È interessante e significativo che Agamben scriva del viso come “luogo”, vale a dire come spazio in cui lo sguardo si sofferma e la mente imprende a meditare; “bel viso” significa, evidentemente, viso sul quale non si danno a vedere “ parole non dette e […] intenzioni rimaste incompiute”, ma dove, come accade in certi luoghi, è il silenzio a manifestarsi il quale, cesura nel brusio costante del vivere, invita a fermarsi, a indugiare, a meditare, appunto.
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L’enigma dell’auctoritas: enigma spaventoso (come abbiamo già detto altrove, non abbiamo il cuore tenero) e, come ogni vero enigma, insolubile. Augusto decise di incarnarlo: Plinio il Vecchio (Nat. Hist. XXXVII, 4) e Svetonio (Aug. 50) danno notizia dei sigilli decorati con una sfinge con cui Ottaviano usava siglare i suoi documenti.
In conclusione, care amiche, vivo in un catatonico stato d’eccezione – come direbbe quel furetto dell’Agamben –, nel periclitante deserto di un con-dominio fin troppo affollato – come scriverebbe quel bel tomo dello Žižek – e, per giunta, le mie riserve etiliche si stanno esaurendo più rapidamente del previsto.
Saranno, dunque, Zibaldoni d’eccezione, quelli che vedranno la luce, in un duplice senso: per lo stato in cui sembrano piombare sempre più le nostre comunità, e perché siamo convinti che la letteratura, a maggior ragione in una situazione del genere, deve ancora di più fare eccezione, staccandosi dall’attualità
Presentando il «pacchetto sicurezza» all’indomani dell’omicidio di Giovanna Reggiani a Roma, il ministro dell’Interno Giuliano Amato disse che non occorreva «tirare in ballo la filosofia». Ma che ne pensano i filosofi? Lo abbiamo chiesto a Giorgio Agamben, uno tra quelli che più hanno riflettuto sui dispositivi della politica. CORTELLESSA – Le statistiche dicono che i delitti effettivamente perpetrati diminuiscono eppure nell’opinione [continua]