Chi leggerà questo libro adoperando i suoi cinque sensi farà una curiosa esperienza. Quando dopo la lettura non dico di tutto il libro, ma molto prima, farà una pausa e si metterà, dopo un po’, a pensare ai fatti suoi o addirittura dormirà, si accorgerà che i suoi pensieri seguono una certa musica, o se dorme gli succederà che i suoi sogni vanno per la loro strada come al solito, ma con un certo preciso ritmo: ed è l’incanto musicale del libro che continua nel suo orecchio; oramai quel lettore è posseduto dalla voce del libro. Probabilmente si è anche invaghito di questo sound che è cantato da una voce regionale, inconfondibilmente toscana.
Ed è in Toscana che si muove l’eroe, il ragazzo Gino, in un paesaggio ancora lontano da sfruttamenti turistici e industriali tra una popolazione che ancora deve ingegnarsi per mangiare tutti i giorni.
Siamo negli anni Trenta/Quaranta del secolo appena passato. Con Gino attraversiamo i boschi, con i rami che pungono e le foglie degli alberi che possono diventare un morbido e fresco letto nella calura estiva. Lo accompagniamo che si lascia invadere dai mille profumi senza pensare niente, a meno che non abbia una fame da lupo dopo non aver mangiato niente da qualche giorno; allora gli odori del pane o di un mercato intero possono diventare una tentazione gigantesca. Ma appare anche il duro inverno toscano in montagna; i luoghi alti dove lavorare la terra è una grossa quasi illusoria fatica tutto l’anno. Dove si soffre il freddo e la scarsità di tutto, addosso e fino nelle ossa. La polvere delle strade d’estate non è un lontano ricordo; il lettore la percepisce attraverso i piedi di Gino quasi fisicamente. Nessun fenomeno resta astratta nominazione, ma è sempre percepito con i sensi e direi con abbandono ai sensi; senza tirare conclusioni né dare giudizi.
E con questo siamo arrivati all’eroe del romanzo, il personaggio del ragazzo Gino che è uno che scappa di casa, non ha voglia di lavorare (e invece lavorerà parecchio – ogni tanto), parte per il mondo e che poi è la Toscana rurale. Lo vediamo un po’ anche nelle città, a Siena e nella sua Firenze. Gino conosce persone di tutti i ceti, vive situazioni molto diverse, fa molte espe-rienze o forse è più giusto dire che gli capitano delle avventure, ma è impermeabile all’esperienza che gli dovrebbe insegnare a vivere nel mondo. Gino invece vive come se ogni giorno nascesse di nuovo; il mondo non finisce mai di stupirlo.
Ma non resta con le mani nelle mani: quando capisce che bisogna fare qualcosa, perfino lavorare, interviene spontaneamente e si rimbocca le maniche; così all’inclinazione del sognatore si aggiunge la sua qualità toscana che non vorrebbe lasciare le cose come sono. Ma guai a inchiodarlo in un luogo o – peggio – a un incarico. A cose fatte lui si allontana; spesso non sa nemmeno dove andare, ma basta andare, saltando a destra e a manca, camminare fino quando si cade dalla stanchezza, e il giorno dopo riaprire gli occhi al mondo.
Gino non è un personaggio da fiaba, ma un ragazzo reale che ad esempio deve fare il servizio militare e guadagnarsi da vivere in un periodo che è difficile per tutti.
Ma perché il lettore si affeziona tanto a Gino (penso che succederà a molti lettori come è successo a me)? Forse perché nel suo modo di vivere c’è qualcosa di utopico? Perché lui fugge dal grigio polveroso buio degli uffici, cerca, già con i suoi dodici anni, quasi senza rendersi conto, la luce del sole, l’aria aperta? Capiamo subito da che cosa sta scappando Gino, ma che cosa insegue? Ha qualcosa dentro di sé che lo rende parente del fiabesco Pinocchio, e l’autrice sembra volercelo ricordare quando nelle ultime pagine Gino si trova su una spiaggia vicino Livorno circondato da certi pescatori. E quello che Giorgio Manganelli dice di quel burattino, vale anche per Gino: che “segue il suo oracolo interiore”, che lo può anche far sbagliare, ma lo guida miracolosamente attraverso il mondo, facendolo andare dietro ai suoi sogni e alla sua curiosità e alla voglia di arrivare non sa nemmeno lui dove, ma intanto s’incammina.
Questo testo costituisce la prefazione a Nessuno ti può costringere di Francesca Andreini, QuiEdit 2009