La solitudine di un dimesso presente, per quanto affollata, spinge molti abitanti delle province più lontane a prendere la penna e a guardare compunti al passato, in cerca di un soggetto che abbia in sé grandezza epica, afflato lirico. Eruditi freschi di studi universitari tratteggiano, in volumi densi di note e dalla bibliografia imponente, la storia nei secoli (secoli? millenni, all’occorrenza!) di paesi, paeselli, borghi, frazioni, singole case, singole stanze. Altri, giunti alla pensione, o in anno sabbatico, o nelle pause di lavoro, si dedicano (per anni!) all’araldica, alla genealogia, alla saga della propria famiglia. Spulciano archivi, rovistano tra le lettere e i testamenti, entrano in casa di parenti a cui non rivolgevano più da un pezzo una parola e estorcono confidenze; quando il parente, di vescica debole, si alza e traballa fino al bagno, ecco lo studioso alzarsi a sua volta, subdolo, aprire cassetti, frugare tra carte, bollette, vecchie cartoline, mettersi in tasca fogli, appunti, fotografare con il cellulare tutto quello che può. E quando il parente torna dal bagno, l’erudito è di nuovo al suo posto, le gambe accavallate, uno sbadiglio evocato ad arte.
Questo genere di ricerche genealogiche occupa mesi, anni, si diceva. Le decine di fogli degli inizi sono diventate centinaia, migliaia – e si è sempre solo all’inizio! Gli antenati, da quelle carte, emergono in tutta la loro puntigliosa inconsistenza: hai voglia a tracciarne le gesta con uno stile di burocratica, goffa solennità, sempre poveracci rimangono, uomini spaccati in due dalla fatica di lavori che oggi nemmeno gli schiavi, padri padroni rissosi, resi stolidi dalle bevute, picchiatori di mogli e figlie, untuosi con i potenti, ciechi dinanzi agli sviluppi delle loro azioni, vittime sussiegose di congiunti più furbi, rigidi economi con i figli e sciocchi dilapidatori con gli amici profittatori. Se ne accorge il compilatore, o la sua vista è così corta da non consentirgli di notare che l’intento celebrativo degli inizi si è appannato pressoché subito, che la materia trattata è ben misera, che la famiglia (la Famiglia, anzi) ne viene fuori immeschinita?
Insomma, bene o male, dopo anni di lavorio solitario, la ricerca è divenuta, agli occhi di chi l’ha scritta, libro vero e proprio: corposa, puntigliosa nel mescolare ricordi storpiati, dicerie maligne, supposizioni e allusioni oscure ai dati oggettivi. Ma per il suo autore (ecco, non si è accorto di nulla, ora lo sappiamo) è un imponente monumento storiografico di granitico valore alla memoria di un qualche antenato. È il momento di eternare il tutto con la pubblicazione.
Inizia il giro degli editori locali. L’autore, di vedute ristrette, di letture men che modeste, nemmeno considera panorami editoriali più vasti. Prende appuntamento con editori di città, che conosce di vista, con cui già si scambia del tu per via. Cortesi, una volta sfogliata l’opera, uno per uno rifiutano la pubblicazione (e da quel momento in poi si scorderanno il saluto per via). Restano i tipografi.
Mesi dopo, condita di refusi, impaginata dozzinalmente, l’agiografia è pronta. Non reca ISBN, per una svista del tipografo le pagine sono numerate alla rinfusa, ad alcune addirittura manca la numerazione. Ma l’oggetto finito, insomma, con rilegatura e tutto, nell’insieme assomiglia a un libro vero, e l’autore, ricevuti i pacchi e pagata l’ultima rata, ne va fiero, e comincia subito a distribuirlo ai parenti, convinto di fare opera gradita, di esser seppellito di elogi.
Invece di elogi, riceve mugugni. Molti parenti gli tolgono addirittura il saluto. Qualcuno, più esplicito, gli rinfaccia di aver voluto mettere in cattiva luce, per pura cattiveria, il caro avo, l’eccellente prozio, l’eroica bisnonna. Ma no, si difende lui, ne ho mostrato anzi i lati più belli, l’eroismo fantasioso, la dedizione, la devozione, l’amor di patria! Palle, rispondono gli altri: hai reso l’avo un minus habens, il prozio un puttaniere, la bisnonna un’usuraia. Davvero? si chiede sgomento l’autore, che non sa più come ribattere. Intanto è vero, sì, in fondo ha ragione lui, eran proprio così, si dicono quasi altrettanto sgomenti gli altri, una volta rimasti soli. Solo che non è bello che lo si sappia in giro, che lo sappiano i vicini, gli altri parenti, i parenti dei vicini, la giornalaia, il portalettere, la pettinatrice, il farmacista, il parroco.
Urge correttivo. Quasi contemporaneamente, e all’insaputa l’uno dell’altro, un cugino dell’autore A (d’ora in poi B) e un nipote di secondo grado (d’ora in poi C) mettono mano alle loro ricerche, con l’intenzione dichiarata di fare chiarezza, di sgombrare il campo da equivoci ed errori. La loro ricerca prenderà anni, anni preziosi di vita, ma pazienza. Investiti dalla missione pressoché sacra di far chiarezza, di raddrizzare reputazioni, essi (B e C) non immaginano nemmeno per un attimo che della ricerca di A non si è accorto nessun altro, e che nessuno al di fuori della cerchia ristrettissima dei familiari potrà mai interessarsene. Eccoli dunque alle prese con apologie che, sfuggendo loro di mano, finiranno per imbarcare altre malevolenze, altri dettagli equivoci, e se ne intaseranno irrimediabilmente.
Alla pubblicazione delle loro ricerche, approssimative e goffe quanto quella a cui hanno voluto reagire, risponderà con l’avvio di un’altra ricerca un bisnipote seminarista (d’ora in poi D). Ci sta lavorando ancora adesso, mi dicono. Non sarà l’ultima, mi dico io.
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