Joseph Beuys a Scheveningen (la fotografia, del 1976, è di Caroline Tisdall) ha le scarpe incrostate di sabbia, uno sbuffo pure di sabbia che gli aderisce anche al pantalone e il Mare del Nord alle sue spalle; mostra (o contempla) qualcosa che tiene innanzi allo sguardo (lo ha appena raccolto dalla sabbia?); il pastrano e il cappello sono le sue inconfondibili attestazioni d’identità.
Paesaggi dell’Europa centrale
E sembra naturale, istintivo levare lo sguardo in su (si deve piegare di molto la testa all’indietro) per provare a capire in quali punti del cielo le due torri appuntite si perdono; a me capita puntualmente (ad Amburgo, a Münster, qui a Colonia, non importa) di udire (e non so spiegare perché, ma sento) il rombo dei bombardieri in formazione sulle città tedesche.
Le creature dell’aria sono prossime alla bellezza e alla sapienza che può scaturire dalla poesia, la quale, secondo la tradizione romantica tedesca, ha anche nell’usignuolo una sua incarnazione, quasi che la natura sia capace di cantare se stessa attraverso le proprie creature e sappia amare i poeti come Arnim.
Candida Höfer è nota per le fotografie di grandi dimensioni di interni di biblioteche, di teatri, di spazi pubblici che ha fotografato (ma si potrebbe anche dire “ritratto”) a colori e sempre vuoti di presenze umane e sempre da angolature che ne esaltano le prospettive e l’ampiezza – splendide, per esempio, le fotografie scattate all’interno della Biblioteca dei Girolamini di Napoli (La “biblioteca di Giambattista Vico”, per intenderci).
Non compaiono mai persone nelle fotografie di Simone Nieweg: ma sempre ben percepibile è in esse la presenza dell’opera umana. Nieweg fotografa campi coltivati, giardini e orti di comunità, ortaggi, alberete preferendo molto spesso luoghi della sua regione natale, la Vestfalia, terra di grandi pianure costellate di città a forte vocazione industriale; ecco, allora, che [continua]
Kaliningrad è città bifronte perché ancora oggi caratterizzata dalla propria doppia anima (russa e tedesca, malgrado i tentativi dei Sovietici prima e dei Russi poi di cancellarne del tutto il versante identitario tedesco) e si profila così come il luogo geografico, ma soprattutto simbolico, nel quale una certa storia d’Europa ha dato vita a immani tragedie, ma anche a straordinarie fioriture di pensiero e di civiltà.
Inizia così un’appassionata e appassionante ricerca, accompagnata dalla pressoché immediata scoperta che in tutto il mondo e nei decenni successivi al 1915 (l’anno della prima pubblicazione di Die Verwandlung / La metamorfosi) molti traduttori hanno reso nelle diverse lingue d’arrivo “tram elettrico” e altrettanti traduttori “lampioni elettrici”, per cui Sofri cerca di capire come si sia potuto verificare tutto questo – mi astengo dallo svelare le conclusioni cui egli giunge.