Giulia Agricola al marito Publio Cornelio Tacito
Roma, anno LXXXIX, il 10 marzo
Se questi tempi sono crudelmente ostili agli esempi di dignitoso valore, se il narrare la propria stessa vita è un indizio di fiducia nel valore morale delle azioni più che un segno di presunzione, se è vero quello che scrivesti di mio padre Agricola, che visse incorrotto nei tempi del corrotto Domiziano, se è vero che occorre riandare continuamente nella memoria alle azioni e alle parole di lui e racchiudere nell’animo le linee fondamentali della sua anima più che quelle del corpo, io mi chiedo, io che sono la tua discreta e fedele compagna, potrò meritarmi qualche parola nelle memorie non ufficiali che so stai scrivendo in segreto? Scriverai finalmente il mio nome, quello che non figurerà nei libri di storia, il mio nome che solo tu pronunci o sussurri e che fu pronunciato e sussurrato, prima di te, solo da mio padre e da mia madre? Così saprei con ineluttabile chiarezza, di essere esistita, di aver fatto parte – seppure secondaria – della tua vita. Ma alle volte, lo confesso in questa lettera che non ti invierò mai, certa che sarà scoperta solo dopo la mia morte, forse quando qualche serva curiosa rovisterà nelle mie cassepanche, mi sorprendo a interrogarmi se anche tu – così giusto e perfetto come mio padre – non celi un vizio, una perversione, un’infedeltà perpetrata. Se così fosse, io ti ringrazio per avermela nascosta così sapientemente al fine di non incrinare la bella superficie del nostro rapporto, la serenità del nostro universo domestico. Mantenere dei segreti, tra coniugi, è una regola morale al pari di quelle predicate da mio padre in ben altri contesti. Da bambina, quando lo guardavo e osservavo ammirata l’alta considerazione di cui godeva pubblicamente, mi chiedevo se fosse veramente così come lo vedevano i nostri occhi o se invece i nostri occhi fossero incapaci di cogliere tutti gli aspetti della sua persona. Questi pensieri li affido a un foglio sigillato che li può accogliere nel suo silenzio: è un modo, in fondo, per non seppellirli del tutto, in quanto partecipano della memoria, sebbene una memoria privata e quindi minore.
Io assomiglio a questi pensieri impronunciabili, io, tua moglie, la parte nascosta di un uomo pubblico e celebre quale tu sei, che frequenti direttamente la Grande Storia e cerchi di discernere il vero dal falso per i posteri, per chi ti leggerà in futuro e potrà conoscere la verità – le invisibili trame dell’ordito che fai emergere alla luce. Quanta responsabilità ti assumi, quanto peso sulle tue spalle di uomo! Il peso della verità dei fatti, la verità che deve lottare per poter affermare se stessa contro il falso, che ha le sembianze del nemico…come quei guerrieri che portano scudi neri, si tingono il corpo e scelgono per le battaglie notti di tenebra e col solo orrore di questo esercito di neri fantasmi dell’Averno incutono terrore perché nessun nemico può reggere a questastraordinaria e infernale visione, dato che in ogni battaglia i primi a essere soggiogati sono gli occhi.
Oh sì, io amerei molto, guardarti dritto negli occhi per indovinare se nelle tue confessioni segrete avrai parlato di noi, delle nostre notti in cui ci abbracciamo con voluttà e tenerezza, del nostro amore e delle nostre conversazioni, ma non vorrei mai avere quella capacità – una virtù divina che per fortuna non mi appartiene – di scoprire in fondo ai tuoi occhi tutta la verità – se fosse dolorosa per me, vergognosa per te. Che nessuno, ed io per la prima, possa mai conoscere certi aspetti del tuo carattere, della tua vita privata, se fosti o non fosti uomo, marito e padre onesto e giusto.
Con amore
la tua sposa Giulia