Infinite Jest, la serie TV:
strategie e prefigurazioni

Quanto segue si deve in parte ai contatti hollywoodiani dell’editore italoamericano Sommariva (le cui controverse e ancora misconosciute imprese ecdotiche verranno presto recensite su questa stessa rubrica), che ha accettato di condividere in anteprima italiana su Zibaldoni alcuni ragguagli da lui raccolti oltreoceano.

Diffondendosi di là da Zibaldoni la notizia della futura produzione di una serie TV tratta da Infinite Jest (in Italia se n’è occupata tra gli altri anche lUnità), in una sorta di osmotica contaminante della rivelazione si moltiplicano le fughe di notizie e le indiscrezioni sulla misteriosa pre-produzione della serie TV e sul manipolo di registi e attori guidato dal vulcanico Martin Scorsese (già sugli schermi con Vinyl). Quanto segue si deve in parte ai contatti hollywoodiani dell’editore italoamericano Sommariva (le cui controverse e ancora misconosciute imprese ecdotiche verranno presto recensite su questa stessa rubrica), che ha accettato di condividere in anteprima italiana su Zibaldoni alcuni ragguagli da lui raccolti oltreoceano.

L’incognita L.

Non è un segreto che l’opera di David Lynch (pioniere col suo Twin Peaks delle serie TV d’autore) e segnatamente Blue Velvet abbia rappresentato quello che si dice un momento di svolta nella consapevolezza narrativa di Wallace per ciò che riguarda quel (nelle parole di Wallace stesso) “mantenere tutto il resto perfetto e totalmente strutturato” eccetto “quell’unica cosa storta”, espediente (se così si può chiamare) che ha salvato Wallace dall’acquitrino tremensquantico di Pynchon (per catapultarlo in nuovi acquitrini, ma questa è la letteratura, ragazzi). La notizia che sembra circolare nei corridoi di Hollywood è che, dopo il rifiuto di Clint Eastwood a interpretare la parte del folle regista James Incandenza (uno dei protagonisti del romanzo), l’ufficio casting della serie, in omaggio all’ammirazione di Wallace, avrebbe chiesto proprio a Lynch di interpretare il personaggio, in quella che sarebbe una delle rare apparizioni del regista dalla parte diciamo sbagliata della macchina da presa. Ovvero, non è chiaro se la presenza di Lynch in scena sia uno scherzo o una possibilità concreta.

Nec cubat in ulla

Né scovare gli attori è l’unico problema dei responsabili del casting della serie. Sarebbe stata anzi creata una specifica sezione con uffici e personale dedicati, detta del director-casting. Il talvolta bistrattato pragmatismo americano potrebbe in questo caso come in tanti altri rivelarsi l’arma vincente. Posto che Scorsese intenda realizzare una serie poliautoriale come quella vagheggiata nello scherzo iniziale degli Howling Fantods, fare in modo che un gruppo di registi di primo livello possa lavorare rispettando i limiti di tempo imposti da una serie televisiva (ma, secondo taluno insinua, limiti simili andrebbero imposti anche a enciclopedie e dizionari biografici) imporrà agli uffici del casting e alla sottosezione del director-casting di isolare nel romanzo le parti che abbiano l’appeal stilistico più congeniale a ciascun regista. Tali uffici e sottouffici avrebbero quindi assunto alle loro dipendenze un gruppo selezionato (si intravede qui un principio di bizantificazione d’uffici che alcuni tra i più allarmisti già temono degeneri in metastasi burocratiche) di lettori americani del libro, cui spetterebbe il compito di individuare le “zone d’omogeneità stilistica cinematografica potenziale” del romanzo. Sarebbero questi lettori ad aver ideato il gioco/brainstorming del “WhoWill” (Chi sarà a…), già consolidata routine nelle sezioni riservate di alcuni forum online USA.

E così: who will…?

… chi se non Herzog per girare la puntata/mockumentary dedicata alla sterminata nota in calce del romanzo che cataloga il cinema di James Incandenza?

… chi meglio di Iñárritu potrebbe realizzare la puntata nella quale, in assoluta conformità al testo, un unico lunghissimo piano sequenza ci trasporterà dalla casa di recupero per tossicodipendenti Ennet al minuscolo abitacolo della nera e velocissima Aventura di Pat Montesian guidata per le strade di Boston da Gately (per il quale molti whowillers vorrebbero un ingrassato Di Caprio) fino a sollevare un mulinello di detriti che andrà a sbattere contro la porta del negozio dei fratelli Antitoi che verranno interrogati e massacrati dai terribili Assassini sulla Sedia a Rotelle? Tra l’altro il recente (ancorché fatuo) Revenant ha rivelato una propensione di Iñárritu per il sangue, il che sarà cacio sui maccheroni quando infine l’Assassino sulla Sedia a Rotelle Marathe (Ben Stiller) trafiggerà Lucien Antitoi piantandogli attraverso la bocca e lungo tutto l’esofago un manico di scopa precedentemente appuntito a scopo difensivo (un tantino blanda, concediamolo, l’ironia tragica) dagli stessi Antitoi.

In altre parole, si cercherà di far sì che le puntate assegnate a ciascun regista siano per il regista in questione perfettamente confacenti al suo stile e alla sua tecnica e pertanto girabili per così dire con il pilota automatico, nel pieno rispetto dei limiti richiesti: una serie polistilistica insomma. Come se nella precedente filmografia di ogni regista esistesse una prefigurazione della sezione di Infinite Jest che gli verrà assegnata (ovvero quasi, se preferite, la serie TV avesse già una sua frammentata e incognita esistenza in nuce nei film dei registi che la realizzeranno: l’inafferrabile serie, insomma, prima ancora di giungere a un’esistenza compiuta avrebbe già, come la pantera dantesca, lasciato il proprio fantasmatico profumo addosso al cinema che l’ha preceduta e che – auspichiamo – la irretirà).

CEN 2

And the tide was way out

E alcune carriere registiche sembrano davvero convergere verso il nucleo gravitazionale di Infinite Jest: dall’altrove ricordato Jarmusch con la copia del romanzo in bella vista in una delle scene di Only Lovers Left Alive al Wes Anderson dei The Royal Tenenbaums (nei quali già Moody individuava uno smaccato prototipo degli Incandenza) e (aggiungiamo noi) di Moonrise Kingdom, tra i capolavori dell’epica adolescente, quale si ritrova anche nell’accademia Enfield del romanzo: non c’è dubbio che la puntata sul gioco strategico Eschaton che degenera in una surreale e pubescente rissa tennistica verrà affidata proprio ad Anderson, e d’altronde la malinconia e la violenza decadente di Jarmusch si direbbero quasi darwinianamente selezionate per dare corpo alle torve esistenze dell’autodistruttiva star radiofonica Madame Psychosis o del cocainomane Lenz. Avremmo cioè, a quanto pare, una “zona Anderson” per l’accademia di tennis Enfield e una “zona Jarmusch” per la casa di recupero da tossicodipendenze Ennet, e così via per gli altri luoghi del romanzo, e non è quindi escluso che Anderson e Jarmusch dettino le direttive stilistiche delle loro zone, in modo che alcuni episodi possano essere affidati a registi emergenti. Non sembrerebbe invece interessata al progetto Sophia Coppola, il che è andato ad alimentare il già nutrito repertorio di barzellette circolanti nell’ambiente riguardo un presunto antagonismo Coppola/Scorsese, che con il rifiuto di Sophia sconfinerebbe in una squisitamente stereotipa faida familiare.

Conclude questo “Rumored Red Carpet” (RRC [pron. erersì] nell’acrostico corrente tra i pre-fan americani) la bifronte entità artistica dei fratelli Coen, che le recenti indiscrezioni confermano essere tra i più corteggiati da Scorsese. Ciascun lettore sarà capacissimo di trovare da sé, nelle vite esilaranti e tremende raccontate negli anni dai due fratelli, echi per così dire a priori della serie TV. A noi piace divinare un giovane Gately nel più cicciotto tra i ragazzini del finale di A Serious Man, in contemplazione (come capita sempre anche nei finali di Wallace) di una tempesta imminente che lo spettatore è condannato a soltanto immaginare.

CEN 3

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