Talvolta, nell’euforia che lo prendeva, sembravano aprirsi possibilità per sentirsi parte di una realtà che contava, nella quale anche lui rivestiva un ruolo, riconosciuto al modo in cui riconosceva gli altri; ma erano istanti luminosi dai quali sembrava destarsi bruscamente tanto che, in un improvviso e vertiginoso bilancio negativo, d’un tratto piantava tutti a metà brano e tornava a rifugiarsi sui divani.
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Benché fossero in tutto trentatré (li aveva contati) e alcuni di loro presumibilmente parenti degli autori delle diciassette sculture, non degnavano l’allestimento di particolare attenzione, attardandosi invece a valutare la bontà dei nuovi fari, dell’impianto a pavimento: «Questa è una struttura destinata a durare», concluse in sintesi l’Assessore alla cultura, come se rispetto all’edificio le statue, specie quelle in bronzo, recassero in sé un destino più breve.
Respiro
Il respiro mi accompagnava ormai senza che ci pensassi e avevo questa connessione con tutto, senza sforzo e senza pensiero. E all’improvviso mi è arrivato un brivido. Non fisico, però. O meglio, l’ho sentito nel corpo ma era più profondo. O più superficiale, forse. Una scossa, come se mi si fosse infilata l’anima in qualche presa di corrente. E la presa era tutta intorno a me, ed era anche il mio corpo.
Avevo cominciato a trascrivere le interviste su un computer che la biblioteca metteva a disposizione del pubblico, previa prenotazione. Le stampavo e le correggevo a penna. Stavo facendo il giro dei negozi di Trento per capire dove comprarmi il portatile. La macchina da scrivere meccanica ormai la usavano in pochi: avevo pulito la mia Adler e l’avevo messa nella sua custodia, pronta per raggiungere l’angolo degli scatoloni in soffitta, ma la tenevo in camera come un talismano a cui non mi sentivo di rinunciare.
Lavorare molte ore in silenzio senza essere interrotto, come facevo quando mio padre mi portava in un cantiere, lascia ampi spazi all’immaginazione, tanto da suscitare la convinzione che un lavoro manuale possa essere il più adatto per chi vuole dedicarsi all’arte: è un errore frequente, che nasce da un’illusione.
Mandala
La busta
Al di là delle questioni che aveva affrontato perché rispondevano alla sua sensibilità, si stendeva un territorio indefinito che aveva trascurato considerandolo inessenziale, e che invece andava preso sul serio come non aveva mai fatto in precedenza. Il primo passo avanti doveva quindi essere un umile passo indietro.
La prossimità della sofferenza aveva mutato lievemente il colore delle sue ambizioni: si impegnava per spirito di servizio, lo stesso che l’aveva portata a prendersi cura di Leo, il maltese della sorella, che si trovava da due settimane in una stazione termale alle prese con problemi muscolo-scheletrici.
Zelig
Alla fine era arrivato anche il suo turno. Orgoglioso, Carlo Transi aveva spinto la mole del suo corpo sui gradini di legno fino al palco messo assieme nel primo pomeriggio dagli operai (sotto gli addobbi, due gomme abbondantemente usurate rivelavano il rimorchio di un trattore). Per uno di quei moti incomprensibili tipici dei raduni di [continua]
Mi poteva succedere davvero sempre, anche in una giornata di sole pieno, con il manubrio della biciclettina che scintillava, il vento sulla faccia, le mamme sedute sulle panchine e l’acqua dell’Arno che scorreva accanto. Tutto bello e tiepido e luminoso, fino a quel momento di tristezza, che bloccava le cose al loro posto e me le faceva immaginare finite, lontane, desiderabili e perse.