Dopo quella volta mi recai da lei di notte, ogni volta che potevo. Giuditta passava le giornate per lo più tutta sola, mentre io facevo lunghe escursioni per disegnare, oppure dovevo starmene silenzioso e con un’espressione grave in casa del maestro come in una scuola di sofferenze. Così in quelle notti avevamo di che chiacchierare [continua]
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L’assenza di Marzio
Quel tiro di Osvaldo Prandi fu un brutto colpo, per il signor Ricci. Girava torvo e curvo adesso, come Gino non si ricordava d’averlo mai visto e con lui conciato così tutto il magazzino stillava stanchezza. Ma una mattina il signor Ricci si risvegliò di colpo. Quando furono le dieci e Marzio ancora non era [continua]
Il romanzo di Francesca Andreini, Gino, si era concluso con il capitolo 29, nella seconda serie di ZIBALDONI E ALTRE MERAVIGLIE, con la corsa del protagonista sognante per le strade di Siena. Ora, inaspettatamente, ma con nostro grande piacere, riprende. Da dove? Dal capitolo 30, naturalmente, al quale seguiranno altri otto episodi, che – l’autrice [continua]
11. Tempo e spazio, un’analogia con i tappeti d’Oriente Nei poemi cavallereschi manca quel termine di riferimento che è il tempo lineare della Storia, fatto di frazioni uniformi con cui misuriamo tutto in secoli, anni, mesi. Dunque non ci sarà la formula: “Nel tal giorno, o mese, Orlando arrivò nel luogo x”; bensì: “Orlando (di [continua]
XI. Un discepolo infame C’era un medico molto rinomato, di nome Giordano, che aveva un discepolo. Un giorno veniva convocato al capezzale di un fanciullo molto ammalato, e il discepolo, per acquistar pregio ai danni del maestro, andava dicendo al padre del fanciullo che suo figlio sarebbe certamente morto. Poi faceva aprire la bocca al [continua]
… ma seguitiamo Angelica che fugge. Fugge tra selve spaventose e oscure…” Ariosto, Orlando Furioso, I, 32-33 1. Eroi che girano a vuoto All’inizio del poema ariostesco, Angelica che fugge nella selva ci trascina subito in un mondo dove tutti agiscono in stati di incantamento o di fissazione prodotti dal gioco della sorte. La bella [continua]
Il giorno di Natale del 1956, nei dintorni di Herisau, Robert Walser fu trovato morto nella neve. Era morto durante una passeggiata solitaria. Robert Walser era ed è una leggenda, una favola triste. La sua morte è la morte del poeta, quel poeta che egli stesso ha descritto cinquant’anni prima – quando ne aveva ventotto [continua]
“[…] era detto per nome Marcovaldo, venuto dalle parti di Murrocco, di gran prodezza e di giudicio saldo” “[…] cavalcava una alfana smisurata di pel morello, e stella aveva in fronte” Luigi Pulci, Morgante, XII Marcovaldo era un tipo tranquillo. Il suo unico, irrimediabile errore fu quello di essersi innamorato di Chiarella, la figlia del [continua]
Un poeta può essere in qualche modo malato e tuttavia in buona posizione come poeta. Se un uomo sano scrive male, allora è malato in qualità di poeta. Se un uomo malato scrive bene, allora appartiene in qualità di uomo a coloro che sono sani”.Robert Walser “[L]a malattia può esser stata la culla di osservazioni [continua]
Che cosa vi avevo detto? Che allo scadere del mese sarei andato a trovare i due zibaldoniani in vacanza. E così ho fatto. Li ho sorpresi uno nella sua casa, che se ne stava tranquillo davanti ad un camino spento, intento a leggere un romanzo dell’Ottocento di novecento pagine; l’altro in un bar di un [continua]
Tra gli studiosi che si sono occupati di Robert Walser, ce n’è uno che si distingue in modo inconfondibile da tutti gli altri; se lo si guarda però da vicino emergono – pur nella diversità– strane e sconcertanti affinità con l’autore. Si tratta dello svizzero Robert Mächler, nato trenta anni dopo Walser, nella piccola città [continua]
Questo libro contiene innumerevoli storie piacevoli ed esemplari. Vi si ascoltano parlate fiorite, vi si narrano alte cortesie; vi si registrano stupefacenti saggezze, immense virtù e generosi doni, così come li facevano nel tempo passato molti uomini veramente nobili – così come oggi quasi nessuno fa più. Prologo “La lingua parla dell’abbondanza del cuore”: con [continua]
Quando fu possibile, nell’ottobre 1957, dieci mesi dopo la morte di Walser, al pubblico senza dubbio ristretto al quale la cosa poteva interessare, gettare uno sguardo su un manoscritto dell’ultimo periodo di attività di Walser, immediatamente un’aura di stravaganza e di mistero aleggiò intorno a questa minuscola scrittura.
“Guardando attraverso la lente. Esperienze di un decifratore”, è questo il titolo del modesto contributo che presento nell’ambito dell’iniziativa bolognese. Ma non voglio fare giri di parole; preferisco entrare subito in argomento e dirvi che l’esperienza fondamentale del decifratore Echte è stata quella dell’errore. Per dirla con Franz Hessel, ‘Gli errori degli amanti’; anche così avrei potuto intitolare questa mia relazione.