Festa di compleanno in location pseudo-chic vicino Caserta. Cena in pompa magna, con tutti i notabili del feudo e loro vassalli. Pessima idea della festeggiata: mettermi al tavolo con estranei, per favorire una socializzazione di cui nessuno, in fondo, ha voglia. Nome del tavolo “Ortensia”: grande fiore inodore. Di fronte a me, giovane donna, brutta senza salvezza, malgrado abito Armani, taglio dal parrucchiere più caro, al collo ciondoli Dodo full collection. Per tutta la serata, ci siamo guardate annuendo stupidamente, io con le mani sotto il tavolo, lei a rigirarsele senza posa, per mostrare bracciali Gucci, Pandora, Tiffany, orologio Cartier, le unghie con gel tinta moda color fango.
Il marito, imprenditore che notoriamente non paga i dipendenti da mesi, vestito a tutta griffe da capo a piedi, con una ripugnante raffica di nomi a vista, tutti tranne il suo, che mi sfugge, malgrado ripetute presentazioni. Ignora i commensali, rifiutando ogni portata col gesto con cui si scarta un dolce avariato, perso nella fossa comune di FB, serio ed attento come controllando gli indici del Dow Jones. Ogni tanto guarda la moglie, e la moglie lo guarda, senza riconoscersi.
Ospiti ritardatari in arrivo: intera famiglia appena uscita da campo di concentramento FF. Poi comitiva di giovani ignavi tutti uguali, malgrado mise Desigual.
Giovane chiattillo con stampate in viso le rughe del vecchio che diventerà prima del tempo.
Moglie di commercialista gracchia a vanvera senza posa. Quante ore deserte nei suoi passetti da topo, nelle sue risate grandi come nuvole che, come le nuvole, a caderci attraverso ti schianti al suolo.
In arrivo, piatti come catini da lavabo: al centro, uno sputo di cibo indecifrabile. Nome della portata: “C’è qualcuno in casa?”
Musica live. La cantante, molto brava, indossa un abito che neppure il suo talento riesce a perdonarle.
Giovane avvocato vestito come un morto nella bara, trascorre venti minuti a roteare il vino nel calice, col movimento lento e sempre uguale di una copula senile.
Ragazza pupazzetto su tacchi cinesi, avanti e indietro senza ragione, offre prestazioni ad angolo retto al miglio sofferente.
Feste copia e incolla: nessuna nuova, pessima nuova. Braccata da gente che mostra ad ogni gesto e parola una lunga serie di invalidità acquisite con fierezza. Isole ecologiche della convivialità. Nella spietata pornografia dell’ostentazione, nessuno si salva; tutti uguali, accomunati da una protratta abitudine ad inesistere. Gente che, se non parla, fissa il vuoto di cui è piena. Se parla, dice cose di struggente pochezza. Dittatura dei pronomi impersonali. Le espressioni più ricorrenti: “Si dice”, “Si porta”. Cafone riciclate da fortune poco chiare, pensano di farla franca con l’abito di Valentino, la borsa LV del senegalese Mario, il diamante di Bulgari, l’orecchino del cinese. Niente da fare: la forza di gravità ha riscosso da tempo la sua tassa in termini di prolassi, pelli franate, e conversazioni solo in discesa.
Disgusto calmo e continuato come il tedio domenicale. In tutta la serata avrò detto sì e no una frase, persa nel terrore del panno steso di sfracellarsi prima o poi sull’asfalto.