Da prima c’era quello che chiamavano
il caos, mole indigesta e rozza e strabica
di mare e cielo e terra e fuoco e fulmini,
di magmi e di marasmi e televendite
di poetini accorti e un po’ selvatici,
di trucchi salva-Italia e arguti tecnici
bancarii con amanti e figli a carico
col posto fisso (certo non si annoiano).
Ma poi la luce: ricomincia il turbine
di bande e sarabande e sketch e scandali,
e saltimbanchi e banche già si sbancano
e d’improvviso le elezioni esplodono
per ogni ordinamento democratico
(o quasi tale), e il mondo si precipita
a rinnovarsi nel bordello cosmico
di morra e zara e il circo della chiacchiera
impazza e le parole rifioriscono
in nuovi sensi che non sai se credere,
fra un bond e un Bondi (che i poeti abbondano)
e un Vendola che svende i suoi versicoli,
– eh, gli editori cedono ai notabili,
poi in fretta condiscendono benevoli
i critici più arguti e più coriacei
che ad altri fanno gli aristarchi a tavola
(“Sai? Metti in metro suoni un poco arcaici”)
– pazienza se nemmeno ti capiscono.
Ma c’è da stare allegri, voi, fidatevi,
e soprattutto, vigili, partecipi,
che tutto cambierà – ma il caos continua
e il circo e la commedia si rinfrescano
con grigie nullità da palcoscenico
e dal contegno appena un po’ dispotico.
Se uno poi rimugina fra il pubblico,
è il solito isolato, un po’ distopico:
mitraglia compulsivo e tachicardico
i suoi commenti nella nota a margine
d’un casalingo acciottolio di pentole
che il fine letterato loda ironico
(ai letterati raffinati piacciono
i toni casarecci e un po’ bucolici,
se il ciabattino non va oltre il sandalo)
– e con gli amici bene torna a irriderti.
Ma al lunapark i simboli svolazzano
in carta straccia e dopo la domenica
la festa piega l’ala dei coriandoli.
1.
Maestri di scrittura, poetucoli,
voi tutti che credete al verso facile
e alle prosette asfittiche da vendere
a un tanto al chilo, abbiate un po’ di fegato,
in vita vostra, o andate a farvi friggere!
Vi preme troppo il placuit dell’editor
che vi confina in quelle forme flaccide
da abbreviatori di realtà sintetiche.
Mi sembra di sentirvi già serafici
svelare i vostri facili incantesimi
da fiera fra conigli e carabattole,
con tono tra l’affabile e il messianico,
con il peluche in testa e l’erre flebile
e il conformismo pseudodemocratico
che già da troppo mi concilia il vomito.
Ne avete di aderenze e lombi ignobili
fra i lottacontinuisti e i neocattolici
tra l’oppio da siringa e quello biblico
che propinate ai pavidi discepoli,
incatenati al vostro verso libero,
alla scrittura creativa e rapida.
Ma di creativo avete solo i volvoli
che il crasso ritma in scoppi peristaltici.
Semplicità cercate, s’ha da vendere
e il pubblico anzitutto ha da comprendere.
Ma io sarò banale e meno affabile
e ve lo dico che il mercato è un alibi
per ogni mente vuota e fioca e insipida.
Che se qualcuno ingrana due o tre sillabe
gli rispondete con la bile in bilico
“Sèi tu citazionista sciatto e melico!”
da veri postmoderni e pseudocritici,
con sulla bocca quel pensiero debole
in cui si atteggia solo un vuoto d’anime.
[I – continua]