La potenza narrativa di una mera sequenza di nomi è prova da un lato della nostra sete di storie (che per una volta non siano la nostra storia), dall’altro del potere magico delle parole. Magico ovvero libero da un senso preciso. I nomi propri sono per noi come parole sconosciute: di fronte a loro siamo come neonati che non capiscono quello che gli si dice; ed essendo appunto l’infanzia la sola età in cui il linguaggio si manifesta completamente e propriamente come mistero, la nostra lettura dei nomi propri avviene sempre in modo misterioso, ovvero estatico.
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Le riviste si sono sempre nutrite della discussione interna. Visto che gli interventi di Angelo Angera sul progetto di una serie tv tratta dal romanzo di David Foster Wallace hanno destato molta attenzione, a testimonianza del dialogo interno abbiamo deciso di pubblicare un contributo di Walter Nardon.
Quanto segue si deve in parte ai contatti hollywoodiani dell’editore italoamericano Sommariva (le cui controverse e ancora misconosciute imprese ecdotiche verranno presto recensite su questa stessa rubrica), che ha accettato di condividere in anteprima italiana su Zibaldoni alcuni ragguagli da lui raccolti oltreoceano.
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