Per questo l’immagine dei monaci chini sul loro disegno continua a creare nella mia mente un’impressione gioiosa; anche quando lo hanno finito, anche quando il disegno è ormai cancellato. Perché stanno rappresentando la futilità del tutto, l’eterna trasformazione, sì, ma nella bellezza.

L’indio fischiava e sospirava come un uccello trafitto, agitava le sue fronde di piume distogliendomi dal naufragio, e il riso mi aveva così scavato fin nel più intimo delle viscere che mi era impossibile fischiare e salvare il mio fratello ferito al cuore. Mi sono tirato su, esilarato dalla morte dell’indio, ho incrociato le gambe e senza che dicessi nulla l’indio mi ha consegnato il suo tamburo.

Massimo Rizzante presenta per i lettori di Zibaldoni e altre meraviglie il libro di Alejo Carpentier L’età dell’impazienza (curatela dello stesso Rizzante, postfazione di Miguel Gallego Roca). Ringraziamo l’editore Mimesis, che ci concede qui la pubblicazione anche di un breve testo di Carpentier.

Quando la fame o il caldo sono molto forti, il capitano inventa ragioni più fantasiose: dice di aver sentito le sirene, e che le sirene gli hanno rivelato che la secca è solo un’illusione, l’intera nave non è altro che un sogno, e non deve preoccuparsi di nulla. Quando pensa alle sirene, il capitano diventa molto pericoloso: è in quei momenti che ha cercato di uccidere Gianni Sherwood.

Sentivo che quanto più mi fossi impegnato su una strada ordinaria, tanto più mi sarebbe riuscito agevole verificare gli eccessi in cui ero incorso, la pretesa di tanti sforzi male orientati. D’altronde, lo straordinario non si rivela mai su una strada nuova, ma proprio su quella percorsa da tutti.

La GIPSI

di in: Captaplano

Per giovane intellettualità della provincia e della sinistra italiane (fin dall’inizio appunto GIPSI) si deve intendere quella fascia di popolazione di ambo i sessi compresa più o meno tra i venticinque e i trent’anni, laureata, residente in centri urbani che vanno dai 50.00 ai 150.00 abitanti circa, e d’orientamento politico dichiarato gauchiste, seppur non necessariamente sfociato nella militanza.

Il nostro tempo, da parte sua, può essere ancora narrato sotto le specie di una scrittura che ha il passo lento e meditante del camminatore, mentre l’occhio esplora intento (indugiante, paziente) e la mano scrive e disegna, disegnando torna alla scrittura, dalla scrittura transita di nuovo al disegno esattamente come l’andare trascorre dal sentiero alla scarpata in salita, poi discende nel greto di un torrente in secca, attraversa quindi un pascolo recintato o si ferma davanti alla muta di un rettile.

Qualcosa di più avevo letto di Ricardo Piglia, fatto che mi aveva spinto verso queste sue lezioni, le quali rappresentano anche con tutta evidenza, oltre a una teorizzazione di genere e un’analisi delle opere di Onetti, una preziosa guida per i suoi romanzi.

I fogli di giornale si alzano quando tengo le finestre aperte, come qualcuno che ne voltasse le pagine nell’altra stanza. È un rumore piacevole, tanto che si potrebbe pensarci come ad uno strumento musicale passivo, come le campane a vento. Simulazione della presenza.

Se non fosse stata la droga, la guerra. Il primo segno forse lì: sparpagliate sul letto, le fogliate da diecimila lire, sciorinate una accanto all’altra, ricompensa della repubblica per il sangue nemico versato, esibite a chiunque entrasse.

Andare a piedi, portare (letteralmente portare sulle gambe e sui piedi che si muovono) il proprio corpo attraverso strade di città, edifici, strade e sentieri fuori della città, attraverso boschi, lungo corsi d’acqua è scrittura in atto e preludio alla scrittura che si materializzerà sul foglio.

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