È uscito da qualche settimana il numero 21 di “SUD”, la storica rivista “napoletana ed europea” diretta oggi da Francesco Forlani, ma fondata nel 1945 da Pasquale Prunas. Il tema di questo numero è il tempo. Un tempo “sospeso”, come da esperienza di lockdown e chiusure letterali e metaforiche, per cui molti interventi (traduzioni, poesie, narrazioni) ruotano intorno alla pandemia. Presentiamo su “Zibaldoni” due testi tratti da “SUD” numero 21: il primo, di Olivier Maillart (pubblicato il 25 settembre), propone una riflessione a partire da un racconto di Marcel Aymé; il secondo, che presentiamo qui, di Anna Smeragliuolo Perrotta, divaga sul verbo napoletanissimo “arrecrearsi”.
Zibaldoni d’eccezione
È uscito da qualche settimana il numero 21 di “SUD”, la storica rivista “napoletana ed europea” diretta oggi da Francesco Forlani, ma fondata nel 1945 da Pasquale Prunas. Il tema di questo numero è il tempo. Un tempo “sospeso”, come da esperienza di lockdown e chiusure letterali e metaforiche, per cui molti interventi (traduzioni, poesie, narrazioni) ruotano intorno alla pandemia. Presentiamo su “Zibaldoni” due testi tratti da “SUD” numero 21: il primo, di Olivier Maillart, propone una riflessione a partire da un racconto di Marcel Aymé; il secondo (tra qualche settimana) di Anna Smeragliuolo Perrotta, divaga sul verbo napoletanissimo “arrecrearsi”.
C’è stato un tempo in cui le pandemie mietevano milioni di vittime; poi, diventavano malattie endemiche e latenti o sparivano senza far troppo rumore, come erano venute. I sopravvissuti stavano meglio, guadagnavano di più, acquistavano uno spazio vitale maggiore. Questa pandemia, invece, annuncia un esito diverso. Grandi affari già sono in corso: mascherine, vaccini, altro materiale sanitario, ecc. Tutti soldi spesi bene, s’intende, compreso il grande affare del secolo, i soldi prestati.
L’enigma dell’auctoritas: enigma spaventoso (come abbiamo già detto altrove, non abbiamo il cuore tenero) e, come ogni vero enigma, insolubile. Augusto decise di incarnarlo: Plinio il Vecchio (Nat. Hist. XXXVII, 4) e Svetonio (Aug. 50) danno notizia dei sigilli decorati con una sfinge con cui Ottaviano usava siglare i suoi documenti.
In piedi, a figura intera dentro la veste a campana, completamente voltata e appoggiata al davanzale, è sempre il sentimento a protendersi nel verde oltre la bassa finestrella. Che viene attraversato da un pennone, ben chiaro nel celeste stagliato sulla grande parte soprastante. Una vocazione di viaggio d’avventura per mare verso paesi lontani, a contrasto con la blandizia claustrofobica del nido.
Le teorie complottiste sono una risposta a questa contraddizione, risposta che può essere riassunta in questo modo: negare la stessa contraddizione. E come fanno a negarla? Facendo delle informazioni, a favore o no della teoria complottista, parte della teoria complottista. Ovvero, le prove che negano il complotto, sono prove a favore del complotto.
La scrittura rappresenta questa strana radioattività dello spirito: la capacità di abitare la materia, la più semplice, la più povera, la meno “animata” – un’idea diventa una macchia di inchiostro, una superficie di cellulosa, e può, da questa infima esistenza, esercitare un influsso molto più vasto, potente e durevole di quello che esercita quando abita il cervello di un singolo individuo.
Nei mesi scorsi i balconi sono assurti al cielo, in grande gloria; tuttavia le finestre continuavano il loro servizio, umili e decisive. Mi piace stare alla finestra, in senso letterale. A differenza del suggerimento metaforico non aspetto nulla: fermo il tempo nella natura, lo guardo passare con i passanti.
Contagio, periodi medi di incubazione, guarigioni vengono analizzati senza la giusta prospettiva temporale come se il tempo fosse piatto, schiacciato. I dati giornalieri, i nuovi casi, i ricoverati nelle terapie intensive, i morti non vengono disallineati. Non viene attribuita la giusta casella temporale agli eventi.
«Atene e Lacedemona, che fenno l’antiche leggi e furon sì civili, fecero al viver bene un picciol cenno verso di te, che fai tanto sottili provedimenti, ch’a mezzo novembre non giugne quel che tu d’ottobre fili.» (Purgatorio VI, 139-144) Calza buffamente a pennello con la situazione attuale il celebre passo dal sesto del Purgatorio, dove [continua]
Ma io non sono sciuro che le cose stiano come ce le dipingono. Non sono sicuro che i professori siano quelli che vediamo alla tv, sui social, sui giornali. Secondo me, ci sono “altri professori”. Che non sono però una nicchia, una élite, un gruppo di eletti. Sono i professori che leggono, scrivono, parlano spesso di tutt’altro che di attualità oppure, se parlano di attualità, lo fanno in maniera “inattuale”, sganciandosi dagli stereotipi e dalle macchiette, e dunque non rientrando a nessun titolo in un nessun format.