Perché mi piace viaggiare

Chiudiamo la pubblicazione degli Atti del convegno dedicato a Robert Walser con un suo pezzo inedito in Italia. Stampato per la prima volta in Für die Frau, inserto della Frankfurter Zeitung (30 giugno 1929), Warum reise ich gerne - Antwort auf eine Umfrage, fa parte di un’inchiesta alla quale risposero anche Franz Hessel, Joseph Roth, Emmy Hennings, Hans Siemsen e altri. Ora è pubblicato in: Robert Walser, Feuer, unbekannte Prosa und Gedichte, a cura di Bernhard Echte (Frankfurt a. M. 2003). La traduzione è di Marianne Schneider (e di un suo amico).

di in: Con Robert Walser

FRAGONARD, Le rocher (1765 ca.)

Per viaggiare ci vogliono i soldi: cosa che nessuno potrà mettere in dubbio. Già  l’acquisto del biglietto ferroviario, le valigie, i vestiti, costano. Se uno non paga dovrebbe viaggiare a piedi, ma poi  si consuma le scarpe. Anche il viandante più a buon mercato non può  uscire nel mondo con il portamonete vuoto. Mi ricordo  una volta che sono stato invitato a un viaggio in automobile. All’occasione mi son concesso di  far conoscenza con un delizioso boschetto di acacie. Starsene seduti in un vagone viaggiante può dar luogo a un po’ di trasognamenti, stati di vaghezza e leggerezza d’animo. Esiste forse qualcosa di più sano della piacevole sensazione d’esser portati via da una forza trainante? Ah, com’è rinfrescante arrivare a stazioni che non abbiamo mai visto! Nuovi ambienti creano in noi un che di nuovo: chi è sconosciuto trova in sé una certa dignità, chi non attira l’attenzione si sente un uomo onesto. Secondo me  la maggior parte di quelli che viaggiano per  proprio piacere si sentono innocui come  bambini. L’albergo dove si fermano a riposare o ristorarsi è come una bella amica che incute rispetto. Una camera d’albergo sembra, al tempo stesso, chiacchierare in modo divertente e tacere gradevolmente. Le locande si distinguono per la loro imparzialità. Ora tocca ai monti, sui quali si sale. Codesti monti paiono sempre un pochino come dei casini di delizie, ovvero alcunché di simile ad una sella che promette una bella veduta panoramica. Quest’ultima cosa significa: allegria. Scivolando in barca su un lago che si distende come un vestito di seta, si crea automaticamente una certa quota di felicità nell’anima, alla quale la fresca brezza del lago sorride tutt’intorno. In viaggio si fanno conoscenze alla svelta, perché  ci si presenta dovunque come estranei, che essendo sconosciuti fa piacere conoscere. Con uno a cui si è già parlato spesso, si parla meno volentieri che con uno entrato per caso nel nostro campo visivo. Chi viaggia ci sembra più carino, più bello, più forte, più ricco, più intelligente, più amabile, e più capace di farci sentire a casa, d’uno che sia per noi una figura nota da tempo. L’estraneità porta alla dimestichezza, il conoscersi porta ad estraniarsi: e qui reputo d’aver toccato un punto essenziale del viaggiare. Quelli che stanno fissi  in un posto ci sembrano tirchi, mentre i viaggiatori generosi, e di fatto  i mutamenti continui ci rendono più di buon cuore, laddove talvolta nel tran tran ci accade di abbassare le saracinesche. Di fronte all’apertura del mondo ci apriamo noi stessi. Mi sembra logico, e com’è bello che le città viste per la prima volta ci sembrino sempre significative e favoriscano la bontà d’animo! Quando si devono battere sempre le stesse strade, il cuore diventa senza cuore e l’individuo diventa un tran tran quotidiano. Il guadagno del viaggiatore mi pare si fondi sulla sua disquotidianità, cosa che si raggiunge senza fatica. Il viaggiatore è considerato  sempre il benvenuto, e  non si sbaglia in tale opinione, dato che ha l’aria di far volentieri tutto quel che fa. Ai nostri occhi risulta sempre simpatico chi trova se stesso simpatico.

 

(Traduzione di Marianne Schneider con un suo amico)

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