È da tanto tempo che avevo per la testa l’idea d’un Almanacco del viaggiatore (formato tascabile, per viaggianti attuali) rivolto a:
- tracciare una figurazione del viaggio antitetica a quella del turismo attuale (usando “Le voyage” di Baudelaire come una specie di codificazione di partenza);
- riflettere sul fenomeno del turismo in termini diciamo etnografici; e nello stesso tempo riflettere sulla condizione di galera globale che il regime delle vacanze e delle agenzie di viaggi rappresenta;
- contrastare l’idea funzionalistica del mondo diviso in posti belli e brutti, posti “banali” e “interessanti” – ritrovare qualcosa che esiste nella cultura islamica e che è stato della nostra cultura, ed è il senso dell’impagabile meraviglia dell’esteriorità.
Mi immagino ogni numero ruotante intorno ad una figura emblematica di viaggiatore, con una scelta di sue pagine da leggere. Intorno a questa figura centrale che darà il nome a ogni volume, penso ad una serie di altre cose:
- piccoli testi etnografici – per cui ad esempio chiederei la collaborazione di autori come Marco Aime e Barbara Fiore (ho dei suoi piccoli resoconti sulle visioni dei guaritori Dogon che val la pena di divulgare);
- interventi letterari sul turismo (come galera universale, per cui chiedo aiuto a Ermanno Cavazzoni, Paolo Nori, Ugo Cornia, Daniele Benati);
- riassunti di certe imprese di viaggianti come quelle che Jean Talon aveva fatto per “Il semplice” etc.;
- una riflessione sulla radicale sterilizzazione del pensiero portata dal funzionalismo globalistico, partendo ad esempio dal viaggio di Tocqueville in America nel 1832, dove ci sono miriadi di osservazioni per mettere in chiaro l’attuale americanizzazione della vita;
- resoconti di viaggio sulle nostre terre, Italia d’oggi, Sud, Nord, etc.;
- l’altra mia idea è di collegare l’idea del viaggio ad una tradizione letteraria consacrata a popolazioni immaginarie, che va da Luciano di Samosata a Gulliver a Michaux – e di qui studiare l’idea di “popolazioni” come qualcosa di diverso da “popoli”, “stati” e “nazioni” – ossia come una categoria trasversale, non sociologica, ma sempre in qualche modo immaginativa – nel senso che come i cani cercano altri cani in mezzo agli umani, così gli umani sognano sempre di fare incontri dove il simile col simile si riconoscano, e questo sognare o fantasticare è la base di qualsiasi comunità (oltre che di qualsiasi impresa letteraria – la letteratura nasce da bande di sognanti).
Per avviare una tale impresa bisognerebbe riuscire a radunarsi per qualche giorno (come? dove? con che soldi?), per scambiarsi parole a rotta di collo, e vedere se c’è abbastanza energia.
Basta. Vedremo.