Lo scrittore scrive su ciò che prova, vede e sente, oppure su ciò che gli viene in mente. Solitamente ha molti piccoli pensieri che non può affatto utilizzare, e questa è una circostanza che spesso lo porta alla disperazione. Gli accade d’altro canto di avere in mente molte cose utilizzabili, ma può succedere che il suo capitale resti inutilizzato per anni ed anni, perché non trova o perché nelle sue vicinanze non c’è nessuna persona benintenzionata che gli faccia disinteressatamente notare la sua ricchezza nascosta. Un bel giorno, ad alcuni stimati redattori di giornali può venire in mente di esortare un simile scrittore ad inviare una prova della propria arte…”.
Robert Walser, Lo scrittore
Questo libro si apre con uno testo di Robert Walser, inedito in Italia, in cui lo scrittore svizzero ci offre un saggio esemplare della sua scrittura e del suo metodo di ricerca. Con un fraseggio pacato e circospetto, partendo dalla descrizione degli aspetti più singolari e bizzarri di una figura piuttosto scontata, Walser riesce a risalire per una china tutta sua al “carattere poetico”, per dirla con Vico, di quello che definiamo scrittore. È proprio grazie a una meticolosa attenzione per i gesti più insignificanti o per le azioni più banali, piuttosto che per le inquadrature grandangolari o generiche, che Walser riesce a trasformare la cosiddetta “realtà” in una immagine di sogno, più vera del vero – come sempre più veri del vero sono i sogni. La sensazione che si ricava alla fine della lettura di un testo semplicissimo e breve come Lo scrittore è quella di aver capito che cosa è veramente uno scrittore.
Analogamente, Il fior fiore di Zibaldoni e altre meraviglie è una raccolta di testi messi assieme inseguendo il sogno della letteratura, l’immagine di che cosa è veramente la letteratura. Il metodo che abbiamo adottato è simile a quello di Walser, se non identico: in questo libro, infatti, non ci sono proclami critici o declamazioni canoniche, non si offrono definizioni analitiche di questo o quel modo di scrivere, e nemmeno diciamo la nostra sulla situazione politica nazionale o internazionale (sport molto praticato dagli intellettuali); bensì mostriamo – come tante icone anche stranissime, esattamente alla stregua di certi particolari delle oniriche descrizioni walseriane – una serie di esempi di scrittura che, si spera, lasceranno una traccia nella memoria di ciascun lettore, non fosse altro perché ormai la vera scrittura è l’unico spazio aperto, l’unico territorio incolonizzato in cui possiamo cogliere l’annuncio di un cambiamento. “Dobbiamo metterci alla ricerca di una forma che sia la forma della vita, alla ricerca di una linea vitae, di una scrittura che non conosciamo”, suggeriva Antonio Prete qualche tempo fa in un pubblico dibattito 1.
Inoltre, tra le tante, minute e veritiere osservazioni contenute in questo breve testo dello scrittore svizzero, ci piace immaginare che quando si allude ad “alcuni stimati redattori”, si faccia riferimento esplicito proprio a noi, che circa tre anni fa demmo vita a una rivista letteraria on-line con nessun altro scopo che di tentare la ricerca di questa linea vitae, che costituisse per noi il filo conduttore di ogni discorso.
La rivista letteraria che fondammo si chiamò Zibaldoni e altre meraviglie, e oggi da quella rivista viene fuori il libro che ne raccoglie il fior fiore, insieme a molti testi inediti di tanti altri “eroi della penna”. È davvero stupefacente constatare, a distanza di tempo, quante “ricchezze nascoste” giacessero nei cassetti di quelle ridicolissime persone che siamo soliti chiamare scrittori. Ricchezze di ogni genere, come in un bazar metafisico intravisto forse soltanto nei sogni di lettori meravigliosi: poesie finissime ed elucubranti, poesie tristi e tristissime, racconti con delle fotografie dentro, racconti fatti con una lingua fresca e femminile, racconti appassionati e travolgenti, saggi felici come pensieri scapestrati, intuizioni straordinarie, pensate di ogni tipo e lettere di ogni lunghezza, appunti e aforismi, note a margine e scritture drammaticamente morali.
Walser lo sapeva bene: “lo scrittore è tutto e deve essere tutto”. Anzi, lo scrittore, quando è tutto, ossia quando è davvero scrittore, “non ha più nulla a che fare con se stesso; e quando ha dato forma alla prima frase non si riconosce più”.
Antonio Prete e Gianni Celati, rileggendo magistralmente Leopardi, hanno fatto eco a questa definizione perfetta dello scrittore, rilevando come oggi, nel panorama della letteratura professionalizzata contemporanea, sia sempre più difficile incontrare qualche “persona ridicola” che non ami parlare sempre e solo di sé. In un mondo in cui ogni attività umana è sempre più solipsistica e soggettivizzata 2, non è paradossale affermare che solo lo scrittore – cioè lo scrittore di cui parlano Walser e Leopardi, e cui alludiamo noi in questo libro – potrebbe ancora dire una parola degna di essere ascoltata, cioè una parola senza etichette, che non appartiene più a nessuno perché appartiene finalmente a tutti.
Ma dove è ancora possibile incontrare uno scrittore del genere, se non, come ci fa ben vedere Walser, nel chiuso di qualche sperduta e angusta stanza, magari a grattarsi la testa e a sbirciare dubbioso il foglio bianco in attesa di proiettarvi ardite fantasie? Quando abbiamo ideato la rivista Zibaldoni e altre meraviglie, noi eravamo quei certi redattori di giornale cui era venuto in mente di andare a vedere che cosa fanno alcune “ridicole persone” che scrivono sparse per il mondo. Ci animava l’idea che soltanto mettendo insieme le esperienze di scrittura più disparate fosse possibile dar corpo ad un’idea veritiera, e cioè credibile, di letteratura.
Oggi, pubblicando questo libro collettivo, noi intendiamo rinnovare altresì una riflessione su come meglio sia possibile lavorare insieme. “Tutti scrivono, tutti, ognuno nel suo deserto”, ebbe a dire Gianni Celati in un suo intervento a Frascati qualche tempo fa 3; e questa è forse la rappresentazione più drammaticamente obiettiva della condizione dello scrittore moderno. La società della comunicazione universale, dove ciascuno è raggiungibile in qualunque momento e in qualunque punto del Globo, è in realtà la società desertica, dove si vive in un isolamento forzato e in questo isolamento si opera, ognuno con le sue poche forze, come se si fosse in un deserto di sabbia. Questa condizione dell’uomo moderno è anche la condizione dello scrittore. Ma noi vogliamo illuderci che sia possibile aprire uno spazio di comunicazione tra le monadi disperse nel deserto, che sia possibile opporvi i legami della letteratura, intesa come desiderio affabulatorio.
Per concludere, tutto quello che il lettore incontrerà in queste pagine, messo assieme finalmente “in un volume”, è il frutto di una sola penna collettiva, grazie alla quale, agitandosi con discrezione nel corso di questi anni, con affanno e senza requie, alcune sperdute “persone ridicole” si sono rincorse e cercate, senza altro fine che di ritrovare immagini di sogno credibili, ovvero di riuscire almeno un poco a capire che cosa è veramente la letteratura.
Angri-Galatina, Ferragosto 2004
[da “Il fior fiore di Zibaldoni e altre meraviglie”, Edizioni Santoro, Galatina (LE), Settembre 2004]