Fotografia di Ezio Gianni Murzi

Tempi eccezionali, sì, non c’è altro modo per definirli, per descrivere l’alternarsi di sentimenti e il caos di pensieri che li stanno accompagnando. Improvvisamente reclusi, isolati, minacciati. Per l’esattezza, presi di mira. E circondati da un silenzio che è stupefacente, perché non siamo né in campagna né in montagna ma proprio nel centro della capitale. [continua]

Non poter compiangere i morti: il divieto del seppellimento evoca Antigone, la sua affermazione di un diritto che è oltre le leggi, iscritto nella natura corporea e intima dell’appartenenza (autoadelphon, lei dice del fratello, unendo il possessivo al sostantivo, come accade in alcuni nostri dialetti meridionali: fratima, mio fratello).

El Trinche non si è mai spostato dalla città dove è nato: Rosario, sul fiume Paranà. Raccontano che quando Menotti lo convocò come titolare della nazionale argentina, el Trinche accettò di raggiungerlo a Buenos Aires. Giunto alle porte di Rosario, però, attratto dalle acque del fiume, el Trinche decise di fermarsi a pescare…

Che cosa legge l’apprendista, ossia il lettore che scrive, ma non ancora lo scrittore che legge? Come legge, ossia il modo in cui legge è chiaro, gettandosi nel libro incurante di ogni raccomandazione. Ovunque si trovi, in bagno o appoggiato alla tettoia di una fermata d’autobus con in mano un lettore digitale, la sua identificazione [continua]

In esclusiva per i lettori di Zibaldoni, la traduzione dell’ultima canzone di Bob Dylan, uscita ieri in internet. La traduzione e la nota di presentazione sono di Alessandro Carrera, studioso e curatore dell’opera di Dylan pubblicata in italiano.

Miloš Crnjanski (1893-1977). Chi è questo grande scrittore serbo del XX secolo? Rispondo come ho risposto qualche anno fa in un contesto internazionale in cui nessuno lo conosceva: un’interrogazione costante «sul nostro destino comune». Per «nostro destino comune», intendevo quello europeo.

Che è cosa ancora più strana, considerando che non era solo un cibo avariato e quindi non sano. Era anche cibo putrefatto; un organismo che è passato dal mondo dei vivi, delle sostanze che ci sostengono, che bruciano dentro di noi facendoci muovere, interagire, sviluppare cellule necessarie e tutto il resto, al regno immobile in cui le cose si trovano in una dimensione fredda, silenziosa, che ci nega nutrimento, ci blocca, ci fa deperire e infine sparire.

Finalmente un governo che abolisce l’intrattenimento domenicale, un governo che contempla l’inazione, che accarezza l’atarassia, che coccola gli accidiosi, che li gratifica, li moltiplica. Un governo di filosofi, c’è poco da fare. E tu te li scordi?

Una serie di case-gabbia azzurre come se avessero incorporato il cielo e l’aria. Gabbie perché l’orrore del domicilio rischia di dominarci oggi come non mai; ma ancora case, dove e per mezzo delle quali Papetti riesce a instaurare con i materiali e gli oggetti più svariati – riciclati improvvisati ritrovati – un rapporto non solo affettuoso, ma riflessivo.

L’intero libro respira della gioia e del piacere che l’autore riceve dal lessico ricchissimo della lingua italiana, dai suoi suoni che paiono disporsi così naturalmente nell’andamento endecasillabico: è come se lo sguardo poetico di questi incipienti Anni Venti sapesse di essere debitore a una tradizione non invecchiata e non provinciale capace di fare ancora scuola.

Quello che non s’è mai visto prima è il mondo degli oppressori, che è il nostro e vostro mondo, agghindarsi a vittima con slogan così nauseanti. Andate nelle zone del pianeta dove ogni anno ci sono milioni di morti di ogni età per quanto di peggio si possa immaginare tra inedia, malattie e guerre, e provate un po’ a dire, “Certo che questa polmonite… una cosa mai vista prima, eh?”.

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