Il pezzo di Carlo Bordini Banali idee su internet, pubblicato in questa sezione della rivista, ci trova d’accordo sul buon senso generale che lo pervade, e anzi apprezziamo molto l’interesse di un amico a cimentarsi su una faccenda in apparenza così ostica e distante, come quella dei mezzi di diffusione della letteratura. Tratta di letteratura, infatti, chi sceglie di parlare di internet nel modo in cui ha fatto Bordini; modo che sollecita ulteriori osservazioni su un tema che negli ultimi mesi abbiamo sviscerato a fondo.
Abbiamo realizzato in internet la rivista Zibaldoni e altre meraviglie in un primo momento perché non c’erano editori disposti a pubblicarla, e poi perché abbiamo capito, facendo di necessità virtù, che internet era lo strumento più adatto ad esprimere un’idea zibaldoniana e meravigliosa della letteratura, dalla quale eravamo partiti con una certa dose di sana inconsapevolezza, ma che alla fine si è dimostrata la giusta ispirazione per il lavoro che avevamo in mente di fare; lavoro che consiste nell’attenzione e nella raccolta di ogni tipo di produzione letteraria che possa testimoniare la vitalità della scrittura e del pensiero nell’epoca della fine dell’esperienza impensata e del meraviglioso. Senza limiti di genere o di lunghezza, abbiamo dato il via alla pubblicazione di zibaldoni corposissimi e di romanzi, di raccolte di racconti e di studi articolati, strutturandoci piuttosto come una casa editrice che come una rivista vecchio stile. Internet, infatti, consente di mettere in risalto un lavoro di largo respiro, del quale si vedranno i risultati nel lungo periodo; ma già ora, ad un anno dalla nascita di “Zibaldoni e altre meraviglie”, i primi risultati della rivista-zibaldone rendono evidenti i motivi della nostra ispirazione – motivi assolutamente scevri da condizionamenti mercantili o accademici o di posizioni di potere, e inerenti invece ad una concezione estetica che privilegia la dimensione comunitaria della letteratura. Sappiamo bene che non tutti hanno ben chiaro questo nostro discorso; d’altronde, anche noi stessi l’avevamo ben poco chiaro prima di farlo, dialogando e, spesso, polemizzando con gli altri scrittori. Perciò contiamo molto sulla sostanza che da qui a non molto dovrebbe assumere il lavoro complessivo e collettivo che andiamo svolgendo, che mostrerà – proprio sulla scia dell’esempio leopardiano nello Zibaldone – come sia possibile estrarre dalla rivista-zibaldone, di volta in volta, delle vere e proprie “opere”, o dei veri e propri percorsi di “opere”, che siano sì il frutto di un lavoro solitario e individuale, ma che trovino il loro riconoscimento nel progetto comunitario della rivista-zibaldone. Da questo punto di vista, l’archivio per sezione del sito zibaldoni.it, che già ora ha una sua fisionomia, costituisce un apprezzabile risultato.
Ecco, diciamo che la “necessità”, in cui ci ha messo l’odierno mercato delle lettere, ci ha fatto scoprire un mezzo perfettamente adeguato alle nostre idee. La nostra, se si vuole, è una necessità tutta interna al discorso letterario contemporaneo, schiacciato e appiattito sulle “esigenze di mercato”, estraneo ormai a qualsiasi logica di ricerca. Noi sentiamo la “necessità” di mostrare che fare letteratura può anche non aver nulla a che fare con editori e mercato: e infatti, facciamo circolare ottimi libri senza l’avallo di alcun mediatore culturale. Non è poco.
Diciamo questo anche perché l’esperienza di Zibaldoni e altre meraviglie non indica semplicemente la “necessità” espressiva di un gruppo di giovanotti che vogliono fare gli scrittori, come quasi si evince dalla frase che apre un pezzo dello stesso Bordini su l’Unità (18 ottobre 2003, p. 23), scritto per recensire www.zibaldoni.it. Se fosse stato solo questo, avremmo preferito tacere, probabilmente. La nostra, invece, è anche una necessità di mostrare altri modi di fare e di vivere la letteratura a chi ormai tratta tutte le cose scritte soltanto come prodotti mercificabili; e questa necessità si realizza in internet anche per andare contro uno status quo abbastanza consolidato.
Sulla questione delle piccole case editrici dobbiamo dire qualcosa. Qualche giorno fa abbiamo letto una recensione a un libro di Giacomo Marramao. Vi si parlava di come il concetto di “locale”, e quindi di piccolo, non sia mai assolutamente in opposizione a quello di “globale” (grande), almeno nella nostra civiltà. E la ragione di tutto ciò è evidente: ormai anche a livello “locale” si tende sempre più a imitare e replicare le strutture organizzative, culturali e politiche del “globale”. Ogni “piccolo”, insomma, si comporta come se fosse, o dovesse diventare un “grande”, cioè quel tipo di “grande” che ormai siamo tutti abituati a riconoscere nel modello americano, etc.
Cosa c’entra con il discorso sugli editori?
Noi abbiamo fatto alcune esperienze con le “piccole case editrici” forse addirittura peggiori che con le grandi. L’ultima con una di Napoli, che ha cominciato a farci discorsi sull’inopportunità di pubblicare riviste, perché i loro agenti (sic!) non accettavano pubblicazioni superiori alle 150 pagine, e poi perché i volumi con più autori non vengono acquistati dai librai, etc. Insomma, oggi le linee editoriali le dettano gli agenti, cioè quel tipo di persone che fa i sondaggi di mercato prima di pubblicare un libro, e se il mercato ti accetta, bene, tu pubblichi, altrimenti sei condannato al silenzio. Oggi lo scrittore è sottoposto preliminarmente ad un giudizio di carattere mercantile, che determina la sua immissione o la sua estromissione nel/dal mondo della letteratura. E questo non è più accettabile. Addirittura può accadere che più l’editore è piccolo, più è schiacciato da esigenze di mercato, e allora è ancora più corrotto, culturalmente e ideologicamente.
Forse non tutti sono così, ma il nostro è innanzitutto un discorso iperbolico, quando diciamo che vogliamo pubblicare solo in rete, perché ovviamente non è proprio così che stanno le cose. Se ci fosse un editore disposto a pubblicare la nostra rivista-zibaldone, noi forse ci tireremmo indietro? Ma un editore del genere non esiste, perché non esiste nell’orizzonte letterario italiano, e non solo, la disponibilità ad immaginare un progetto letterario comunitario e non mercificato come quello che noi stiamo pensando e costruendo.
L’iperbole, secondo la quale bisogna pubblicar solo in rete è, dunque, necessaria per far venire a galla la verità, che consiste nel riconoscimento della totale mercificazione dell’attuale sistema editoriale. Vogliamo abbattere questo sistema? Ma neanche per idea! Anche i futuristi predicavano di distruggere i musei, ma non ci risulta che ne abbiano mai toccato uno!
Forse non sarebbe male ricordare che ci sono tanti “sensi” della scrittura, non solo il “senso” letterale.