cicale, nella luce. «Le cicale franàrono nella continuità eguale del tempo, dissero la persistenza: andàvano ai confini dell’estate. Il dottor Higueróa sembrava cercar le betulle, bianche virgole nei querceti a tramontana di Lukones».
C’è il dolore.
«… La mamma è spaventosamente invecchiata… è malata… forse sono stato io… Non so darmi pace… Ma ho avuto un sogno spaventoso…».
«Un sogno?… e che le fa un sogno?… È uno smarrimento dell’anima… il fantasma di un momento…».
«Non so, dottore: badi… forse è dimenticare, è risolversi! È rifiutare le scleròtiche figurazioni della dialettica, le cose vedute secondo forza…».
«Secondo forza?… che forza?…».
«La forza sistematrice del carattere… questa gloriosa lampada a petrolio che ci fuma di dentro,… e fa il filo, e ci fa neri di bugìe, di dentro,… di bugìe meritorie, grasse, bugiardosissime… e ha la buona opinione per sé, per sé sola… Ma sognare è fiume profondo, che precipita a una lontana sorgiva, ripùllula nel mattino di verità».
Parve incredibile al dottor Higueróa che un uomo di corporatura normale, alta anzi, di condizione socialmente così «elevata», potesse lasciarsi ancorare a delle sciocchezze come quelle. Ma lo sgomento e la tristezza erano troppo evidenti nello sguardo; di persona che teme, che ha un qualcosa che l’occupa, un rimorso; terrore, odio? anche nel sole pieno: nel canto, nella pienezza dolce e distesa della terra.
Il mondo è caos e dolore. La forza sistematrice dell’io è illusoria e colpevole. Le cose sono vuote; l’io è più morto che vivo: verità e identità sono nel mezzo, come in equilibrio fra due poli magnetici e quel punto nel mezzo è la facoltà interpretativa, lo sforzo di capire.
Ecco perché leggere (vivere, interpretare, navigare) la Cognizione del dolore di Carlo Emilio Gadda.
AVVERBI
Facevamo lezione, stamane, rivedendo i commenti composti dagli studenti sul Gattopardo.
C’è, alla fine del Gattopardo, il principe di Salina che muore. L’hanno sdraiato su un divano, in un albergo, dalla finestra si sente il rumore del mare. Lui ormai sta delirando, ma più che la mente a venire meno è il corpo. Si tratta quasi tutto di sensazioni. La mente tenta di tenere un po’ d’ordine. ma confonde la cometa di Halley con la cometa di Huxley, perfino le cose che conosce di più gli sfuggono. Si chiede quando ha vissuto davvero nei suoi settant’anni e conclude che forse due o tre, in tutto, non di più.
Senti, Laura, qui mi scrivi che alla fine della sua vita lui trova conforto nel pensiero degli “affetti familiari”… ma se lo dice chiaramente, che ha amato sua moglie non più di qualche mese, che la gioia sono state le avventure con le altre donne… che anche i figli… Sì, prof, ma amava suo nipote, quello sì… Ascolta, Laura, qui ti sei fatta prendere dalla necessità dei luoghi comuni, pensi che uno onesto debba morire pensando agli “affetti familiari” e ci hai piazzato la frase fatta… il contrario di quello che scrive Tomasi di Lampedusa, non ti sembra?… Mmhh…
Il principe di Salina crede di vedere nella stanza una donna giovane, vestita da viaggio, di marrone, che aveva intravisto il giorno prima alla stazione. Treno, morte. La morte lo ha sedotto, e lui si concede l’ultima conquista. Amore e morte.
… e poi potevate fare dei confronti, ad esempio con altre morti famose. Il protagonista che muore è un antieroe, è lì con il suo corpo, con i suoi limiti, nudo di fronte alla realtà, senza più finzioni… Quali per esempio, prof?…. Quella di Mastro Gesualdo, o Ivan Ilic… Prof, anche Bazarov in Padri e figli di Turgenev?… Mah, un po’ di meno, ma può darsi, tu che ne dici?… E Marlon Brando alla fine dell’Ultimo tango a Parigi?… I morti di Joyce…
Vedi, Federica, questa frase qua, dove scrivi “intimamente interiore”, c’è una ridondanza, c’è troppa roba… e poi questo avverbio – lasciali perdere gli avverbi.