Oggi il poeta francese Yves Bonnefoy viene festeggiato a Treviso in occasione del conferimento del Premio Europeo di Poesia 2006. Per l’occasione proponiamo un inedito di Bonnefoy (tradotto da Fabio Scotto), ispirato a Giacomo Leopardi e, a seguire, la motivazione del Premio, firmata da Paolo Ruffilli.
La tomba di Leopardi
Nel nido di Fenice, quanti si sono
Bruciati le dita smuovendo ceneri!
Lui, è al consenso a tanta notte
Che dovette il ritrovamento di tanta luce.
E hanno innalzato, quelle parole fiduciose,
Non il qualsiasi onice verso un cielo nero
Ma la coppa formata dai suoi due palmi
Per un po’ d’acqua terrestre e il tuo riflesso,
O luna, sua amica. Ti offre quest’acqua,
E tu china su di essa, vuoi volentieri
Bere al suo desiderio, alla sua speranza.
Io ti vedo andargli accanto su queste colline
Deserte, il suo paese. Talora davanti
A lui, e volgendoti, ridente; talora la sua ombra.
Le tombeau de Giacomo Leopardi
di Yves Bonnefoy
Dans le nid de Phénix, combien se sont
Brûlé les doigts à remuer des cendres!
Lui, c’est de consentir à tant de nuit
Qu’il dût de retrouver tant de lumière.
Et ils ont élevé, ces mots confiants,
Non le quelconque onyx vers un ciel noir
Mais la coupe formée par ses deux paumes
Pour un peu d’eau terrestre et ton reflet,
O lune, son amie. Il t’offre de cette eau,
Et toi penchée sur elle, tu veux bien
Boire de son désir, de son espérance.
Je te vois qui vas près de lui sur ces collines
Désertes, son pays. Parfois devant
Lui, et te retournant, riante; parfois son ombre.
Verso la dissipazione nel blu del mondo
di Paolo Ruffilli
Da più di cinquant’anni, la poesia di Yves Bonnefoy ci guida attraverso “gli oscuri sentieri” della verità e del mistero che la avvolge ai nostri occhi, ricordandoci a ogni snodo che è “da un bosco tenebroso” che si esalta la fiamma della luce. Un matematico come Bonnefoy, seguendo fin da giovane l’indicazione dei surrealisti di uscire dai rigidi parametri della ragione e dell’osservazione realistica dei fatti per cercare significati ulteriori e più autentici legami con la profondità dell’io, ha affidato alla poesia il compito di sondare la “sostanza” posta al di là delle mortificanti schematizzazioni razionali. E la poesia “ha separato le sue acque dalle altre acque”, gettando “un ponte di ferro proteso verso l’altra riva ancor più notturna” e mettendosi in relazione diretta con ciò che “è la sua sola memoria e il suo solo amore”. L’assoluto è forse al di là di ogni forma pura, in quelle “terre intraviste” dove sembra di poter attingere l’eterno. E lì la “voce consumata da una febbre essenziale” forza l’orizzonte che “chiude il linguaggio”, azzardando “il senso e al di là del senso il mondo freddo”. C’è, nella poesia di Bonnefoy, anche un originale percorso di specie mistica, di natura laica se non addirittura atea. L’io, attratto dalla bellezza, ne insegue la perfezione ma, una volta che l’ha conosciuta, si rende conto che la sua salvezza sta nel dimenticarsene scoprendo che “l’imperfezione è la cima”. È la scoperta che coincide con la rivelazione paradossale che la vita ha le sue radici nella morte: “dovrai varcare la morte perché tu viva”. Al punto che il poeta si chiede: “ho saputo amarti, non sapendo morire?” Il viaggio degli uomini è lungo, “più lungo della vita”: è una stella in fondo al sentiero, un cielo che si crede di veder scintillare tra due alberi, dentro scenari di cristallo su cui brilla spesso
la pioggia. Ci sono paesaggi metafisici, in queste poesie, ora pieni di luci fosforescenti ora attraversati da ombre tenebrose. Paesaggi nei quali la consistenza petrosa e ferrosa della realtà si mescola con l’evanescenza dei vapori del sogno, con l’effetto di lasciare addosso “il dolore d’essere noto nella materia”. E, su tutto, un’aria che fonde in uno tutti quei colori “dei quali mi sembrava che certi, di lontano, mi fossero ignoti”. Insieme, come antidoto e come spinta all’avventurosa irresistibile tendenza degli uomini verso “la dissipazione nel blu del mondo”.