In gran segreto, Iacopuccio mi ha mostrato uno strano aggeggio. Sostiene che sia un crogiolo magico, in grado di rivelare tutti i segreti di questo mondo. Qualsiasi cosa vi si metta dentro – dice Iacopuccio – il crogiolo ne ricava la quintessenza, ovverosia la nuda e cruda verità.
“Tu invecchierai presto”, gli ho risposto, “farai presto i capelli bianchi”.
Allora lui ha cominciato così:
Guarda che non c’è uomo
che non darebbe un occhio della testa
per avere un ordigno come questo,
che al primo colpo subito la macchia
che ciascuno si porta dentro smaschera
e quanto vale ogni arte e ogni fortuna!
Con il crogiolo scopri
se una testa è vacante o se c’è sale,
se una cosa è aria fritta o se è reale.
“Come sarebbe a dire?”, ho chiesto io, cominciando a incuriosirmi.
Quella che dall’aspetto e dalla faccia
pare cosa preziosa,
è inganno della vista
e fa la gente cieca:
tutto è schietta apparenza.
Non guardare dall’alto,
non stare in superficie,
guarda dentro alle cose –
chi non pesca in profondo
è un frillocco bel bello in questo mondo!
Usando il crogiolo capirai
se quel che vedi è vero o se è un feticcio
se è cipolla sbucciata o se è pasticcio.
“Se è così”, ho replicato stupefatto, “sarà una cosa magnifica, da far sgranare gli occhi!”.
Ascolta fino in fondo,
senti che meraviglia –
andiamo avanti e sappi
che sentirai miracoli!
Tu schiatti per l’invidia,
ti scende anche la guàllera
perché un gran signore
fa vita bella e comoda
e lo vedi servito e accompagnato
da tanta gente, da tanta marmaglia.
Chi gli sorride di qua
chi gli s’inchina di là
chi si leva la coppola
chi dice: Servo Vostro!
Stracci di seta e d’oro,
quando lui mangia fanno un grande vento
e tiene pure un cantaro d’argento!
Non ti fare abbagliare
da sfarzi e apparenze,
non sospirar, non fare l’acquolina:
mettili nel crogiolo
e vedrai quante ulcere, ma quante!,
stanno sotto a un sedile di velluto,
e quanti bei serpenti
nascosti tra erbe e fiori,
e infine, se poi vai a vedere il cesso
frangiato e ricamato
di canottiglie e sete,
senti se il tutto è profumata o fete!
Tiene un bacile d’oro
e vi ci sputa il sangue,
tiene i cibi più buoni
ma gli restano in canna,
e se guardi con cura, ancora meglio,
quella che sembra un dono di fortuna
è punizion del cielo.
Dà pane a tanti corvi
che gli beccano gli occhi,
mantiene tanti cani
che gli abbaiano attorno,
paga un salario a tutti i suoi nemici,
che lo mettono in mezzo
e gli succhiano il sangue e lo imbavagliano.
Chi di qua te lo imbroglia
con smorfie e paparacchi,
chi di là te lo gonfia con un mantice;
uno si mostra buono cristiano,
lupo sotto alla pelle di una pecora,
di buon aspetto e cattive intenzioni,
e gli fa fare ingiusti atti e misfatti;
uno gli tende trappole,
uno fa la spia buona
e gli mette in subbuglio
tutte le convinzioni,
un altro lo tradisce
e lo manda in rovina,
tanto che mai non dorme né riposa,
non mangia mai con gusto,
non ride mai di cuore.
Se sta mangiando, i suoni lo scervellano,
se sta dormendo, i sogni lo atterriscono,
l’angoscia lo tormenta
come l’aquila Tizio,
l’acqua ed i frutti sono apparizioni
che stanno là, ma lui di fame muore.
La ragione, a lui privo di ragione,
è la ruota d’Issione
che mai gli dà riposo;
le chimere e i progetti
son le pietre che Sisifo
porta sulla montagna,
che poi, tuffete!, cadono!
Siede su un seggio d’oro,
intarsiato d’avorio,
con borchiette dorate;
e tiene sotto il piede
cuscini di broccato e taffettà
e tappeti turcheschi: ma su in testa
una spada appuntita
sta sospesa a un capello,
e si mantiene in bilico,
tanto che lui ha sempre la diarrea,
va sempre fino fino e con l’affanno,
sta sempre spaventato,
e sempre tiene pur la cacarella
gravemente atterrito –
e, all’ultimo dell’ultimo,
questi sfarzi e grandezze
son tutt’ombre e monnezze,
e giusto un po’ di terra
dentro a una fossa stretta –
guarda con attenzione:
ricopre tanto un re quanto un buffone.
“Hai ragione, per tutte le anime del Purgatorio!”, ho esclamato a questo punto. “E anzi, è ancora più di quello che dici, perché i signori, quanto più sono grandi, più grossi malanni si attirano. E insomma, aveva ragione quel tipo di Trecchiena che andava vendendo noci e diceva: Non è tutt’oro, no, quello che luccica!”.
[I – continua]