L’ombra, il buio,
i dadi, il coltello,
il vino, la carne,
la notte nel giorno.
Piaga d’orrido coltello
squarcio nel sospiro della carne –
la morte sopravviene nella notte
di Roma. Tutto ricomincia
in disperazione in fuga.
Spiegare il mondo? –
A colpi larghi di pennello
panneggiare rossi – rinfacciano
a Dio quanto crudele la creazione.
(Ci appropriamo noi, intelligenza
dell’arte nostra, dell’opra Sua).
L’urto col mondo, spongia d’aceto
imbevuta.
Passami una brocca di vino, Oste.
Pennello come rasoio.
Tela come muro di carcere.
Passami una brocca d’arte, Oste.
Cinque rosse ditate sulla faccia
dello sgherro di Madama Penuria.
Fuggire poi.
Il mondo: carne, odore di vernice ad olio,
ombra densa pasta di tempera.
L’ arte è una crocifissione a testa in giù.
Nell’ombra più addensata delle cappelle
si percepiva sentore di Lui,
dell’opra Sua lasciata alla deriva.
Nell’opra abbandonata rapida la mano
stende rosso d’ira nero d’atrabile giallo di rivolta.
Tohu bohu soffia dai pozzi dell’inguine.
Godere; la materialità penetrare
del mondo. Tohu bohu è
torno torno alla mente.
Assalire. Divaricare. Lacerare.
Luna e nero di seppia
lunazioni e spirali di pensiero.
La brocca, del cuore dentro pigiatovi ricolma,
pulsa densità di terracotta.
Luna e carne cardiaca
lunazioni e materia.
Squarciare da cima la tela
a fondo: urla il condannato.
Santi della tarantola figli danzano
martìri (testimoniano il dolore,
mente oltre se stessa accesa).
I chiodi, il martello,
la ruggine dei chiodi,
la corda, l’aceto,
il ringhio della pietra
spaccata.
Una brocca di vernice ad olio colma –
nera.
La luce del mondo non rischiara
i gorghi dell’intelletto.
La brocca di vino nero fiorisce lune,
astri pittorici di negromantica recitazione.
Malfattori? Ubriaconi? Assassini?
Puttane? Ladri? Bari?
Dentro le taverne degli angiporti
gli esclusi dall’onorata Cristianità.
Un prete sospeso a divinis celebrerà
per loro – per noi – un ufficio di vino.
E pittura come getto di seme.
Mano, pennello, colore –
frattura, antitesi, scarto.
Teso, polemico, amaro nodo
col mondo.
Pittura canaglia, tu
scavi riscavi il solco tra me e lui.
Il furore del vino tracannato
e digerito.
L’abisso spalancato.
L’abisso guardato.
“Ti ho chiamato”.
“Mi hai maledetto”.
Il furore del vino consapevolezza
di creatura.
Così vibra la luce
girata a testa in giù.
SIC SIGNUM FACTUM EST.
Dal silenzio al silenzio.
L’arte
È rasoio.
Ostensi alla morte laceriamo
– è uno scatto del polso –
lo spazio informe.
L’aceto matura negli orci.
Tragici licantropi si struggono
per le dipinte Sante
delle grandi tele barocche
(le soverchia il buio).
Rotte unghie sporche di sale
bocca amara di lampascioni
tatuata pelle di pittura
scalzi piedi di marinaio.
Visionario folle d’amore e di vino
se ne stava a puzzare
di radici d’incubi d’impossibili oli pitturanti.
Nel vaso angusto della melanconia
goccia
l’enfiata Taranta
e vi si dilata.
E ferite
fessure
nel libro.
Il pittore scalzo
traccia
linee
di febbre
tauromaquía
della visione
gettate via le scarpe
agostano agonismo dell’immaginazione
il pittore scalzo assediato
nell’ortigia dell’angustia
vede con occhi strappàti gettàti
via lontano da sé.
Acet’amore
lucenera
manocoltello
dolcesal’ e sabbia.
La Canicola infuria
è tiranna dei sensi –
la Canicola impietra
Medusa sullo scudo.
Era il grido delle macere
(globi d’oro le pupille)
a lacerare lo spazio
a farne
incrostata tela per sconsacrata
chiesa.
PONTE SANT’ANGELO
Ponti vegliati per tredici lune
angeli e santi
viandanti claudicanti
quarti di manzo umano ai ganci di ferro
sotto ogni luna verde di bile:
la tredicesima è poesia
la tredicesima è sporca di dolore.
Seccume nella bocca
dell’anima.
Ma s’apre ancora il gorgo fondo
nel mare dei simboli
– ed Ella grida.
Pennello, coltello,
rasoio, colatoio,
olio, odio.
Sbreccate brocche
per un lavacro
di diurna licantropia.
Poi il colore diventa pozzo
di luce nera.
“Apri la mano.
Voglio leggerti il destino”.
FIAT VOLUNTAS SUA.
Ma io sono il pascolo
del licantropo
e la stasi nella fuga.
FIAT NIGREDO IN OPERE MEO
perché a piedi scalzi
rimesto il mosto dell’angoscia.
L’alta muraglia fessurata.
Per quelle fessure transitare.
Sono neri tagli nella tela.
Labbra di ferite.
Materia spaccata che
mostra le viscere
viscere che albergano visioni.
Dentro il mezzogiorno
la lotta
con l’angelo.
Nascevano gemiti abbandonati
sulle lenzuola sconvolte –
la furia erotica montava
– la mente avviluppava in sé il mondo.
Astri velati tentatori
nel vino nero inquietudine
forze della metamorfosi
mi dolgono nel corpo e nella mente
mi scrivono nel mentre io le scrivo
nella mia notte scendo a cercare
oro velenoso miele.
“Annidato nel centro dei miei escrementi
ti aspetto, mio uccisore
intorno t’intesso incubi
come stanze intonacate di voci:
graffiano le catene con cui calarti
nella cisterna asciutta
dove
il mio dominio inizia
nella mente stringerai
il feroce falcetto pensato
per darmi morte
entra
hai con te i piedi incrostati
di colori i colori
sono un canto il canto
è talismano talismano che mi strega
ti sento avvicinati
prendimi
sei mio padre
(comincio a nascere adesso)”.
Il pittore discalzo, di paura ver-
tiginoso, sull’ossificata pietra della cella
gettato freddo tenebrume della mente
PREGUNTAS EN LO HUECO
lenzuola annodate a lenzuola
il salto dall’alta muraglia
scarnate mani per fuga lungo telame
rozzo, duro, sassoso
GRAN LUNA DEL ABISMO
La Fera
incontrastata traghettatrice verso l’enigma
s’affaccia
sulla città temporale incipiente
tenebra di nubi lampianti.
Nell’incupito cielo la stella dell’amore
apre le diecimila mani di calceviva.
Di nuovo la fuga
l’ombra
il marinaio licantropo
di nuovo la spiaggia
la minaccia
(lo scudo onde impietrare
il mondo
s’è sfatto
sabbia sfarina
tra le dita dei piedi scalzi e
sul corpo riverso e
nella bocca all’ultimo sorso).
Depositi di sale
nelle cisterne donde l’acqua si ritrasse.
Il pittore scalzo
la mano coltello nella massa salina
per un nummus di bianco minerale:
pagare con ardua moneta
ogni ferita dell’amore.
Mani
e
piedi
unica
piaga.
Piedi e mani amici dei lupi degli uccelli delle lucertole dei pidocchi
pellegrini per tappe forzate in impervie regioni urbane e ctonie poi
suburbane rurali e di nuovo ctonie.
Tarantate
madonne
il corpo di tufo
(ma hanno tutte una mano di sale
ma hanno tutte un figlio marinaio)
la mente di voragine
nelle nicchie d’angolo murate
lasciano gridi di quando
in quando.
Il mare viene e va –
sanguina la sabbia
sanguina il petrolio –
sconciata sulla pelle la veste
di febbri arrossata di veglie
spasmo di redenzione o
di oblio.