Talvolta, nell’euforia che lo prendeva, sembravano aprirsi possibilità per sentirsi parte di una realtà che contava, nella quale anche lui rivestiva un ruolo, riconosciuto al modo in cui riconosceva gli altri; ma erano istanti luminosi dai quali sembrava destarsi bruscamente tanto che, in un improvviso e vertiginoso bilancio negativo, d’un tratto piantava tutti a metà brano e tornava a rifugiarsi sui divani.
Avventure e Close Writing
Benché fossero in tutto trentatré (li aveva contati) e alcuni di loro presumibilmente parenti degli autori delle diciassette sculture, non degnavano l’allestimento di particolare attenzione, attardandosi invece a valutare la bontà dei nuovi fari, dell’impianto a pavimento: «Questa è una struttura destinata a durare», concluse in sintesi l’Assessore alla cultura, come se rispetto all’edificio le statue, specie quelle in bronzo, recassero in sé un destino più breve.
Qualcuno potrebbe intrepretare questa svolta come un espediente compositivo messo in atto per bilanciare le due parti, ma il tono muta in modo così aderente alle vicende narrate, da suggerire una progressione nel life-writing più che una soluzione formale che funge da contrappunto alla prima parte. In altre parole, potremmo dire che le preoccupazioni dell’arte kunderiana del romanzo sono abbandonate: i conti non tornano, ma non è più questo ciò che importa.
Tarantino racconta la sua esperienza con un registro popolare – e con prevedibile competenza enciclopedica – facendo emergere man mano intuizioni che ne confermano la voce, che non perde mai forza persuasiva: l’entusiasmo, che è il tratto dominante e quasi il timbro di questa voce, non contrasta con la precisione del dettaglio, anzi la richiede proprio perché esprime una passione decisamente sensibile alla sciatteria.
Anche oggi non si sa per chi si racconta: ad esempio in rete si racconta per un pubblico sconosciuto, ma di fatto si sa sempre di più che il pubblico che andrà a cercare il nostro racconto non sarà del tutto ignoto, sarà – salvo eccezioni – abbastanza prevedibile in termini di abitudini di lettura e di preferenze. Scriviamo su riviste digitali e siti specializzati che fungono in parte da camere di risonanza delle nostre opinioni; del resto, sarebbe difficile trovare in rete un sito davvero generalista che abbia successo offrendo solo finzioni. Quindi, come prima si raccontava per una comunità stanziale su un territorio, oggi si racconta per una delle tante microcomunità o tribù digitali raccolte attorno a una manciata di siti o di riviste.
Avevo cominciato a trascrivere le interviste su un computer che la biblioteca metteva a disposizione del pubblico, previa prenotazione. Le stampavo e le correggevo a penna. Stavo facendo il giro dei negozi di Trento per capire dove comprarmi il portatile. La macchina da scrivere meccanica ormai la usavano in pochi: avevo pulito la mia Adler e l’avevo messa nella sua custodia, pronta per raggiungere l’angolo degli scatoloni in soffitta, ma la tenevo in camera come un talismano a cui non mi sentivo di rinunciare.
Lavorare molte ore in silenzio senza essere interrotto, come facevo quando mio padre mi portava in un cantiere, lascia ampi spazi all’immaginazione, tanto da suscitare la convinzione che un lavoro manuale possa essere il più adatto per chi vuole dedicarsi all’arte: è un errore frequente, che nasce da un’illusione.