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Nella neve perenne/ 1
Mi rigiro tra le mani una parola: incanto. Lo spunto me l’ha dato a cena una cameriera, parlando con una sua collega: “hanno messo all’incanto la casa dei miei nonni”. M’è parsa, sulle labbra di questa ragazzotta di vent’anni, un’espressione molto alta, quasi fuori luogo; poi ho pensato all’incanto che mi hanno dato le pitture dei paesaggi, delle architetture che ho visto in questi due giorni.
Anche quando è la voce narrante a garantire l’unità della narrazione – e non è dunque la trama a muovere il libro, penso su tutti al caso supremo di Proust – non per questo le altre non godono di un’identità di rappresentazione, a cui va restituita la rispettiva autonomia. Insomma, la prosa del mondo va riconosciuta nella sua eleganza, che non è quella della prosa d’arte.
“La voce di S. quando ronzava la nota sotto l’influsso della vibrazione della motocicletta che aveva finito per fondere insieme lei e suo padre non era la voce che S. aveva di solito, e non le era mai stato possibile ripetere quel suono a casa o in qualunque luogo che non fosse la motocicletta nera di suo padre che saliva verso il lago”.
Per lo sguardo che rivolge al rapporto dei personaggi con la loro età, il romanzo di Inglese squarcia un velo. Nella maggioranza dei casi, avanziamo nella più assoluta incoscienza dell’osservatorio temporale, di giorno in giorno diverso, da cui ci affacciamo sulla vita. Ciò è sempre vero, ma a maggior ragione nel regno della «giovinezza permanente» a cui condanna un mercato del lavoro influenzato da un capitalismo sempre più spietato e di cui il sistema artistico contemporaneo, ossessionato dalla ricerca spasmodica della “novità”, costituisce una metafora evidente.
Era la bambinaia che a volte quasi senza svegliarla sollevava Sarahs dal divano e la portava nell’altra camera, dove le finestre e le tende erano sempre chiuse. Quando nel sogno Sarahs si avvicinava alla vetrinetta vedeva farsi sempre più grandi i volti della bambinaia e della strega riflessi nello specchio che faceva da parete di fondo della vetrinetta.
Il romanzo in versi sembra competitivo con il fratello più fortunato, sia sul piano della resa di uno o più personaggi che di un’impressione sintetica di società, giovandosi di quel tanto di frammentario dovuto agli inevitabili salti impressi dalla poesia, piuttosto in linea con la sensibilità odierna.
“La difficoltà del comandamento bellico cinese di conoscere il proprio nemico sta nella sgradevolezza che quella conoscenza ci provoca. Così il più elementare degli stratagemmi può essere messo in atto dal più inumano, indifferente alla nausea, o dal santo, che per il proprio nemico non ha che amore. Per questo è il santo, il più perfetto assassino”.