«Io non sono costretto a scrivere. Al contrario, quando devo scrivere qualcosa, mi dico: come mai non ho potuto impedirlo?». Queste parole siano ingaggiate come epitome dell’opera di Hans Wollschläger, il cui gesto estetico, estremo nella sua sicurezza, strapotente in tutte le sue declinazioni, in Germania – con una tale simultaneità di impieghi – non si era forse mai visto. Wollschläger scrittore, filologo e storico, musicologo, traduttore: non vi è campo dove egli non abbia lasciato un’orma persistente.
Quando nel 1975 appare la sua fiammante versione di Ulysses, che ripara alle storture della prima, precocissima, di Goyert nel 1927 – quasi ostacolando per cinquant’anni, di fatto, la comprensione delle novità del romanzo –, un fascio di luce viene gettato sullo scrittore irlandese: si avvia un altro ciclo nella recezione di Joyce. L’arco d’Ulisse è stato finalmente teso, e la traduzione di Wollschläger ritenuta una delle maggiori prove della lingua tedesca. È passata anche in proverbio, poi, la resa del capitolo delle lavandaie del Finnegans Wake, Anna Livia Plurabelle, e le centrifughe di fiumi e le parole in metamorfosi (parryotphrosed myth brockendootsch, recita il sottotitolo).
Ma questa “scrittura di secondo grado” è solo il cono d’ombra della sua prosa: la rarità dei precipitati narrativi di Wollschläger ci consegna una grande opera incompiuta, Herzgewächse, oder der Fall Adams. Preconizzato per quindici anni, e uscito solo nel 1982, questo romanzo in forma di diario è per i suoi lettori una testa di Medusa, del quale Andreas Weigel afferma: «In quanto letteratura assoluta Herzgewächse dialoga consapevolmente con sé medesimo, in sé, di sé, per cui esso stesso è la sua letteratura critica». Una grammatica viene qui elaborata perché la lingua si accordi alla strategie compositive della musica, di cui vengono adottati i principi, con l’eterno ritorno di temi e canoni. Le forme del racconto cadono nel dominio dei suoni, sicché il senso trova i suoi correlati oggettivi negli andamenti e nei ritmi. Nel 2004 fu annunciato che la prevista seconda parte del libro – la cui imminenza s’era in certo qual modo sostituita all’opera – non avrebbe mai più visto le stampe. Il frammento, il non finito, chissà era la forma di Wollschläger. Nei suoi migliori esegeti rimane però viva la speranza che almeno una delle tre o quattro versioni della seconda parte venga prima o poi pubblicata.
Tuttavia l’incompiuto ci determina, e l’insordescenza della critica, meglio disposta ad accettare la grandezza di Wollschläger sul côté della saggistica (così la «Frankfurter Allgemeine Zeitung» scrive che in questo genere è stato uno dei maggiori del Novecento), deve ancora scoprire, per paradosso, la portata di questo romanzo.
A dicembre fui invitato ad andarlo a trovare, in una mesta lettera dove si diceva ormai interessato solo ai destini degli uomini, non essendolo più a quello dei libri. Non ne ho avuto il tempo. Hans Wollschläger muore, per una polmomite, all’una di notte del 19 maggio, all’ospedale di Bamberg, nell’Alta Franconia.
pubblicato in ALIAS del 26 maggio 2007