In azienda ogni reparto, ogni squadra, deve decidere le ferie estive ed invernali con largo anticipo. Quest’anno mi sono toccate le ultime due settimane di luglio, così sono partito con mio figlio per San Benedetto del Tronto e siamo andati a soggiornare undici giorni e dieci notti all’Hotel MareBlu. Un tre stelle in una traversina del lungomare, comunque abbastanza vicino da arrivare all’ombrellone con le ciabatte. Ho caricato la valigia e la borsa che ci ha preparato mia madre e poi siamo partiti sulla macchina nuova, che io avevo un po’ timore di partire con la macchina nuova e infatti ho pensato, magari la compro a settembre, perché immaginavo che mio figlio voleva andare al mare e a dirla tutto anche a me non dispiaceva, però al concessionario sono stati bravi a fare il loro lavoro e così ho comprato a giugno questa Fiat Ritmo che è nuova, bella, e ne ho viste poche in giro per ora. Comunque siamo partiti e siamo arrivati dopo quattro ore di viaggio. Ce ne sarebbero volute anche di meno ma mio figlio dopo venti chilometri ha iniziato a stare male di stomaco. Avevo preso in farmacia le pastiglie per il mal d’auto ma non sono servite a un cazzo. Anzi, sì, l’hanno fatto agitare di più. Così mentre vomitava io mi toccava stare a bordo strada insieme a lui che l’ho fatto appoggiare al terminino e gli tenevo la testa e dicevo Paolino dai, non è niente, vuoi un goccio d’acqua? E gli davo una sorsata d’acqua. Poi gli ho messo un fazzoletto da naso in mano e siamo ripartiti calmi calmi verso il mare. La nuova Fiat Ritmo è sprovvista di autoradio mentre mio fratello ha la Golf e l’autoradio estraibile. Se la porta in giro per fare il fico e dice che non è scomoda. Infatti pare un bell’oggetto. Lungo il viaggio non ho potuto aprire troppo il finestrino e non volevo che Paolo aprisse il suo così abbiamo anche sudato molto, ma meglio il sudore caldo che quello con il vento, sennò ci toccava passare le ferie a letto, che già un paio d’anni fa durante le vacanze a Cattolica gli sono venuti gli orecchioni e siamo stati quattro giorni nel letto dell’albergo e poi siamo tornati a casa che io non ho voluto chiedere ai colleghi cosa avessero fatto durante le loro ferie per non incazzarmi ma li ho visti abbronzati e lucidi e qualcuno anche sorridente. Comunque, acqua passata. Quando siamo arrivati ho tirato un bel sospiro di sollievo perché la cosa bella dell’Hotel tre stelle che ho prenotato è che ha un parcheggio custodito e così ho messo la mia Ritmo in uno dei posti vuoti e ce l’ho lasciata per tutta la vacanza. Ogni due giorni andavo a controllore e ad accenderla che non si sa mai: tutto liscio fortunatamente.E insomma abbiamo preso possesso della nostra camera e quando ci han visto arrivare e io ho detto alla signora della reception chi fossi lei mi ha sorriso e poi ha guardato mio figlio e ha inclinato la testa continuando a sorridere e ha fatto un piccolo cerchio con la bocca e ha fatto partire delle piccole o di cui mio figlio non si è curato per niente perché era due minuti buoni che aveva visto fuori la porta un campo da ping pong e voleva iniziare a giocare. Almeno gli è passato il mal d’auto ho pensato e così dopo essere saliti e pisciato di corsa perché lui già aveva messo su la noia che stava per fare buio e non si poteva più giocare, siamo scesi ancora con i vestiti del viaggio e siamo andati alla reception a chiedere le racchette da ping pong. Cioè, sono andato io, perché lui è corso fuori e io mentre scendeva le scale gli ho detto Paolo stai attento alla strada. Il campo è occupato per mezz’ora mi ha detto il proprietario dell’Hotel che sua moglie non c’era più ma c’era lui stavolta. Paolo se n’era accorto molto prima di me che infatti era con il broncio sulla scala dell’Hotel, seduto sotto le bandiere della Germania e dell’Olanda che sventolavano sulla ringhiera della scalinata. Il campo era occupato da un uomo giovane, tipo quaranta o forse di meno, della mia età insomma e da sua moglie. Salve ho detto io e lei ha detto Salve e mio figlio è stato zitto così come il marito della signora che era riccia, riccia finta penso, con una bella maglina bianca lavorata ai ferri e i jeans e che poi ci ha guardati ancora e ha detto Siete arrivati oggi? Io ho detto di sì e lei ha detto Si vede e ha riso. Io li per lì non ero preparato a tutta questa confidenza e ho pensato che alludesse ai nostri vestiti, o a qualcosa che avevamo fatto, non lo so. Poi ha aggiunto Siete bianchi e io ho detto Ahhh, siamo bianchi, sì, ho finito di lavorare ieri. E intanto il suo marito ha soffiato forte che aspettava la battuta per rispondere con un dritto forte come aveva fatto poco prima. Così io ho preso Paolo per una mano e siamo tornati in camera a disfare le valige. La sera dopo cena ci siamo fatti indicare una sala giochi dove Paolo si è divertito per quasi un’ora e io mi sono fatto due palle così. La sala giochi è il momento peggiore delle vacanze, per me intendo, e mi viene sonno e mentre lui spara agli alieni, ai cazzini colorati o agli indiani io penso. Il giorno seguente ho iniziato a prendere le misure all’Hotel e dopo aver ritrovato la coppia del ping pong a due ombrelloni di distanza ho controllato i loro movimenti per tornare prima di loro e prendere le racchette in affitto. Ho scoperto però che il ping pong è uno sport molto amato da chi sta in vacanza e così ci è toccato aspettare che due ragazzini poco più grandi di Paolo finissero la loro partita, e fare la nostra con le caviglie ancora sporche di sabbia per non perdere il turno. Mentre giocavamo sono tornati anche i nostri vicini di ombrellone, e lei così riccia, mora e con il visino truccato mi ha fatto diventare rosso solo a guardarla. Però ho salutato solo suo marito, Giorgio, mi ha detto che si chiama Giorgio quando è venuto a chiedermi una sigaretta oggi dopo che aveva fatto il bagno.
La mattina dei giorni di ferie è un godimento che secondo me è l’ultima cosa che uno si scorda prima di morire. La mattina dei giorni di ferie hai un attimo che ti serve a realizzare, e l’attimo seguente ti acceca dall’estasi e così prendi tutto con la calma che serve. Metto il costume, canottiera, calzoni corti alla McEnroe, prendo il borsello e vado sparato all’edicola. Compro la Gazzetta dello Sport, un altro quotidiano generalista nazionale a rotazione, la Settimana Enigmista, un Topolino per Paolo e le sigarette. Torno all’albergo, lo sveglio, andiamo a fare colazione che lo convinco a scendere dal letto solo perché c’è la Nutella che si può mangiare a colazione solo in vacanza mentre a casa tre biscotti e filare, e poi andiamo a strisciare le ciabatte sull’asfalto per un paio di cento metri e poi per quaranta passi sulla sabbia bollente e poi ci piazziamo sotto l’ombrellone e chi s’è visto s’è visto. Dopo il bagno la sua routine è il bombolone alla crema, partita al gioco meccanico del labirinto vicino le docce e gomma colorata. Preferisce il colore blu. Dopo pranzo andiamo un paio d’ore in camera a riposare. Lui si sveglia sempre prima di me e vuole scattare in spiaggia perché altrimenti si fa tardi e non si possono fare due bagni come aveva programmato.Quel giorno poi torniamo in spiaggia e il nostro ombrellone è già a aperto e sul lettino che abbiamo ci sono due che si toccano e si baciano forte. E sono la finta riccia e suo marito. Paolo ha il permesso di correre quando non siamo più in strada e così si era avvantaggiato e quando l’ho visto impalato davanti al nostro ombrellone con quei due che stavano quasi per scoparsi da quanta voglia avevano io ho messo fine al tutto con un paio di colpi di tosse. Lui, Giorgio, si è voltato, mi ha guardato e io ho detto Avete sbagliato ombrellone, scusate. Loro hanno realizzato, si sono messi a ridere e sono scappati poco più avanti ma mi sa che gli avevo fatto perdere appetito. Paolo poi a cena che io mettevo le crocette e gli domandavo se per domani andavano bene penne al sugo o spaghetti al tonno lui mi ha chiesto Ma perché litigavano? Io ho posato la penna e ho fatto finta di non capire ma è stato peggio perché poi lui ha indicato il tavolo sotto la finestra e ha detto ad alta voce Loro due. Per fortuna non han sentito e così gli ho detto che non si indica e poi gli ho detto che non stavano litigando ma si volevano bene. Lui ha detto Non mi sembrava. Io ho detto Fidati.
Il venerdì sera, dopo che per tre giorni ci hanno martellato le palle con la serata orchestra nella hall dell’albergo siamo dovuti rimanere, almeno un po’ come avevamo promesso a Sonia e suo marito, cioè i proprietari dell’Hotel, per fare da numero alla serata che avevano organizzato. E abbiamo fatto bene. Avevano preparato un buffet con qualche patatina e tante cose da bere e poi nel locale ristorante che a quell’ora metteva una tristezza sconfinata, così vuoto e stupido, ci han messo a suonare quattro signori di una certa età che comunque non era inferiore ai sessanta cadauno. Alla serata avevano aderito anche la finta riccia e suo marito e lei era particolarmente bella. Anzi, mi correggo, era particolarmente arrapante. Suo marito odiava sopra ogni cosa doversene stare in mezzo agli altri a ballare e si vedeva chiaramente, mentre lei rideva alzava le mani sopra i boccoli e le batteva urlando Bravi ai signori del complessino. Io invece bevevo una cosa verde tenue e stavo sopra la sedia sulla quale era seduto mio figlio che beveva una Fanta. A un certo punto lui mi ha detto Marcella è proprio bella, è papà? Io stavolta che avevo capito la frase ma non volevo credere a quello che aveva detto mi sono morso la lingua e poi gli ho chiesto Chi è Marcella? E lui mi ha indicato la riccia finta. Io gli ho dato uno schiaffo su una mano e lei che ci ha visti ci ha sorriso mentre stava ballando il ballo del mattone. Secondo me non ha capito cosa stavamo dicendo e facendo però ha sorriso e se anche voleva sembrare un sorriso innocente rivolto a padre e figlio a me è sembrato il sorriso di una bella chiavata. Paolo, non indicare, ancora non hai capito? E lui ha detto Scusa, però poi è tornato a chiedermi se mi piaceva Marcella. Io per farlo stare zitto Cercavo di fargli altre domande, tipo: A te piace? Ma lui non voleva sentire ragioni e mi domandava se mi piaceva e alla fine gli ho detto di sì perché non la piantava più e poi ho detto Adesso che te l’ho detto sei contento? E lui ha alzato le spalle succhiando con la cannuccia le ultime sorsate di Fanta.
All’edicola il giorno seguente ho comprato anche una cartolina e lui ci ha scritto sopra Ciao nonna, io e papà ci divertiamo tanto. Facciamo due bagni al giorno e ieri ho mangiato tre gelati. Ci vediamo quando torno, mi manchi. Poi ha scritto l’indirizzo e ci abbiamo messo sopra il francobollo e l’indomani l’abbiamo spedita. Mentre tornavamo di buon passo per precedere tutti gli altri al campo da ping pong ho chiesto a Paolo come sapeva che la riccia si chiamasse Marcella. Gliel’ho chiesto che ero quasi imbarazzato, figuriamoci. Lui per fortuna è troppo piccolo per capire l’imbarazzo di suo padre. Così mi ha detto che in spiaggia avevano parlato un po’, solo un pochino, e lei gli aveva detto che era un bel ragazzo proprio come il padre, cioè io. Io gli ho chiesto di ripetere, e lui ha ripetuto uguale uguale e così l’ho lasciato vincere a ping pong con maggiore facilità delle altre volte. Durante l’ultima partita è anche venuto un altro ragazzo, circa vent’anni e gli ha detto che è bravo, a Paolo, e che però muove troppo il polso che invece dovrebbe essere più rigido. Io sono stato zitto e anche Paolo, ma lui per l’ammirazione e poi gli ha chiesto se voleva fare una partita e quello ha accettato e a me insomma mi hanno messo in panchina. Ho detto Paolo mi raccomando, io salgo in camera un attimo. Lui ha detto che tanto facevano al meglio delle tre e poi saliva a cambiarsi e poi si preparava per cena. Così sono salito in camera piano piano sperando di incontrare nella hall, in ascensore o nel corridoio la signora Marcella ma non si è vista. Ho aperto la porta di camera dando un ultimo sguardo nelle due direzioni ma non l’ho trovata. Così mi sono chiuso dietro la porta e sono andato a tirarmi una sega che ne avevo bisogno.
In tempo in tempo che poi è arrivato Paolo bussando alla porta come inseguito da un branco di cani. Eccheccazzo Paolo ho detto aprendo la porta che mi aveva fatto prendere uno spavento ed ero ancora con la testa da un’altra parte, comprensibilmente. Allora ciao ha detto Marcella che era insieme a lui ed era un po’ imbarazzata che io avevo detto quella parolaccia ma più che altro che avevo un tono poco conciliante che infatti ho cambiato rapidamente non appena l’ho vista. Oddio, ho detto, non lo sapevo, scusa è che pensavo sfondasse la porta. Poi l’ho guardati un attimo in apnea e lei ha detto che l’aveva incontrato in ascensore e così l’aveva accompagnato in camera e io ho detto Grazie, molto gentile e le guardavo il visino tra i ricci finti. E sono rimasto zitto un paio di secondi e Paolo si è messo a ridere e ha detto Papà. Io lì ci sono rimasto male che non sapevo da che parte buttarmi e poi lei ha detto Ciao, ci vediamo a cena e io ho detto Ok, grazie ancora e ho chiuso la porta con noi due dentro e avrei voluto prenderlo a schiaffi ma stava già contando gli spicci per la sala giochi e così ho lasciato perdere anche se ero imbarazzato e sono corso in bagno a darmi una rinfrescata.
Gli ultimi due giorni di vacanza sono stati quasi un inferno. Sembravo un adolescente o un cane con la corda troppo stretta per raggiungere la ciotola. Parlavo ad alta voce, mi avvicinavo all’ombrellone di Marcella per ogni stupido motivo, le ronzavo intorno. Lei mi salutava con la mano, e anche Giorgio, che così mi scroccava mezzo pacchetto di MS al giorno. Però fa niente, quello era il meno. Gira e rigira è finita che non è successo niente tra me e lei e alle sei di sera dell’ultimo giorno mentre stavamo facendo la sacca per tornare in albergo dalla spiaggia io ho chiesto a Paolo di aiutarmi e l’ho visto arrivare verso il nostro ombrellone da quello di Marcella e Giorgio. Embé? Che t’ha detto? Niente, ha risposto. In camera ovviamente gliel’ho richiesto e lui mi ha detto che lei l’aveva salutato e salutava anche me, buon viaggio, buon rientro e poi gli aveva detto che era un ragazzo e in gamba. E basta? Mi pare di sì ha detto lui.
Mentre eravamo in autostrada già da una trentina di chilometri, che la Ritmo era ripartita alla grande e con solo un filo di polvere e sabbia a ricordo di quella vacanza, Paolo mi ha detto con la voce bassa che Marcella gli aveva dato un biglietto per me. Un biglietto? Ho chiesto togliendo il piede dall’acceleratore. Un biglietto che dovevo darti ieri sera, ma mi sono dimenticato, dovevamo fare la valigia. Scusa. Fammi capire, ho detto, lei in spiaggia ti ha dato un biglietto per me e tu dovevi darmelo ieri sera e ti sei dimenticato? Scusa ha ripetuto. Accosto alla prima zona di sosta e con la punta delle dita riesco a staccare la camicia sudata dalla schiena. Tira fuori il biglietto. L’ho lasciato nel comodino dell’albergo. Paolo ma fai apposta? Ma sei stronzo? Cosa c’era scritto almeno? Lui ha frignato un po’ e alla fine ha detto Non l’ho letto.